Mosca ritiene di aver completato gli obiettivi della prima fase, ora si concentrerà sulla liberazione del Donbass. È un annuncio ufficiale che coincide, in parte, con le valutazioni del comando ucraino. La Difesa di Mosca ha fatto un punto sullo stato dell’offensiva, fornendo numeri e indicazioni sulle mosse future. Partiamo dalle perdite: 1.351 caduti e 3.835 feriti, una cifra nettamente inferiore alle stime occidentali, che variano tra i 7 mila ai 14 mila, se non di più. Il Pentagono, pur confermando un bilancio alto, ha sempre invitato alla cautela sui dati, in quanto non verificabili. Sempre Mosca ha sostenuto di aver neutralizzato l’aviazione — la realtà pare smentirlo — e «azzerato» la Marina avversaria, mentre sono state inflitte distruzioni importanti alla rete logistica. C’è poi un altro spunto: sarebbero circa 6 mila i volontari stranieri nelle file ucraine, al di sotto dei 17-20 mila annunciati nei giorni scorsi.
Il secondo aspetto riguarda l’operazione speciale. Per la Difesa, i target prefissati sono stati conseguiti ed aumenterà la pressione per allargare la presenza nella parte meridionale del Paese. Il generale Sergej Rudskoy non ha escluso che in futuro possano attaccare grandi centri, ma al momento le priorità sono a sud: i separatisti, ha specificato, al momento controllano il 93% della regione di Lugansk e il 54% di quella di Donetsk. È interessante notare che questa puntualizzazione coincide con un annuncio da parte di Kiev: i russi sarebbero riusciti a creare un corridoio parziale Crimea-Donetsk, anche se non è chiaro quanto sia profondo il dominio. Questa era una delle mete indicate dalla maggior parte degli osservatori indipendenti e da gerarchie militari: unire via terra la penisola annessa militarmente nel 2014 alla madre Russia, al momento connessa solo attraverso un ponte.
L’acquisizione della porzione di territorio potrebbe dare a Putin il modo di rivendicare una prima vittoria. Se questa sia poi costata un prezzo mostruoso è secondario. Secondo l’analista Michael Kofman, inoltre, la conquista di Mariupol potrebbe permette allo Zar di dichiarare compiuta la «denazificazione» promessa: la città, sotto assedio brutale da un mese, è difesa infatti dal battaglione Azov. Il fatto stesso che Mosca ribadisca di volersi concentrare sul Donbass non solo è ovvio, ma rappresenta un ulteriore conferma: un eventuale ridimensionamento dell’obiettivo finale — sempre che non sia solo un modo per guadagnare tempo e riorganizzare le fila — potrebbe anche essere la prova che lo Zar si è reso conto di ostacoli inaspettati, e quindi è costretto a limitare l’azione. Sarebbe una mezza vittoria o un mezzo insuccesso, a seconda dell’opinione degli schieramenti. Da Kiev rilanciano la tesi che i soldati russi sarebbero stati informati che la campagna finirà il 9 maggio, data in cui si celebra la sconfitta del nazismo: un aspetto particolare, che contrasta però nettamente con il tradizionale buio nel quale sono lasciati fanti e gli ufficiali minori.
Ad un mese dall’assalto, il Cremlino introduce dunque la sua narrazione, risponde agli scenari negativi dipinti dagli esperti e alle notizie che descrivono l’Armata in difficoltà, cerca di dare un segnale che l’iniziativa resta sempre nelle sue mani. Sul campo le informazioni raccontano di combattimenti, di manovre degli ucraini per incalzare gli invasori nelle regioni attorno alla capitale: sono rapide incursioni per incidere su depositi, concentramenti di truppe, linee logistiche-comunicazione. Sul fronte di Kherson sarebbe stato ucciso un altro generale dell’Armata, Yakov Riezantsev, episodio da confermare: di solito serve qualche giorno prima di trovare riscontri attraverso un annuncio ufficiale oppure le esequie pubbliche con il picchetto d’onore. Il web è pieno delle foto di queste cerimonie.
Le unità di Zelensky hanno aperto vuoti nello schieramento nemico grazie a tattiche e armi, tuttavia per condurre una controffensiva hanno bisogno di artiglieria e tank. Ne hanno persi tanti anche loro. Ecco la richiesta alla Nato di fornirli, insieme ad elicotteri d’attacco e aerei, compresi quelli per il supporto delle forze al suolo (tipo i Sukhoi) e caccia: una trentina per tipo, precisa la Cnn. Sempre il presidente — afferma l’emittente americana — ha sollecitato l’invio quotidiano di 500 missili anti-tank Javelin e di altrettanti anti-aerei Stinger, una quota importante da integrare con gli apparati S300 (anti-aerei per alte quote) promessi dalla Slovenia.
Tra quanto detto in pubblico e la realtà c’è la terra di mezzo. Esperti segnalano voli per caricare probabilmente nuovi droni turchi Tb2 e altre forniture non dichiarate. Sarebbe strano l’opposto. È un conflitto in cui vediamo molto, ma non tutto: per questo i giudizi devono sempre essere accompagnati dal condizionale.
Corriere della Sera, 25 marzo 2022