Da solo contro il mondo bianco e conservatore della Nascar, appena dieci giorni fa Bubba Wallace aveva convinto il campionato automobilistico più amato nel Sud degli Stati Uniti a proibire la bandiera confederata. Ieri, nel garage all’interno del circuito di Talladega, in Alabama, un membro della sua squadra ha trovato un cappio, un messaggio intimidatorio che rimandava ai linciaggi subiti dai neri all’epoca della segregazione, e lo ha subito riferito all’organizzazione. «È uno spregevole atto di razzismo che mi rattrista», ha affermato Wallace, 26 anni, unico pilota afroamericano della Nascar, che non ha visto il cappio appeso nel box del suo team. «È un promemoria di quanta strada ancora c’è da fare come società, e quanto dobbiamo persistere nella lotta contro il razzismo».
Con lui si è subito schierata la Nascar, che da tempo tentava a liberarsi del passato e da quel simbolo di segregazione, anche per fronteggiare il calo di spettatori e del seguito televisivo: cinque anni fa ci aveva provato l’allora presidente Brian France, senza alcun successo, poi sono arrivati l’omicidio di George Floyd, la rinascita di Black Lives Matter, le proteste che hanno travolto l’America e la richiesta, ufficiale, di Wallace. «Siamo furiosi, e stiamo prendendo molto seriamente questo atto efferato», ha affermato in un comunicato l’organizzazione, annunciando un’indagine immediata per individuare il responsabile e cacciarlo. Al garage, infatti, aveva accesso soltanto il personale essenziale: squadre, funzionari Nascar, personale sanitario e della sicurezza.
Sebbene Wallace abbia avuto sostegno quasi unanime dai colleghi, infatti, nel mondo della Nascar non tutti hanno accettato questa decisione rivoluzionaria. Wallace, come ha scritto il Washington Post, è diventato «un agente del cambiamento inatteso quando ideale» per un mondo radicato alle tradizioni sudiste, attirandosi però insulti e minacce: pubblicamente si è espresso soltanto un pilota di basso livello, Ray Ciccarelli, che ha annunciato il suo ritiro dalle corse a fine stagione perché, spiegava in un post su Facebook poi cancellato, «avere a cuore la bandiera confederata non rende una persona razzista», ma soprattutto fra il pubblico il dissenso è stato aperto. «Mi vedono come qualcuno che sta demolendo la loro eredità culturale, ma non stiamo cercando di chiudere loro la porta», ha affermato in un’intervista dopo aver ricevuto le prime minacce. «Anzi, la stiamo aprendo a tanti altri che vogliono essere parte di questo sport».
La Nascar e il suo presidente Steve Phelps lo hanno ascoltato: da un lato è una questione di business — rendere l’organizzazione più inclusiva aumenterebbe i potenziali spettatori — dall’altro è un tentativo di restare al passo con l’evoluzione del Paese. Molti tifosi, che già ritenevano l’organizzazione troppo patinata, si sono ribellati. Ieri, fuori dal circuito di Talladega, sfilavano pickup con la bandiera confederata ed erano in vendita gadget e memorabilia della Guerra Civile, mentre un aereo ha sorvolato gli spalti — dove erano ammessi soltanto 5 mila spettatori, i primi ad assistere a una gara dopo che il Covid-19 è sbarcato in America — trainando una bandiera sudista con la scritta «Defund Nascar», un ironico e rabbioso riferimento al movimento per tagliare i fondi alla polizia. Un invito, soprattutto, a boicottare l’organizzazione.
A Talladega, in fondo, c’era da aspettarselo. Nonostante lo scorso anno sia stato eletto il primo sindaco nero, in città le divisioni razziali sono ancora forti e le ferite aperte. Come notano i commentatori sportivi americani, inoltre, il circuito è forse quello più legato alla bandiera confederata, quello dove era — ed è tuttora — più facile vederla sventolare: l’impianto è stato costruito nel 1969 grazie all’impegno del governatore democratico dell’Alabama George Wallace, quattro volte candidato alla presidenza, un leader segregazionista e sostenitore delle leggi Jim Crow che mantenevano le razze separate ma uguali. «George Washington ha fondato questo Paese, George Wallace lo salverà», diceva di lui il fondatore della Nascar Bill France sul finire degli Anni Sessanta.
L’Alabama era quindi un test complicato per il nuovo regolamento della Nascar. Mentre monumenti e simboli confederati cadono in tutto il Paese, qui resiste infatti l’orgoglio e l’iconografia Dixie su cui si fondano le tradizioni di una parte abbondante della popolazione, non solo quelle degli appassionati della Nascar. «Qualcuno di voi ci vede eredità culturale, ma altri ci vedono odio», aveva spiegato Wallace il 10 giugno, dopo l’annuncio della Nascar, sintetizzando il dibattito che in tutto il mondo ruota attorno all’abbattimento di statue e simboli d’odio. «Dobbiamo unirci e incontrarci a metà strada». Questa strada, gli hanno mandato a dire in Alabama, è però ancora molto lunga.
Corriere della Sera, 22 giugno 2020