Sin dall’inizio della sua corsa verso la Casa Bianca, nel 2015, Donald Trump ha potuto contare sulla solida alleanza con la rete televisiva Fox News, la cui storia di potere, conflitti familiari, politica e scandali sessuali è stata raccontata anche in Italia da tre efficaci serie televisive: Succession, The Loudest Voice e Bombshell . Quello fra il presidente degli Stati Uniti e il network conservatore di proprietà del magnate Rupert Murdoch è però un rapporto intricato, mosso da interessi duplici e basato su distorsione della realtà e propaganda, una relazione che il popolare giornalista di Cnn Brian Stelter analizza nel suo libro Inganno, in uscita in Italia il 28 settembre per NR edizioni, in cui racconta la transizione dall’era delle fake news — l’attacco spregiudicato ai media — a quella, appunto, dell’inganno.

«È soprattutto una storia di potere: Fox News è la più potente media company degli Stati Uniti e ha un impatto notevole sul resto del mondo, considerando che disinforma il presidente americano», spiega Stelter a 7 al telefono da New York, chiarendo subito la sua posizione. «Credo sia uno degli avvenimenti più importanti nella storia della politica americana: nessun inquilino della Casa Bianca ha mai avuto alle spalle un network come Fox News prima d’ora, che ne ha influenzato la presidenza». A 35 anni Stelter è uno dei massimi esperti di media americani, un’ossessione sviluppata da adolescente e che a 18 anni lo ha spinto ad aprire un blog anonimo sulla televisione via cavo. «Pensavo che nessuno mi avrebbe preso seriamente se avesse saputo che a scriverlo era uno studente universitario del Maryland», racconta nel libro. Invece il blog decollò, anche grazie all’intuizione della stessa Fox che per prima scoprì il suo talento e lo invitò a visitare il quartier generale di New York. Tre anni dopo, nel 2007, Stelter chiuse il blog e fu assunto dal New York Times, dove ha lavorato al fianco di David Carr, uno dei più influenti e preparati giornalisti americani moderni, scomparso nel 2015, insieme al quale è stato protagonista del celebre documentario Page One nel 2011. A 28 anni, nel 2013, è passato infine a Cnn, acerrima rivale di Fox News, dove conduce il programma domenicale Reliable Sources e spedisce un’informatissima newsletter quotidiana sul mondo dei media.

Qual è il rapporto fra Trump e Fox News?
«La relazione con Trump si è evoluta nel tempo. Non c’è stato un momento in cui hanno deciso di unirsi, è stato più sfumato. Fox News è nata 24 anni fa, ma è sempre più popolare e influente: le sue opinioni di estrema destra, mischiate con un po’ di notizie, si sono guadagnate un pubblico molto fedele. Penso che Fox si sia spostata sempre più a destra perché il partito repubblicano si è spostato sempre più a destra, quindi in qualche modo Inganno è la storia di un partito che cambia e di Fox News che prova a restare al passo. Possiamo dire che Fox ha cambiato il panorama dei media americani in maniera profonda».

Per Fox News Trump è solo un’opportunità economica?
«Ci sono molte persone a Fox che credono in lui e nei suoi obiettivi politici. La rete però è soprattutto una macchina da soldi. Nelle interviste che ho fatto, molte persone hanno sottolineato che difendere Trump e attaccare i democratici è un business molto redditizio. Altri canali via cavo fanno soldi negli Stati Uniti, ma Fox ne fa più di tutti».

Cosa succederà a Fox se Trump dovesse perdere il 3 novembre?
«Fox è più contro i democratici di quanto sia a favore di Trump o dei repubblicani: questo è essenziale per capire il funzionamento della rete. È più facile essere contro Joe Biden che a favore di Donald Trump. È per questo che, dopo l’era Trump, Fox continuerà ad andare alla grande. Anzi, potrebbero addirittura preferire che perda».

