Joe Biden, lo sfidante democratico, ha un buon vantaggio sul presidente repubblicano Donald Trump nei sondaggi nazionali in vista delle presidenziali statunitensi.

Ma il destino degli Stati Uniti — e del mondo intero — dipende dagli elettori di una decina di swing states, i cosiddetti Stati in bilico che decideranno le presidenziali.

Nel sistema elettorale americano, infatti, ogni Stato assegna un numero di voti elettorali che varia in rapporto alla popolazione: chi fra il presidente Trump e lo sfidante democratico Biden ne otterrà almeno 270 governerà per i prossimi quattro anni. Alcuni Stati, come California e New York da un lato (democratico), Mississippi e Alabama dall’altro (repubblicano), non sono in discussione.

Altri — gli Stati in bilico, appunto — potrebbero essere decisi da un pugno di voti.

Fra questi ultimi, alcuni — come l’Ohio e la Florida — sono da tempo fondamentali alla presidenziali, altri sono invece diventati in bilico in quest’ultimo ciclo elettorale: il Texas, la North Carolina e la Georgia, ad esempio, roccaforti repubblicane che i democratici sperano di conquistare quest’anno, oppure il Minnesota, da decenni in mano ai democratici, che Trump sta facendo di tutto per vincere.

Quattro anni fa, le elezioni si decisero in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania: tre Stati di tradizione democratica della rust belt, la cintura industriale degli Stati Uniti, che — nonostante Hillary Clinton fosse in vantaggio nei sondaggi — mandarono Donald Trump alla Casa Bianca per 77.744 voti (su un totale di 13,2 milioni di voti espressi).

Florida

(Viviana Mazza) La Florida è lo Stato in cui si infrangono i sogni dei liberal. È un’amica inaffidabile: non c’è mai quando serve. Nell’ondata «blu» del 2018 per il Congresso, i democratici persero governatore e senatore in Florida. Nel 2000, 537 voti nel Sunshine State consegnarono a George W. Bush la Casa Bianca. In quattro passate elezioni in cui i democratici hanno conquistato anche la Florida, invece, potevano vincere le presidenziali pure senza. Nella sfida del 3 novembre 2020, secondo i sondaggi, il voto degli anziani che aiutò Trump nel 2016 ad arrivare alla Casa Bianca sembra andare stavolta a vantaggio del suo rivale, mentre cubani e venezuelani, come pure i bianchi della working class restano legati fedelmente a Donald Trump. È incoraggiante per i democratici la straordinaria affluenza dei giovani nel voto anticipato, e anche le donne bianche laureate delle zone residenziali/suburbane potrebbero seguire l’esempio di altri Stati e abbandonare il presidente. Molti in Florida, comunque, sono abituati ai testa a testa, alle battaglie all’ultimo voto, e credono anche stavolta che la differenza tra i due sfidanti sarà ridotta a un punto percentuale.

Voti elettorali: 29. Vantaggio: Biden +1,8%.

Le contee da tenere d’occhio:
Miami-Dade, roccaforte democratica dove il margine potrebbe diminuire a causa dei giovani di origine cubana, con conseguenze sul risultato in Florida se dovesse essere una gara all’ultimo voto;
Pinellas, microcosmo dello Stato, che nel 2016 scelse Trump dopo aver votato due volte Obama, dove la democratica St. Petersburg è circondata da pensionati del Midwest più conservatori;
Osceola, dove ai pensionati repubblicani si sono aggiunti centinaia di migliaia di portoricani che nel 2018 votarono poco e anche quest’anno non sono attesi in massa alle urne.

