Alle 8.07 di martedì mattina gli Stati Uniti hanno eseguito la prima condanna a morte a livello federale degli ultimi 17 anni. Neanche la Corte Suprema ha salvato Daniel Lewis Lee, ex suprematista bianco condannato per l’omicidio, nel 1996, di una famiglia di tre persone, che ha speso le sue ultime parole per ribadire la propria innocenza. «Non sono stato io», ha detto prima che gli fosse somministrata l’iniezione letale nel penitenziario di Terre Haute, in Indiana. «Ho commesso parecchi errori nella mia vita, ma non sono un assassino. State uccidendo un innocente». Inizialmente prevista per lunedì sera, l’esecuzione era stata bloccata all’ultimo dalla Corte d’appello di Washington insieme a quella di altri tre detenuti che dovrebbero ricevere l’iniezione letale nelle prossime settimane: contro la decisione si era appellato il dipartimento di Giustizia, e il massimo tribunale americano nella notte ha dato l’autorizzazione a procedere. «La ripresa delle esecuzioni federali», hanno scritto però i giudici di area progressista Stephen Breyer e Ruth Bader Gingsburg, «promette di fornire esempi che spiegano la difficoltà di amministrare la pena di morte in accordo con la costituzione».

A sancire il ritorno della pena di morte a livello federale era stato, lo scorso anno, il ministro di Giustizia William Barr, fedelissimo di Donald Trump, che ordinò al Bureau of Prisons di procedere con l’esecuzione di «detenuti nel braccio della morte condannati per l’omicidio, la tortura o lo stupro delle persone più vulnerabili della società: bambini e anziani». La decisione di Barr ha dato il via a una serie di battaglie legali, anche perché l’ultima esecuzione federale risaliva al 2003, quando fu eseguita la condanna a morte di Louis Jones Jr., un veterano della Guerra del Golfo colpevole di aver ucciso la soldatessa Tracie Joy McBride nel 1995. Nonostante — dopo una doppia sentenza della Corte Suprema — la pena di morte sia tornata legale a livello federale dal 1988, le esecuzioni finora sono state piuttosto rare: secondo i dati del Death Penalty Information Center, 78 persone hanno ricevuto una condanna a morte a livello federale fra il 1988 e il 2018, ma soltanto 3 sono state poi effettivamente portate a termine.

Il primo a finire nella saletta delle esecuzioni è stato dunque Lee, 47 anni, che nel 1996 torturò e uccise una coppia e la loro figlia, gettando i corpi in un lago dell’Arkansas. A opporsi alla sua esecuzione è sempre stata Earlene Peterson, nonna materna della bambina, oggi 81enne, per la quale il colpevole dovrebbe passare il resto della vita dietro le sbarre, come il suo complice. «Daniel Lee ha distrutto la mia vita, ma non penso che prendersi la sua cambierebbe qualcosa», ha sempre sostenuto Peterson, che fino all’ultimo ha provato a bloccare l’iniezione letale sostenendo anche di non poter assistere a causa della pandemia. Ora, nel braccio della morte federale, restano in attesa 61 detenuti, fra cui i tre — tutti condannati per aver ucciso bambini — che dovrebbero ricevere l’iniezione letale durante l’estate.

Corriere della Sera, 14 luglio 2020

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