Nel discorso televisivo alla nazione con cui ha annunciato la mobilitazione parziale e segnato il passaggio dall’operazione militare «speciale» alla guerra reale, Vladimir Putin ha denunciato la «retorica nucleare pericolosa e sconsiderata» della Nato, che vuole «indebolire, dividere e distruggere la Russia». Gli alleati occidentali si affidano alla «minaccia nucleare», ha detto, ma «se la sua integrità territoriale sarà minacciata, la Russia userà tutti i mezzi a disposizione per difendere il Paese e la popolazione»: parole che lasciano presupporre un ricorso alle armi nucleari nel caso la Russia dovesse sentirsi minacciata. «Questo — ha aggiunto — non è un bluff».

Se finora l’uso di armi nucleari era stato considerato possibile ma poco probabile dalle intelligence occidentali, le stesse che hanno predetto con largo anticipo ogni mossa del neo-zar in questo conflitto, la situazione potrebbe essere improvvisamente cambiata con i referendum indetti dalle autorità filorusse nei territori occupati dell’Ucraina che, anche se probabilmente caratterizzati da brogli e non riconosciuti dal diritto internazionale, permetteranno al Cremlino di dichiarare le regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia parti integranti della Federazione russa. E, di conseguenza, sotto attacco da parte delle forze ucraine, per di più con le armi fornite dagli alleati.

Putin del resto ha ricordato più volte che, già ai tempi della Guerra fredda, l’Unione Sovietica prevedeva la possibilità di ricorrere all’atomica nel caso in cui il territorio nazionale fosse minacciato dal nemico. Le sue parole sono state interpretate come un segno di debolezza, ma anche come un tentativo di alzare la tensione. «Ha fatto una minaccia nucleare all’Europa», ha sintetizzato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden rivolgendosi all’Assemblea generale dell’Onu. «Non è una novità, lo ha già fatto in passato», ha replicato il segretario della Nato Jens Stoltenberg. «Sa perfettamente che una guerra nucleare non deve essere combattuta e non può essere vinta. Ha fatto un grande errore strategico e si ritrova a questo punto».

La minaccia nucleare potrebbe essere soprattutto un deterrente, un modo per intimorire l’opinione pubblica internazionale e frenare i rifornimenti a Kiev, ma — notano le stesse fonti che hanno letto con precisione le mosse russe — è difficile interpretare il pensiero di Putin ora che si ritrova con le spalle al muro. Secondo i dati della Federazione degli scienziati americani, la Russia dovrebbe avere 5.977 testate nucleari, 1.500 delle quali sono però in via di smantellamento: delle restanti 4.500, gran parte sono «strategiche», ovvero missili balistici intercontinentali o razzi a lunga gittata, mentre il resto sono armi «tattiche», ovvero ordigni con raggio limitato ma effetti comunque devastanti, che il neo-zar potrebbe utilizzare in caso di sconfitta, magari come gesto dimostrativo.

Il Cremlino, tuttavia, ha giocato spesso con le dichiarazioni alludendo a una escalation in modo nebuloso, per poi negare. Il 27 febbraio Putin aveva annunciato ad esempio la messa in stato d’allerta delle forze di deterrenza nucleare, quindi il ministro della Difesa Shoigu aveva ridimensionato la misura. Erano state però notate esercitazioni dei sottomarini atomici. Nelle settimane successive il capo della diplomazia Sergei Lavrov aveva sostenuto che un’eventuale Terza guerra mondiale sarebbe stata nucleare, sortita corretta in seguito. A metà agosto, poi, Shoigu aveva affermato che il suo Paese «non ha bisogno» di ricorrere all’arsenale nucleare in Ucraina, spiegando che quelle armi servono per garantire la sicurezza nazionale, nel caso di un’aggressione contro la madrepatria. Esattamente il concetto ribadito ieri da Putin.

Corriere della Sera, 22 settembre 2022 (pag 5)

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