Il Cremlino, in questa fase, usa tutto il suo arsenale di armi e di propaganda. Vladimir Putin insiste sul fronte nucleare presenziando alle esercitazioni, i suoi ministri intervengono sempre sulla «bomba sporca» che — a loro dire — potrebbero usare gli ucraini, e lanciano nuovi temi. Sorprendenti.
Gli avvisi
Aleksey Pavlov, vice segretario del consiglio di sicurezza, e il dittatore ceceno Ramzan Kadyrov parlano di «de-satanizzare» l’Ucraina, provano a usare la religione con un’alleanza di musulmani e cristiani uniti dalla lotta al nemico comune, implicano l’esistenza di «numerose sette». Una miscela per alimentare l’operazione speciale, un’aggiunta alla versione iniziale della guerra «ai nazisti di Kiev». Spunti verbali che si riflettono anche nelle sparate dei commentatori attestati su posizioni estreme, con gli appelli a bruciare o annegare i bambini.
È un modo per preparare l’opinione pubblica a momenti difficili. In particolare nel settore meridionale, attorno a Kherson, l’obiettivo della prolungata offensiva. I generali di Zelensky si aspettano la battaglia «più pesante» per liberare la città. Gli invasori, a dispetto degli annunci di sgombero di 70 mila civili, hanno rafforzato le loro difese, costruito posizioni, schierato soldati. Le vie di comunicazione e i depositi restano il target costante delle artiglierie ucraine. Ci sono movimenti anche nella regione orientale di Bakhmut: le unità di Mosca erano in vantaggio, ma negli ultimi giorni hanno perso posizioni. È la guerra, con l’andamento oscillante.
Nuovi mercenari?
Il sito Foreign Policy scrive che la compagnia di sicurezza russa Wagner avrebbe contattato ex membri delle unità scelte afghane, un tentativo di reclutarli e mandarli a combattere in Ucraina. Sarebbe «ironico» visto che sono stati addestrati dagli Usa e con largo dispendio di risorse. Aspettiamo conferme dal terreno. All’inizio del conflitto erano state diffuse notizie sull’arrivo di mercenari siriani e africani nei ranghi dell’Armata di Putin, ma non si sono visti. Il riferimento continuo alla società diretta da Yevgeni Prigozhin è una conseguenza di alcuni fattori: i suoi uomini hanno un ruolo effettivo; l’alto esponente prosegue nella sua campagna personale per prendersi meriti e dimostrare di essere più efficace dei generali; c’è un’attenzione da parte dei media internazionali.
Lo spionaggio
Mosca ha liquidato come «una mania» le accuse di spionaggio contro un ricercatore arrestato in Norvegia. Per gli inquirenti Josè Giammaria, 37 anni, si è fatto passare per brasiliano ma in realtà è un russo infiltratosi nell’università di Tromsoe allo scopo di ottenere informazioni sull’Artico. La presunta «talpa» ha seguito un sentiero con una triangolazione. Ha vissuto in Canada, nella zona di Calgary, è stato parte dello staff di un candidato politico nel 2015, quindi si è laureato all’ateneo locale, ha preparato alcuni report su questioni strategiche (in uno auspicava la creazione di basi canadesi nella zona artica) ed ha poi ottenuto di essere presentato al centro di ricerche norvegese dove è arrivato nel 2021. Qui, seguendo un comportamento prudente, si è immerso. Ha creato un muro attorno alla propria vita privata, ha evitato di usare (e lasciare tracce) sui social spiegando anche di essere contrario a questi sistemi, ha partecipato a meeting dedicati ai conflitti e alle crisi «ibride».
Il padrone dell’appartamento che aveva affittato nel seminterrato di una palazzina lo ha descritto con la classica etichetta del «tipo tranquillo, che non crea problemi». E non li ha creati neppure sul posto di lavoro, anche se qualcuno si era fatto delle domande.
1) Non era stipendiato e viveva del suo.
2) Il suo accento — spiegano — era «strano» e non era certo brasiliano.
3) Riservato sui fatti suoi, molto curioso su quelli degli altri.
Un suo collega gli aveva chiesto infatti se fosse una spia, una battuta scherzosa che forse si portava dietro un sospetto. E magari l’allarme è scattato proprio nei corridoi dell’università, a meno che non siano arrivate anche segnalazioni dall’esterno grazie alla collaborazione con l’intelligence occidentale. Il portavoce dei servizi ha precisato che il fermo è il risultato di sforzi internazionali, frase che implica un’attività di contrasto insieme agli alleati. Per ora è stato escluso che «Josè Giammaria» abbia messo le mani su segreti, però ieri le fonti ufficiose hanno evocato la minaccia alla sicurezza nazionale.
Corriere della Sera, 26 ottobre 2022