Non vuole naufragare da solo Leon Black, fondatore del colosso del private equity Apollo Global Management e 214esimo uomo più ricco al mondo. Già costretto a dimettersi a marzo dello scorso anno a causa dei suoi legami con Jeffrey Epstein, miliardario condannato per pedofilia e morto suicida in carcere, a giugno il potente finanziere newyorkese — 70 anni e un patrimonio di 10,4 miliardi: collezionista d’arte, nel 2012 pagò 120 milioni per l’Urlo di Munch — è stato accusato di abusi sessuali dalla sua ex amante Guzel Ganieva, modella russa 38enne che sostiene di essere anche stata costretta a volare in Florida con lui per «soddisfare i bisogni sessuali» dell’amico. Quel giorno non successe niente, ma Black — afferma la modella — avrebbe abusato di lei per anni, la avrebbe manipolata e, infine, costretta a firmare un accordo di segretezza nel 2015.
Per gli avvocati di Black è tutta «opera di fantasia»; Ganieva ribatte che il magnate, oltre ad aver abusato di lei, le ha anche «rovinato la reputazione» accusandola di estorsione. Il finanziere, sposato e padre di 4 figli, nega gli addebiti, ma ammette di aver dato alla sua ex amante circa 20 milioni per non farle rivelare i dettagli di un legame durato sei anni. Ora il miliardario è passato al contrattacco e sta trascinando nella contesa alcuni dei personaggi più in vista della città. Come rivela il Financial Times, Black avrebbe chiesto di accedere ai dati telefonici di Steven Rubenstein — uno dei più importanti dirigenti nel mondo delle pr newyorkesi, che fra i clienti annovera Donald Trump, Rupert Murdoch e la stessa Apollo — e di altri pezzi grossi di Wall Street.
Rubenstein è stato informato dall’operatore telefonico Verizon, che sarà obbligato a consegnare i dati di ogni telefonata e messaggio passato sul suo iPhone nell’arco di 12 mesi: da lì Black vuole risalire ai contatti avuti dal principe delle pr con nove individui — fra cui giornalisti che hanno scritto del caso — per dimostrare di essere vittima di un tentativo di estorsione. I legali di Rubenstein definiscono la mossa «vergognosa» e scorretta. «Ogni cittadino dovrebbe inorridire — hanno commentato — pensando che a un semplice spettatore possa essere ordinato di fornire i propri dati telefonici per volontà di una parte in causa».
È stata Susan Estrich, accademica femminista che ha diretto la campagna presidenziale di Michael Dukakis nel 1988 e più recentemente ha difeso il boss di Fox News, Roger Ailes, accusato di molestie sessuali da diverse donne, a rivoltare il caso. L’avvocatessa, che a novembre si è aggiunta a una squadra di primo livello, ha invocato una norma di solito usata nei casi di mafia per sostenere che Ganieva e i suoi legali dell’importante studio Wigdor avrebbero messo a punto un piano — che coinvolge due pr e un misterioso finanziatore in grado di arrivare allo scontro con un miliardario — «per ottenere ancora di più da Black, oppure distruggerlo».
Il miliardario vuole quindi capire chi paga le spese legali della controparte: stando alla lettera d’incarico fornita alla corte, Ganieva darebbe ai suoi legali il 38% dell’eventuale risarcimento ottenuto da Black, ma lo studio Wigdor non riceverebbe nulla se la causa non dovesse andare a buon fine. Dietro, però, gli avvocati di Black intravedono l’ombra di qualcuno più potente: forse l’ex socio del finanziere, Josh Harris, che sperava di prenderne il posto, o Michael Rubin, proprietario con lo stesso Harris dei Philadelphia 76ers di basket. «È assurdo che il suo nome sia associato a questa storia», ha commentato il portavoce di Harris. Entrambi, però, sono citati nella causa intentata da Black.
Corriere della Sera, 19 gennaio 2022 (pag. 17)