Che ruolo avrà la rete nei giorni successivi alle elezioni, se Trump dovesse denunciare brogli e non ammettere la sconfitta, come minaccia di fare?
«Fox e gli altri network annunciano il vincitore delle elezioni settimane prima che il collegio elettorale si incontri per ratificare formalmente il risultato. Queste reti hanno un ruolo fondamentale nell’informare il Paese e nel far sì che i cittadini si fidino dei risultati. I giornalisti di Fox News proveranno a rispettarlo, ma se i cantori della propaganda come Sean Hannity metteranno in giro bugie sulle elezioni rubate, allora sarà molto pericoloso».

A proposito: può spiegare ai lettori italiani chi è Sean Hannity?
«Nell’era Trump è la persona più potente di Fox. È un conduttore televisivo e un consigliere del presidente: parlano spesso al telefono, si scambiano idee, discutono della propria vita personale e condividono problemi e preoccupazioni. È un rapporto fraterno, che però ha ripercussioni sul mondo intero».

Qual è invece il rapporto tra Trump e i Murdoch?
«È un rapporto che offre benefici reciproci. Io non penso che aiuti Trump, perché non contribuisce a far crescere la sua base elettorale. Sicuramente però a Rupert piace avere accesso al presidente degli Stati Uniti. Alla guida dell’azienda ora c’è il figlio Lachlan, che non è molto interessato alla politica, mentre l’altro figlio James è più liberal e ha appena deciso di lasciare l’impero di famiglia. Potrebbe però tentare di prendere il controllo in futuro, nel caso Rupert morisse. A quel punto ci sarebbe uno scontro molto interessante. Ci sono molte somiglianze fra il mondo di Fox e quello di Trump. Sono entrambe aziende a conduzione familiare, in cui la politica di destra e gli affari si mescolano, e dove i patriarchi — Donald e Rupert — finiscono a volte per scontrarsi con i propri figli».

Se dovesse perdere, Trump fonderà davvero una sua rete televisiva?
«Sono scettico, perché penso che Fox abbia più potere di Trump ed è estremamente complicato lanciare un canale televisivo negli Stati Uniti nel 2020. Ma se c’è qualcuno in grado di farlo, sicuramente è Donald Trump. La grande domanda è questa: Trump si è definito un vincente per tutta la vita e su questo ha costruito il suo brand. Se perdesse le elezioni e venisse marchiato come perdente, il suo brand sarebbe ancora accattivante per le persone?».

Perché ogni tanto attacca anche Fox?
«Lavora gli arbitri, è una vecchia strategia di Trump. Cerca semplicemente una copertura migliore. Lui non vuole notizie da Fox News, vuole propaganda: così, quando vede del vero giornalismo, li attacca. Lo fa continuamente: attacca le notizie e promuove la sua opinione. È un pattern innegabile».

Trump è davvero così abile a manipolare i media?
«Penso che riceva fin troppo credito per questo. Spesso invece è piuttosto amatoriale. La sua strategia è di inondare il ciclo delle notizie di caos e spazzatura, così da essere presente nei notiziari. Io non credo che sia una buona strategia, ma lui è convinto che lo aiuti».

Cosa possiamo aspettarci dai dibattiti delle prossime settimane?
«In questo momento Trump è indietro, quindi i dibattiti rappresenteranno una delle poche possibilità di recuperare terreno e conquistare un pubblico più ampio di quello di Fox. Lui è così ossessionato da Fox e dal giudizio del suo pubblico che non prova nemmeno a raggiungere altri americani».

La sua gestione della pandemia avrà un impatto alle urne?
«Trump ha minimizzato la pandemia per oltre sei mesi, e possiamo presumere che continuerà a farlo fino alle elezioni. È un ottimo esempio di quella che definisco “era dell’inganno” ed è anche il motivo per cui ho riscritto il libro, iniziando e finendo proprio con il coronavirus. Credo sia un esempio rappresentativo della sua leadership e del suo rapporto con la rete: si è lasciato disinformare guardando Fox, poi ha diffuso questa disinformazione in tutto il Paese».

Cosa le ha insegnato David Carr?
«A guadagnarmi la fiducia delle fonti. Era incredibile come riusciva a lavorare le persone al telefono, convincendole a parlare. E poi già dieci anni fa aveva capito la storia di Fox: prima di chiunque altro aveva intuito l’impatto che avrebbe avuto la propaganda televisiva».

Sette, 25 settembre 2020 (pag. 36-37)

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