L’amministrazione Trump ha fatto un passo indietro sull’immigrazione, ascoltando l’opposizione delle università americane, della Silicon Valley e di 20 stati che contestavano la decisione di annullare i visti per gli studenti stranieri che a settembre, in mezzo alla pandemia, non potranno recarsi fisicamente in aula. Il piano della Casa Bianca prevedeva il rimpatrio forzato, una decisione che avrebbe mandato in crisi il sistema universitario — che dalle rette riceve un enorme flusso di denaro — e avrebbe avuto ripercussioni anche sulle aziende, che non avrebbero potuto assumere lavoratori specializzati formati negli Stati Uniti. Ogni anno 1 milione di studenti stranieri si iscrivono agli atenei americani, contribuendo con 41 miliardi di dollari all’economia del Paese e garantendo 458 mila posti di lavoro. La decisione si basava su una legge in vigore da quasi vent’anni, che obbliga gli stranieri con un visto studentesco a frequentare le lezioni di persona. Il 13 marzo, durante l’emergenza, la regola era stata sospesa, permettendo alle università di spostare l’insegnamento in rete. Il 6 luglio, però, il governo aveva annunciato che, per mantenere il visto, gli studenti avrebbero dovuto tornare in classe. «Se non studiano o lo fanno al 100% online, allora non hanno nessun motivo di stare qua», aveva spiegato il vice segretario alla Sicurezza interna Ken Cuccinelli. «Possono andare a casa e tornare quando le scuole riapriranno». L’opposizione, partita da Harvard e M.I.T., ha ricevuto il sostegno di Google, Facebook e Twitter ed è stata sposata da 15 parlamentari repubblicani, che hanno chiesto alla Casa Bianca di soprassedere.
Corriere della Sera, 16 luglio 2020 (pagina 14)