«Il primo voto di mia madre è stato per il Referendum, quella con la R maiuscola. Suo padre era un repubblicano convinto, mia madre faceva la sarta negli esclusivi atelier di Torino e di conseguenza frequentava quella nobiltà borghese e decadente tipicamente Sabauda che vedeva nella vittoria della Monarchia il modo di sdoganare i Savoia dal fascismo e contava sul rilancio dell’aristocrazia. In bilico fra la realtà operaia famigliare e la favola aristocratica che quotidianamente viveva presso le sue clienti, il mattino del 2 giugno era ancora indecisa su quale risposta apporre sulla sua scheda referendaria. Mentre era in coda al seggio elettorale, la sua attenzione fu attratta da due uomini che parlavano con un forte accento meridionale: il più anziano non si esprimeva, mentre il più giovane era un repubblicano convinto. “È vero che la Monarchia la conosci già, mentre non sai chi finirà a governare dopo le elezioni, che potrebbe essere anche molto peggio”, diceva il più giovane, che aveva all’incirca l’età di mia madre. “Ma sono sicuro di una cosa. Se vince la Monarchia, per me non cambierà nulla. Ma se vincesse la Repubblica, allora anche mio figlio potrebbe, un giorno, diventare residente della Repubblica”. Fu così che mia madre decise di votare per la Repubblica, anche se io non ho mai ricoperto la prima carica dello Stato».
A raccontare questo episodio, a meno di tre mesi dal settantesimo anniversario del referendum fra Monarchia e Repubblica in cui le donne furono chiamate al voto per la prima volta, è un anonimo lettore del Corriere della Sera, che fa parte dei 1.482 intervistati – un campione rappresentativo per sesso, età e provenienza geografica della popolazione italiana – che hanno espresso la propria opinione attraverso un questionario online sull’impatto del voto femminile in Italia (si può partecipare a questo link). «Mia mamma aveva combattuto in prima persona per contribuire alla caduta del regime fascista ed era già allora una convinta sostenitrice dei diritti delle donne», racconta un altro lettore. «Ha votato per la prima volta al Referedum Monarchia-Repubblica, e quel giorno non si mise neppure il rossetto – per lei tuttora indispensabile – per la paura di macchiare la scheda e rendere nullo il suo voto».
Secondo il 97% degli intervistati, la presenza delle donne alle urne ha avuto un influsso fondamentale su alcuni dei referendum più importanti della Storia d’Italia. Ad esempio su quello per l’aborto del 17 maggio 1981, quando il popolo italiano fu chiamato a esprimersi sulla richiesta di abrogazione della legge 194 del 1978, che consentiva l’interruzione di gravidanza entro i primi tre mesi dal concepimento. Il 68% degli elettori – secondo i nostri lettori soprattutto grazie al voto delle donne – si espresse a favore dell’aborto e la vittoria fu schiacciante. Una percentuale altrettanto alta, il 94%, ritiene che il voto femminile abbia avuto un impatto decisivo sul Referendum abrogativo del 12 maggio 1974, il cosiddetto «Referendum sul divorzio» in cui gli italiani furono chiamati a decidere se abrogare o meno la legge Fortuna-Baslini che l’1 dicembre 1970 lo aveva istituito nell’ordinamento giuridico italiano. Alle urne si presentarono l’87,7% degli aventi diritti al voto, e il 59,3% mise la propria croce sul no lasciando dunque in vigore il divorzio. Altrettanto importante, sempre secondo gli intervistati, è stato l’apporto femminile sulle normative che regolano la maternità e lo stalking.
In tutti i casi, la percezione dell’impatto delle donne è simile fra entrambi i sessi: ad esempio il 98% delle donne e il 96% degli uomini credono che il voto femminile abbia deciso il referendum sul divorzio, mentre sul divorzio le percentuali sono il 95% e il 93%. Differenze sostanziali si notano invece sull’apertura delle professioni e proprio sul Referendum fra Monarchia e Repubblica, in cui le donne, per il 7% in più, ritengono di avere avuto un ruolo importante sul risultato. L’unico settore in cui una percentuale maggiore di uomini (seppure minima: il 73% contro il 72%) attribuisce alle donne un impatto decisivo riguarda le quote di genere.
Il voto, fra gli intervistati, è nettamente l’attività pubblica più importante per l’81% degli uomini e per l’84% delle donne. Queste ultime, però, ritengono necessario anche il volontariato attivo, e la partecipazione alla vita della comunità (il 59% e il 57%, il 5% e il 2% in più rispetto agli uomini). Percentuali minori, eppure con un distacco più marcato sugli uomini (il 9% in più), puntano sulla partecipazione alla vita politica e sulla beneficienza verso onlus o società del terzo settore (il 51% e il 42%). La componente femminile ritiene inoltre che a dettare l’agenda politica dovrebbero essere il lavoro, l’istruzione e la ricerca (il 75%), poi sanità e salute (al 73%), e infine welfare (67%), cultura e giovani (66%).
Nove intervistati su dieci, comunque, ricordano l’esperienza del primo voto, con il 74% delle donne che ne rammenta l’emozione (contro il 56% degli uomini). «Ricordo bene il mio primo voto. Andai accompagnata da mia madre, che mi ricordava l’importanza del voto anche in memoria di mio padre, morto in guerra a 27 anni», scrive un’anonima lettrice. «Era una bellissima mattina di maggio», racconta un’altra intervistata, che per la prima volta espresse il proprio voto al referendum sull’aborto. «Sono uscita alle otto di mattina, con in mano un’arma importante: la scheda elettorale per votare per la libertà delle donne. Quanto ci ho sperato… e quanto sono stata felice che le italiane scelsero allora di poter scegliere».
Corriere della Sera, 10 marzo 2016