Scorrendo il suo profilo su Twitter, Shanley Kane sembra una troll o un’agitatrice: le sue interazioni si riassumono spesso in insulti e attacchi personali ai rivali, in una pioggia di parolacce che usa per affermare le proprie competenze o difendere il ruolo delle donne e delle minoranze nel mondo della tecnologia. Invece la ventisettenne dall’aspetto gotico originaria del Minnesota è la mente dietro Model View Culture, la prima rivista antagonista della Silicon Valley che – unendo cultura, media e diversità – prova a scardinare l’approccio sessista che domina l’industria tecnologica. Fondata nel novembre 2013, in pochi mesi Model View Culture è diventata una delle pubblicazioni indipendenti più ascoltate del settore: esce ogni tre settimane in versione digitale e ogni tre mesi in quella cartacea, e pubblica «articoli di tecnologi, attivisti, scrittori, educatori e artisti, concentrandosi sui risultati ottenuti dalle comunità “di genere diverso” ed esplorando l’uso della tecnologia per il raggiungimento della giustizia sociale».
Nel totale rifiuto dell’establishment della Valle, Model View Culture non fa ricorso ai soldi di grandi aziende, angel investor o venture capital, finanziatori di quasi ogni startup, tecnologica e no. Si affida invece al sostegno esclusivo dei propri lettori tramite Patreon, una piattaforma di crowdfunding, fondata a San Francisco dal musicista Jack Conte, che permette ad artisti e progetti di ricevere finanziamenti da “patron”, ovvero mecenati disposti a sostenere in modo ricorrente (per esempio mensile) gli sforzi di un cantante alle prese con un nuovo album o, nel caso di Shanley, l’uscita di un numero della rivista. «Questo ci permette di mantenere una prospettiva editoriale indipendente e di proporre storie che non vedrete in nessun altra pubblicazione tecnologica», sostiene la fondatrice.
Model View Culture, in effetti, ha un’identità forte e privilegia uno sguardo femminile sulle contraddizioni dell’industria dell’innovazione. Come spiega il direttore della MIT Technology Review Jason Pontin, che a inizio dicembre ha dedicato a Kane un’intervista, gli articoli della rivista – scritti esclusivamente da donne o da rappresentanti delle minoranze – prendono spesso le distanze dalle pratiche più comuni del mondo tecnologico, che vengono derise e analizzate dettagliatamente.
L’ultimo numero racconta la storia di “Coding while black”, un database che raccoglie i risultati ottenuti dai programmatori afroamericani con lo scopo di cambiare il profilo della comunità tech nera e dare modelli positivi alle nuove generazioni; promuove l’introduzione di codici di condotta per prevenire ghettizzazioni e molestie nei confronti delle minoranze della Silicon Valley; spiega le ragioni socio-culturali alla base della diffusione su internet delle foto di celebrità nude, uno dei trend principali del 2014; attacca il suprematismo bianco che andrebbe sconfitto attraverso l’inclusione delle minoranze.
Non è un caso se in molti definiscono Shanley Kane – che a 22 anni si è trasferita a San Francisco dopo una laurea al Columbia College di Chicago e un master in scrittura alla Carnegie Mellon – la black panther della tecnologia. In un mondo dominato da maschi bianchi sta emergendo la sua figura di critica femminista che prende di mira con i suoi tweet velenosi i patriarchi dell’high tech: tra i suoi bersagli preferiti ci sono Marc Andreessen, uno dei più influenti investitori della Valley, Sarah Lacy, fondatrice di PandoDaily e fra le giornaliste tecnologiche più importanti al mondo, e Vivek Wadhwa, accademico impegnato “a scopo di lucro” a favore di donne e minoranze.
Per oltre cinque anni, Kane ha lavorato nelle aziende tech di San Francisco, prima in una società di pubbliche relazioni, poi in una di software. In quel periodo ha sviluppato una profonda frustrazione per gli stereotipi dell’industria e per l’incompetenza dei suoi superiori, trovando sollievo solo nel suo blog, in cui scriveva di cultura digitale e di malfunzionamenti manageriali delle startup della baia.
I suoi scritti hanno portato alla nascita di Model View Culture, che deve il proprio nome a una tecnologia utilizzata nello sviluppo di software e che in un anno è diventata al tempo stesso un punto di riferimento e un bersaglio nella comunità tech, al punto da ottenere l’approvazione della MIT Technology Review, una delle riviste più influenti in campo tecnologico. Nell’intervista di inizio dicembre, Kane definisce la Silicon Valley «un meccanismo sessista e razzista di distribuzione della ricchezza che per funzionare si basa sul clientelismo, sulla corruzione e sull’esclusione», dove «ci si ritrova generalmente ad avere a che fare con uomini bianchi e viziati che raramente hanno incontrato un criticismo anche leggero».
Dopo la pubblicazione dell’intervista, Jason Pontin è stato ricoperto dagli insulti pubblici di Kane per aver dato spazio alla replica del giornalista britannico Milo Yiannopoulos – da lei definito in diversi tweet un molestatore seriale e un misogino – e da quelli dei detrattori, per aver dato risalto alla voce della stessa attivista. Yiannopoulos considera l’approccio di Kane dannoso per il femminismo e per l’integrazione e utile soltanto ad alimentare le diseguaglianze, creando le condizioni opposte a quelle necessarie per una felice cooperazione fra i sessi.
«Shanley Kane è una violenta ipocrita. Difende le donne assicurandosi che la sua sia l’unica voce udibile, visto che attacca tutti quelli che non sono d’accordo con lei, donne incluse. Il suo approccio allontana le donne dalla discussione e in alcuni casi dall’industria tecnologica stessa», spiega Yiannopoulos a Pagina99. «L’industria tecnologica ha paura di lei, ed è costretta ad aggirarla in punta dei piedi per non avere problemi con i propri investitori».
Eppure sono in molti a ritenere il lavoro di Kane necessario per emancipare il mondo della tecnologia e trasportarlo verso la maturità di genere e la meritocrazia, a cominciare da Fast Company, rivista legata all’industria che ha definito Model View Culture «la pubblicazione di cui internet ha bisogno». Lo stesso Jason Pontin, nonostante le critiche bipartisan ricevute dopo l’intervista, conferma l’importanza del magazine nel dibattito sulla diversità che anima la Valle.
«Ho intervistato Shanley perché ritengo che Model View Culture faccia una critica femminista seria e importante della Silicon Valley – ci spiega il direttore della MIT Technology Review – e perché volevo darle una piattaforma più grande per esprimere le proprie opinioni».