Pennsylvania

(Simone Sabattini) Nel 2016 fu lo Stato simbolo della vittoria di Donald Trump, che qui prevalse per appena 45.000 voti (su quasi 13 milioni di abitanti), ribaltando una tradizione che vedeva i democratici vincere da inizio anni Novanta. La Pennsylvania è carica di significati e simboli fino a scoppiare: è lo Stato delle acciaierie e del fracking, la patria della vera working class americana; ma è anche il cortile di casa Biden, che crebbe a Scranton. È il cuore pulsante (e sanguinante) dell’America che lavora. Ed è anche uno degli Stati che assegna più delegati (20), dopo California, Texas, New York e Florida. Per tutti questi motivi resta uno dei territori più ambiti dai due contendenti e uno dei perni di questa battaglia, tanto che entrambi lo hanno percorso in lungo e in largo, freneticamente, nell’ultima settimana. Biden è sempre stato in vantaggio nella media dei sondaggi (anche di 7 punti), ma il margine si è assottigliato negli ultimi giorni. Poi c’è il capitolo voto anticipato e postale. Qui la percentuale di preferenze già espresse sull’affluenza del 2016 è tra le più basse nel Paese: poco più di un terzo. Ma questi voti potrebbero tenere con il fiato sospeso tutti fino a tre giorni dopo l’election day: è il margine temporale che lo Stato avrà per contarli.

Voti elettorali: 20. Vantaggio: Biden +2,6%.

Le contee da tenere d’occhio:
Westmoreland, nei pressi di Pittsburgh, che Trump deve conquistare con un margine ancora maggiore del 2016 per sperare di vincere lo Stato;
Chester, nei sobborghi di Philadelphia, dove i democratici devono continuare a crescere;
Erie, considerata dai democratici «l’oracolo della Pennsylvania», un mix di classe operaia, economia post industriale e cittadine rurali, fu una delle tre contee che Trump ribaltò nel 2016;
Philadelphia; dove i democratici devono energizzare l’elettorato nero che mancò a Hillary Clinton e che quest’anno deve compensare il vantaggio di Trump fra gli elettori rurali.

Wisconsin

(Andrea Marinelli) Nel 2016 furono gli elettori del Wisconsin, per poco più di 22 mila voti, a mettere fine alle speranze di Hillary Clinton. I repubblicani non vincevano dal 1984 ma quest’anno, stando alla media dei sondaggi di Real Clear Politics, Joe Biden ha un vantaggio di 6,4 punti. Le due campagne però continuato a battere lo Stato, nonostante il Wisconsin sia oggi uno dei peggiori focolai d’America: l’economia – agricola e industriale – ne ha subito il contraccolpo e, in estate, il ferimento di Jacob Blake da parte di un poliziotto ha reso Kenosha e Milwaukee un epicentro delle proteste sociali. Insomma, come scrive il Washinton Post, il Wisconsin è «un microcosmo delle forze che scuotono il Paese»: alle tre grandi crisi, si aggiunge anche la frattura politica fra i due partiti, resa evidente durante le primarie dallo scontro sul voto via posta fra il governatore democratico e il parlamento a maggioranza conservatrice, un anticipo della crisi istituzionale che potrebbe travolgere il Paese. I 10 voti elettorali del Wisconsin sono importanti per i due sfidanti: ad assegnarli non saranno però né le grandi città democratiche né le aree suburbane conservatrici, ma le contee agricole e industriali, che più di tutte hanno sofferto la crisi economica.

Voti elettorali: 10. Vantaggio: Biden +6,7%.

Le contee da tenere d’occhio:
Brown, conquistata da Trump con largo margine nel 2016, nel 2018 ha votato per un governatore repubblicano e una senatrice democratica;
Waukesha, la più grande contea suburbana nei sobborghi di Milwaukee, dove Trump vinse ampiamente nel 2016 ma perdendo voti rispetto ai precedenti candidati repubblicani;
Dane, dove si trova la University of Wisconsin di Madison, che può fornire un grande bacino di voti per Biden;
Grant, nel sudovest dello Stato, non ha una forte identità di partito: Trump vinse di 10 punti, Obama di 24 e poi di 14.

