I prossimi 10 giorni di guerra saranno decisivi, e i russi ne sono consapevoli. In un’analisi pubblicata dal Center for European Policy Analysis, l’ex generale americano Ben Hodges prova a fare la conta delle forze in campo in rapporto all’avanzata degli uomini di Putin e ritiene che lo Stato maggiore russo sia consapevole di correre contro il tempo: l’esercito è a corto di uomini e munizioni, l’inattesa resistenza ucraina — oltre a causare grosse perdite — ha fatto saltare i piani e costretto disperdere le unità. Non sembra che dalla madre Patria siano in arrivo rinforzi: il Pentagono non ha segnalato movimenti di truppe, neanche di quelle bielorusse. La Gran Bretagna, che ha assunto una postura tipo Radio Londra, sostiene il contrario: parla di convogli da altre regioni, Estremo Oriente compreso.

Putin, però, ha dichiarato mercoledì che tutto procede con successo. Conta sulla potenza della sua macchina bellica, sulla tattica del boa che soffoca. L’armata non deve essere sottovalutata, attenzione a confondere la situazione tattica con il quadro generale. La sensazione è che il contingente schierato non sia sufficiente in mezzi ed elementi, così si spiegherebbe anche la richiesta di aiuto ai cinesi, il ricorso ai ceceni e l’appello ai 16 mila miliziani siriani (su cui gli americani sono cauti). L’altro nodo è che i russi non sono riusciti a tagliare le linee di rifornimento della resistenza. La Nato invia altri missili anti-aerei, con portata maggiore (compresi S300), Biden approva aiuti per 800 milioni di dollari. C’è la consapevolezza del peso russo, anche l’opposizione ha i suoi guai, tuttavia è motivata.

Sul campo la battaglia ristagna. Fra i russi il morale è basso e le perdite ingenti, anche se non 13 mila come dichiara Kiev. L’ultimo rapporto della Difesa britannica spiega che le forze russe «stanno lottando per superare le sfide poste dal territorio ucraino» e «sono bloccate» nella loro avanzata. Per evitare di restare impantanate nella rasputitsa, il disgelo dei campi tipico dell’Ucraina, le colonne si sono spostate sulle strette strade asfaltate, dove si è creato un enorme problema logistico e sono diventate un facile bersaglio. Anche la riorganizzazione dei giorni scorsi non ha dato esiti, e il convoglio resterebbe sempre a 25 chilometri dalla capitale. La distruzione dei ponti da parte degli ucraini ha avuto un ruolo chiave nel mandare in stallo la progressione, un blocco al quale hanno reagito con bombardamenti estesi.

Un’analisi pessimista, quella britannica, bilanciata dal Pentagono. Chernihiv nel nord, e Mariupol, nel sud, sono isolate ma resistono sotto le bombe che continuano a cadere su tutte le principali città ucraine e hanno colpito anche Odessa dal mare. La formazione navale si è avvicinata alla costa. Esiste sempre il rischio che le truppe ucraine nel settore meridionale possano essere circondate, a quel punto non potrebbero portare aiuto a Kiev. L’impatto sarebbe pesantissimo sul piano militare e politico. I russi non hanno ottenuto il controllo dei cieli, ciò ha limitato le loro opzioni e ha permesso il raid condotto dagli ucraini sulla base di Kherson, cittadina conquistata dagli invasori all’inizio del mese. Danneggiati alcuni elicotteri. Sempre molte le vittime civili, a Mariupol, a Kharkiv e Chernihiv.

Per Mosca, nota Hodges, il tempo non corre solo sul versante militare: gli effetti delle sanzioni aumentano, il Paese è sull’orlo di un precipizio economico, in patria arrivano segnali di dissidenza. Così si possono meglio interpretare le dichiarazioni arrivate ieri dal Cremlino — Putin, Lavrov, Medinsky e Zakharov — più morbide verso Kiev ma dure contro l’Occidente: la sensazione è che la Russia stia cercando una via d’uscita che le permetta di dichiarare vittoria e scaricare le responsabilità del conflitto sul blocco occidentale.

Corriere della Sera, 17 marzo 2022 (pag 6)

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