Charleston. Negli Stati uniti il web ha scelto la linea dura contro la censura online, ma fra i big del digitale ad aderire allo sciopero virtuale sono stati in pochi.  Nei giorni scorsi i grandi colossi della rete americani, guidati dall’aggregatore di social news Reddit (di proprietà di Condé Nast Digital) e dal fondatore di Wikipedia Jimmy Wales, avevano deciso di protestare congiuntamente contro le due proposte di legge antipirateria in discussione al Congresso che di fatto limiterebbero la libertà di espressione, permettendo la censura della rete. Dopo aver inviato una lettera al Congresso, le grandi aziende della Silicon Valley (da Facebook a Yahoo!) avevano messo sul tavolo la possibilità di indire per ieri la giornata del black out, bloccando l’accesso ai propri siti in segno di dissenso per 24 ore. Se però Wikipedia, Redditt, Craigslist, Mozilla e alcuni altri hanno oscurato a lutto la propria pagina, Google ha optato per una linea più soft, coprendo il proprio logo con una striscia nera e aggiungendo un link per spiegare la pericolosità di Sopa (Stop Online Piracy Act) e Pipa (Protect Ip Act), i due atti in discussione al Congresso contro la pirateria informatica e la protezione della proprietà intellettuale. Tutto qua. A fare da grancassa ci ha pensato il popolo della Rete nel condannare un testo liberticida, mentre Facebook, Twitter, Yahoo, eBay e Amazon in testa, che pure a parole si erano schierati uniti contro le due proposte di legge, hanno deciso di non oscurarsi per non perdere una giornata di lavoro. Poco importa perché questo è comunque l’anno delle elezioni presidenziali e avere la blogosfera contro non è di buon auspicio. Riferisce infatti il quotidiano online Politico che la proposta è in coma alla Camera bassa e ora è anche in seria difficoltà in Senato, che su decisione del leader di maggioranza, il democratico Harry Reid, voterà la settimana prossima, il 24 gennaio. Qualche parlamentare firmatario della legge sta già facendo retromarcia e mentre si annuncia un ritocco al testo legislativo, la Motion Picture Association of America, il cartello dei colossi di Hollywood che ha ispirato la proposta, è costretta a confermare l’eliminazione delle misure di blocco dei siti. Il primo round sembra quindi l’abbia vinto la Silicon Valley anche grazie alla presa di posizione ufficiale del presidente Barack Obama che in un comunicato ha dichiarato: «La pirateria online praticata dai siti stranieri è un problema grave che necessita una risposta seria da parte del legislatore, ma non sosterremo una legge che ridurrebbe la libertà d’espressione, aumentando i rischi per la sicurezza informatica o compromettendo il dinamismo e l’innovazione di internet a livello mondiale». Le due proposte di legge, sostenute dalle major del cinema e della musica e con un supporter di eccezione, il magnate dell’editoria Rupert Murdoch, sono tese a combattere il download illegale di materiale soggetto a diritto d’autore, intervenendo su siti stranieri che diventerebbero irraggiungibili al pubblico americano. Secondo il Sopa e il Pipa, infatti, basterebbe accusare un sito straniero di offrire materiale protetto per obbligare per esempio Google a rimuoverne il link tramite un’ordinanza del tribunale. La decisione finale spetterebbe al dipartimento di Giustizia statunitense che avrebbe il potere di condannare i siti web che ospitano contenuti illegali, costringere i singoli provider a bloccare gli spazi votati all’illecito su scala globale e obbligare i motori di ricerca a eliminare qualsiasi riferimento ai domini che violano il copyright. Presentato alla Camera dal deputato texano Lamar Smith il 26 ottobre, il Sopa aveva ricevuto inizialmente un buon sostegno bipartisan in aula e l’appoggio di numerose aziende, a cominciare da Viacom, Nike e L’Oréal, ma appunto la discussione è stata per ora sospesa. Il Pipa è stato invece introdotto il 12 maggio dal senatore democratico del Vermont Patrick Leahy con il sostegno di circa 40 senatori. Le due proposte di legge hanno spaccato trasversalmente Congresso. Alla Camera l’ex speaker democratica Nancy Pelosi si è subito schierata contro la legge, ricevendo il sostegno del deputato repubblicano del Texas Ron Paul, attualmente candidato alla presidenza.

Il Manifesto, 19 gennaio 2012

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