North Carolina

(Simone Sabattini) È uno dei nuovi swing state, uno degli Stati che in questa tornata specifica possono decidere la gara e che si vanno ad aggiungere ai tradizionali campi di battaglia della rust belt (Michigan, Wisconsin, Ohio, Pennsylvania) e della Florida. Dal 1976 ad oggi è sempre stata repubblicana eccetto in un caso: il 2008, anno dell’elezione di Barack Obama. Quattro anni fa Trump superò Hillary del 3,5%. Ma questa volta il vento dei sondaggi sembra tirare (seppur debolmente) verso i dem: Joe Biden è quasi sempre stato in vantaggio, anche se ultimamente di poco. Il punto è che ci sono due Caroline del Nord: quella urbana della classe media moderata, delle comunità nere e delle città universitarie — che vota dem — e ampie zone rurali, bianche e conservatrici. Quale prevarrà? Lo sapremo presto, perché lo Stato è uno di quelli che sta già processando i voti anticipati (tanti gli elettori che hanno partecipato prima dell’election day) e dovrebbe dichiarare il vincitore poche ore dopo la chiusura delle urne. Con un’incognita: la Corte Suprema ha autorizzato i funzionari ad accettare le buste con le preferenze inviate per posta fino al 12 novembre. Nel caso la North Carolina diventasse la Florida del 2000, insomma, bisognerà armarsi di moltissima pazienza.

Voti elettorali: 15. Vantaggio: Trump+0,2%.

Le contee da tenere d’occhio:
Union, dove Trump vinse ampiamente nel 2016 ma si sono registrati segnali di «disaffezione» e un incremento di elettori non affiliati;
Wake, dove nel 2016 Hillary Clinton vinse di 100 mila voti e che quest’anno potrebbe dare slancio ai democratici in tutto lo Stato;
Robeson, un tempo roccaforte democratica, che nel 2016 fu spinta dalla depressione economica fra le braccia di Trump.

Michigan

(Andrea Marinelli) Le proteste armate davanti al parlamento della capitale Lansing sono state forse l’immagine più rappresentativa della pandemia americana: da un lato c’era la governatrice democratica Gretchen Whitmer, che ha imposto il lockdown più restrittivo del Paese; dall’altro il presidente Trump, che la attaccava in televisione e sui social network incitava i cittadini a «liberare» il Michigan. Sotto la cenere covava il fuoco dell’economia: una crisi dell’industria dell’auto avrebbe propagato i suoi effetti in tutti gli Stati Uniti, e Trump non poteva permetterselo. Questo scontro politico — degenerato con l’arresto dei miliziani che progettavano il rapimento della governatrice — si rifletterà sul voto del 3 novembre. Dal punto di vista sanitario, i contagi hanno rallentato e oggi, seppur in ripresa, lo Stato sta un po’ meglio dei vicini. Economicamente però l’impatto è stato forte, soprattutto in primavera, quando la curva della disoccupazione superava di molto quella nazionale. La media dei sondaggi di Real Clear Politics dà Joe Biden — che vanta il credito per il salvataggio dell’industria automobilistica nel 2009 — in vantaggio di 6,5 punti, ma a complicare l’equazione c’è il risultato sorprendente del 2016, quando per 10.704 voti (su 4,8 milioni) il Michigan risultò decisivo.

Voti elettorali: 16. Vantaggio: Biden +5,1%.

