Quando era studente a Oxford negli anni Ottanta, Yash Bajaj dirigeva una rivista musicale e provava a fare il manager di gruppi rock, un tentativo che durò però solo pochi mesi: prendeva i soldi dalle band e li spendeva tutti in ragazze, senza organizzare alcun concerto. Per questo fu cacciato, e si concentrò sugli studi in biochimica. Nato in India, emigrato in Inghilterra quando aveva cinque anni, Bajaj – cresciuto con il punk e il rock nel sudest londinese, in una Gran Bretagna pre-thatcheriana ed economicamente depressa – mise allora da parte la musica: ha lavorato per vent’anni in finanza, prima a Lehman Brothers e poi in due hedge fund, specializzandosi sui mercati asiatici. Oggi ha 52 anni e vive fra Singapore e Massa Martana, antico borgo medievale sulla Via Flaminia, dove ha comprato una casa nel 2006 e dove passa le estati con la sua famiglia. Fra le colline umbre, ha deciso di tornare al suo primo amore, la musica, e ha organizzato Umbria Rock, un grande festival in stile inglese che prende il via oggi per portare in provincia di Perugia alcuni fra i principali interpreti della scena britannica, come l’icona mod Paul Weller, Kaiser Chiefs, Charlatans, Cribs, Basement Jaxx e l’ex bassita di Joy Division e New Order Peter Hook, oggi leader dei The Light. «In Inghilterra e Stati Uniti c’è un mercato saturo per quanto riguarda i festival musicali, mentre in Italia mancano del tutto. Eppure gli italiani vanno a manifestazioni in tutta Europa, dalla Spagna alla Germania», spiega Bajaj al Corriere della Sera, mentre sorseggia un the nell’elegante salone del Westin Palace di Milano. «Per questo genere di eventi l’Italia ha ottime caratteristiche: campagne bellissime, un clima fantastico e cibo di qualità. Può diventare un appuntamento annuale da legare alle vacanze, capace di attirare persone da tutta Europa. Tutta l’area ne può trarre benefici». L’amore per l’Umbria è cominciato nel 1998, durante una vacanza con la moglie e le tre figlie. «Ci sono meno turisti rispetto alla Toscana, è più naturale e incontaminata», racconta. «Per questo abbiamo comprato una casa vicino Massa Martana». Non lontano sorge Santa Maria in Pantano, una chiesa dell’ottavo secolo costruita sopra un vecchio tempio romano sulla Via Flaminia. È uno dei luoghi preferiti dal magnate britannico, che ha deciso di utilizzarla come ambientazione di Umbria Rock: l’evento si svolgerà in un campo incolto di cinque ettari attorno alla chiesa, dove sarà possibile campeggiare. Bajaj ha costituito una cordata di investitori e ha raccolto oltre un milione di euro per organizzare l’evento, affidando la direzione artistica ai responsabili del Bestival, la manifestazione che si tiene ogni anno sull’Isola di Wight. «Sono amici e contatti legati ai miei vent’anni in finanza – per lo più americani e inglesi, non c’è nessun italiano – tutti interessati alla musica. Nel primo anno non ci aspettiamo un ritorno economico ma, se riusciamo a creare un brand, i rischi diminuiscono e può diventare un investimento molto interessante». Per quest’anno ha organizzato anche una retrospettiva cinematografica, e ha deciso di coinvolgere produttori alimentari e ristoratori locali, nel tentativo di rilanciare l’economia della zona. «All’inizio c’era un po’ di perplessità nei miei confronti», spiega il finanziere. «Vorrei che le persone capissero di poter trarre vantaggi dal festival: non porto via soldi, ma li investo nel Paese con benefici diretti per tutti». Fra le aziende vinicole locali, Bajaj ha una passione per Arnaldo Caprai e per i viticoltori dell’area di Montefalco, anche se «la terra di Massa Martana produce un ottimo Grechetto», mentre i suoi ristoranti preferiti sono il Gattopardo e il Capricorno, oltre al Bar Centrale, epicentro della vita del paese. «Vogliamo ricreare l’atmosfera bohémien che regnava in Italia e Gran Bretagna negli anni Sessanta», racconta. «Londra era il centro dell’universo durante gli swinging Sixties e la cultura italiana era importante. Voglio che il festival ci riporti a quei tempi». È così che Yash Bajaj ha preparato l’Umbria all’invasione britannica. Sperando che non duri soltanto un’estate.

Corriere della Sera, 1 agosto 2014

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