Ronald Reagan si insediava alla Casa Bianca 40 anni fa esatti, avviando una delle amministrazioni più amate della storia americana: il quarantesimo presidente — di cui una settimana fa ricorreva il centodecimo anniversario della nascita — è considerato il «gold standard» dei conservatori a stelle e strisce, il punto di riferimento per la destra moderna. Gennaro Sangiuliano, direttore del Tg2 della Rai, scava fino alla radici del totem conservatore nel libro Reagan, partendo dalla gioventù nei sobborghi desolati dell’Illinois di inizio Novecento, appresso al padre alcolizzato che gli ha fornito al tempo stesso un’infanzia poverissima e la tempra che gli tornerà utile in ogni tappa della carriera: nel 1932, all’apice della Grande Depressione e appena laureato al piccolo Eureka College, dove aveva ottenuto la sua prima vittoria sindacale, queste qualità lo aiutarono a convincere una piccola radio dell’Iowa a concedergli una possibilità come radiocronista sportivo.

Divenne una star, almeno nel cuore dell’America, e da lì a 26 anni, complice la preparazione estiva dei Chicago Cubs in California, arriverà il salto a Hollywood: fino ad allora non si era mai allontanato dal Midwest. Ancora una volta, è il suo carattere metodico e affidabile a lanciarne la carriera di attore, anche se in film di serie B, di rapida produzione e poco costosi: «Non li volevano fatti bene, li volevano il giovedì», dirà in seguito. A Hollywood si specializza nel ruolo dell’americano medio — avvocato, agricoltore, assicuratore o giornalista — che lo aiuterà una volta entrato in politica, una svolta che nasce proprio nel sindacato degli attori: è la star Gene Kelly, che ne aveva notato l’abilità di mediatore, a proporlo nel 1947 per guidare la potentissima Guild, dove resterà 6 anni consecutivi e poi di nuovo per un mandato nel 1959.

Al tempo Reagan è ancora democratico e, mentre la sua carriera da sindacalista decolla, sfuma, poco alla volta, quella da attore. È l’ultimo appello al voto per Barry Goldwater, il padre dei conservatori moderni, che il 27 ottobre 1964 lo lancia sulla scena nazionale: Goldwater perderà le presidenziali contro Lyndon Johnson, ma Reagan diventerà l’altro nascente del partito. Se fino al 1962 veniva presentato come un democratico che contesta l’establishment del suo partito, deciderà poi di dichiararsi apertamente repubblicano: diventerà governatore nel 1966, poi, nel 1980, presidente. Se i suoi due mandati sono ancora oggi ricordati come «una stagione felice di benessere», scrive Sangiuliano,«lo si deve a quella spinta di ottimismo, di pragmatismo e di modernizzazione che Reagan seppe imprimere agli Stati Uniti e di conseguenza alle nazioni industrializzate dell’Occidente».

Corriere della Sera, 13 febbraio 2021 (pagina 22)

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