Le contee da tenere d’occhio:
Macomb, bianca e sindacalizzata, nelle ultime 7 elezioni ha sempre votato per il candidato che ha conquistato lo Stato;
Oakland, sobborghi benestante un tempo fermamente repubblicani, ora si stanno spostando verso i democratici;
Kent, un’altra roccaforte repubblicana che però nell’era di Trump ha cominciato a prendere le distanze dal presidente;

Ohio

(Simone Sabattini) «It’s a toss up in Ohio», è un testa a testa, recita il tabellino delle previsioni di FiveThirtyEight, il sito dell’espertissimo Nate Silver; mentre la media dei sondaggi vede Trump e Biden allo stesso livello. Nessun posto pare in bilico come questo e non c’è da stupirsi: lo «Stato degli ippocastani» vive di una fama che sta nei numeri. Chi vince qui (quasi sempre) vince nel Paese: dalla guerra civile, è successo 34 volte su 38. Nessun presidente repubblicano — Donald incluso, che qui surclassò Hillary Clinton di 8 punti percentuale — ha mai trionfato senza conquistare l’Ohio. Sarà anche per questo che ben sette presidenti nella storia d’America erano nati in queste contee di fabbriche e granai? La posta in gioco sta quindi anche nella cabala. Ma le cifre non fanno che tradurre un tratto sociologico profondo: l’Ohio è in bilico quanto il destino della sua popolazione, da anni. La forte maggioranza bianca nell’elettorato e la massiccia presenza di evangelici (propulsore di Trump), unite allo scollamento tra chi ha superato la crisi dell’industria e chi ne è rimasto risucchiato, fanno di questo Stato una sorta di distillato del Paese intero.

Voti elettorali: 18. Vantaggio: Trump +1,2%.

Minnesota

(Andrea Marinelli) Il Minnesota è un’ossessione di Trump, che nel 2016 arrivò a 44 mila voti dal vincere uno Stato che i repubblicani perdono dal 1972. Per questo, durante la campagna elettorale, il presidente ha investito molto in questa terra di confine: qui ha tenuto molti comizi, compreso quello famoso di Duluth, da cui tornò con un tampone positivo. L’economia prettamente agricola e industriare ha subito il contraccolpo della pandemia, ma la curva dei contagi si è mantenuta più bassa che nel resto del Midwest. Trump fatica nell’area metropolitana delle città gemelle — Minneapolis e St. Paul, più multietniche, da cui a maggio è partita l’onda delle proteste sociali dopo la morte di George Floyd — ma prospera nelle zone bianche e rurali che per decenni hanno votato, anche a livello locale, democratico, e poi nel 2016 hanno cambiato sponda. La scommessa si basa proprio su di loro, ma potrebbe non essere sufficiente: sia quattro anni fa che alle elezioni di metà mandato del 2018 i repubblicani non sono riusciti a sfondare la soglia del 45% in Minnesota, mentre i democratici hanno tenuto. La media dei sondaggi di Real Clear Politcs segna un +4,7% per Biden, ma la partita si deciderà ancora una volta nelle aree rurali: per vincere agilmente, ai democratici servirà non perdere troppo terreno nelle contee del West.

Voti elettorali: 10. Vantaggio: Biden +4,3%.

Texas

(Marilisa Palumbo) Può davvero il Texas — nell’immaginario collettivo lo stato dei cowboy e del petrolio — passare ai democratici per la prima volta dopo 44 anni (da Jimmy Carter, 1976)? I dati dell’affluenza nell’early voting sono strabilianti: sabato 31 ottobre, a tre giorni dall’election day, avevano già votato in quasi 9,7 milioni, un milione in più del totale 2016. Qualcosa sta succedendo in uno degli Stati con l’affluenza storicamente più bassa d’America. E alcuni dati fanno sperare i progressisti: il boom del voto degli under 30, secondo tutti i sondaggi nettamente schierati con Biden. E il fatto che negli ultimi anni la demografia è profondamente cambiata, con meno stivali e più colletti bianchi: due milioni di persone, molti democratici, sono arrivati da California, New York, Florida e Illinois per trasferirsi nelle grandi città e sobborghi diventate hub tecnologici. Circa 800 mila giovani latinoamericani hanno compiuto 18 anni. Nel 2016 Trump vinse in Texas di 9 punti (Romney nel 2012 di 15) e ora che i sondaggi danno Biden vicinissimo (-2,3 la media) i repubblicani si lamentano che il presidente non vi abbia investito abbastanza risorse. Ma si lamentano anche i democratici, che vedono la vittoria possibile e si chiedono se il loro candidato non avrebbe dovuto crederci un po’ di più.
Voti elettorali: 38. Vantaggio: Trump+1,2%.

