Il binario della crisi: l’abbandono di Kherson da parte di Mosca è accompagnato dai segnali contrastanti sulle possibili iniziative diplomatiche in grado di fermare le ostilità. Un percorso sempre stretto.
Una ricostruzione sul New York Times getta luce sui contrasti all’interno dell’amministrazione Usa, divisa tra due «anime», come testimoniato da dichiarazione pubbliche. Giovedì, a sorpresa, il capo di Stato Maggiore americano Mark Milley, dopo aver evidenziato l’alto numero di perdite (100 mila tra morti e feriti in ognuno dei due schieramenti), ha affermato che si è aperta un’opportunità di trattativa. Una sortita che avrebbe irritato la Casa Bianca. Joe Biden ha subito reagito ripetendo lo slogan che spetta all’Ucraina decidere. Il botta e risposta disegna le posizioni. Il vertice del Pentagono ritiene che nessuno possa conseguire una vittoria schiacciante, per questo serve trovare alternative. La valutazione risente anche dei timori di un conflitto infinito, con molte vittime e l’alto dispendio di risorse (armi, scorte). Il presidente non è contrario al dialogo, ci sono stati contatti riservati con i russi, però non vuole fare passare il messaggio che sia lui a dettare l’agenda a Kiev — così darebbe ragione alla propaganda del Cremlino — e recepisce l’appello di quanti ritengono sia un errore fare regali agli aggressori. Specie quando le cose vanno male per loro, costretti a ritirare quasi 30 mila uomini dalla regione di Kherson.
Il quotidiano ricorda come la recente visita in Ucraina di Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale, sia stata vista da alcuni come una missione per sondare il terreno. Interpretazione negata. La verità sta nel mezzo, ben descritta dal commento di un esperto: stanno preparando il tavolo del negoziato ma non si sono ancora seduti. Probabile che lo faranno più avanti. Discutono anche gli «strateghi» su cosa accadrà durante l’inverno: una parte prevede rallentamenti nelle operazioni, un’altra considera che invece la resistenza manterrà la sua spinta, grazie anche al supporto di nuovo materiale Nato. Alcune di queste analisi sono vicine alla realtà, tuttavia sono anche evidenti le difficoltà di vedere oltre la nebbia di guerra. Fino a pochi giorni fa commentatori autorevoli prevedano che lo sgombero da Kherson avrebbe preso settimane e invece tutto si è svolto in modo più veloce. Interpretazione: quando i russi nelle scorse settimane dicevano che se ne stavano andando lo facevano sul serio, mentre gli ucraini ribattevano il contrario spiegando che gli occupanti stavano rafforzando le linee. Come sempre le «letture» dei fatti sono variabili, risentono della propaganda e degli obiettivi da conseguire.
Nel mezzo della polemica sul negoziato, a voler ribadire l’appoggio concreto all’amico, gli Stati Uniti hanno annunciato un pacchetto di aiuti in favore dell’Ucraina: 400 milioni di dollari necessari a fornire munizionamento per i cannoni e mortai, proiettili, sistemi anti aerei, un centinaio di fuoristrada Humvee (per garantire maggiore mobilità e protezione) e «set» di divise invernali, così indispensabili in un teatro duro. A margine — però collegati — ci sono i possibili contrasti tra americani e sud coreani. Gli Usa hanno comprato un milione di munizioni da 155 millimetri a Seul, un carico che dovrebbe finire nei depositi di Kiev, ordigni necessari per il duello a distanza con l’avversario.
La storia ha innescato la precisazione formale della Sud Corea: il contratto prevede l’utilizzo solo da parte del Pentagono, siamo contrari a inviare equipaggiamenti bellici in Ucraina. Da quando è scattata l’invasione, le triangolazioni di armamenti sono diventate una costante e la foglia di fico per celare — neppure troppo — le spedizioni da parte di Paesi che dichiaravano la neutralità. Importante, per il futuro, l’annuncio dell’Unione Europea: entro marzo sarà completato il training di 15 mila soldati ucraini, un contingente che si aggiungerà alle migliaia di uomini addestrati in Gran Bretagna da un pool di Paesi. È il proseguimento del programma a lungo termine con il quale Kiev potrà restituire vigore a reparti affaticati da mesi di guerra. Possibile che ulteriori passi saranno decisi, tra qualche giorno, in una riunione dei donatori.
L’intelligence, oltre a seguire l’evoluzione della «campagna», ha i suoi sorvegliati speciali. Tra questi il sottomarino russo Belgorod. Uscito in Artico per un possibile test del drone nucleare Poseidon — questo è ciò che affermavano ambienti Nato — è poi rientrato nella propria base. Secondo informazioni passate alla Cnn avrebbe incontrato noie tecniche che hanno impedito la prova di una delle super armi spesso celebrate da Vladimir Putin. Non vi sono conferme indipendenti all’indiscrezione usata da Washington per evocare i soliti guai della potenza rivale.
Corriere della Sera, 11 novembre 2022 (pag 13 del 12 novembre)