Arizona

(Marilisa Palumbo) L’Arizona fa parte del sogno democratico di strappare il Sud ai repubblicani, e sembrerebbe, tra quelli complicati, uno degli obiettivi più plausibili. I sondaggi sono incoraggianti per Joe Biden, in vantaggio seppure di un soffio (1,1 la media) nello Stato che nel 2016 Hillary perse di 3,5 punti e che dal 1952 ha votato democratico solo una volta (Clinton bis nel 1996). Legata nell’immaginario politico americano a uno dei più importanti senatori repubblicani del dopoguerra, l’eroe di guerra John McCain, scomparso nel 2018, l’Arizona potrebbe mandare a Washington per la prima volta in 67 anni due senatori democratici (se l’ex astronauta Mark Kelly batterà la senatrice repubblicana uscente Martha McSally). E la vedova McCain, Cindy, sostiene Joe Biden. Lo spostamento verso i democratici è guidato dalla crescente popolazione ispanica, dalle donne suburbane e dagli anziani. Jeff Flake, l’ex senatore repubblicano che ha rifiutato di ricandidarsi perché non in linea con Trump e i maggiorenti del partito, dice che l’Arizona è «di centrodestra» e il trumpismo «non funziona con moderati e indipendenti». Lo Stato sarà anche uno dei primi tra quelli in bilico a rendere noto il risultato la notte del voto, intorno alle quattro: di lì verrà una indicazione importante su come sta andando il Sud.

Voti elettorali: 11. Vantaggio: Biden +0,9%.

Le contee da tenere d’occhio:
Maricopa, quella più importante dello Stato, dove si trova Phoenix e il 60% dell’elettorato, nel 2016 sostenne Trump ma con margini molto minori del passato e nel 2018 ha scelto una senatrice democratica;
Pima, dove si trova Tucson e dove i democratici fanno bottino;
Pinal, contea rurale dove Trump deve energizzare gli elettori per proteggere il suo margine.

Georgia

(Viviana Mazza) La Georgia potrebbe colorarsi di blu? Lo suggeriscono alcuni sondaggi, anche se quasi sempre all’interno del margine di errore di 4 punti: di fatto Biden e Trump sono testa a testa. In ogni caso, il fatto che la Georgia sia considerata uno Stato in bilico è un segno di come il Sud sta cambiando, e non è un buon segno per i repubblicani. Nelle presidenziali si è quasi sempre tinta di «rosso» repubblicano sin dal 1964, con le eccezioni di Jimmy Carter nel 1976 e 1980 e Bill Clinton nel 1992. Nel 2016 Trump ha vinto di 5 punti percentuali, nel 2018 il governatore Brian Kemp ha sconfitto Stacey Abrams per un solo punto, in un’elezione caratterizzata da lunghe attese alle urne e accuse di soppressione del voto. In questi giorni migliaia di elettori afroamericani si sono messi in coda alle urne sfruttando la possibilità dell’early voting. La scarsa fiducia nel sistema ha portato molti a preferire ore in fila all’invio per posta della scheda elettorale. Ma ci sono state lunghe file anche sul fronte repubblicano. Il sondaggista Nate Silver osserva che la Georgia è uno Stato «poco elastico», con pochi swing voters: i repubblicani hanno una base di elettori bianchi, conservatori e religiosi, storicamente leggermente più ampia di quella dei democratici, che possono contare sugli afroamericani e i giovani bianchi, asiatici e ispanici di Atlanta e di altri centri universitari.

Voti elettorali: 16. Vantaggio: Trump+0,2%.

Corriere della Sera, 3 novembre 2020

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