È avvenuto in Siria e ora si ripete in Ucraina: la moltiplicazione di milizie per fiancheggiare l’azione del contingente inviato da Mosca. Il taccuino di oggi parte da un annuncio, vedremo se avrà un seguito concreto.
Sarà presto formata — secondo il canale Telegram Mash — una società militare privata che agirà sotto il vessillo della Chiesa ortodossa e affiancherà le truppe regolari di Mosca in Ucraina. Ne faranno parte battaglioni ribattezzati «Croce di Sant’Andrea», elementi «benedetti» da esponenti religiosi e destinati a partecipare alla mobilitazione strisciante. È un cocktail pieno di simboli: patriottismo, fede, nazionalismo. Del resto molti reparti — anche di leva — prima di partire per la zona di operazione sono benedetti dai religiosi, un gesto per «santificare» la missione contro il nemico. Come sempre c’è una differenza tra i propositi e la realtà, ma non sarebbe poi così strano se il progetto dovesse portare alla nascita delle unità in parallelo ai mercenari della Wagner. Sono tornate anche le informazioni su un possibile impiego di combattenti siriani da parte del Cremlino, nuclei trasferiti di recente ma rimasti in retroguardia. Lo ha scritto il sito Middle East Eye riproponendo una storia già uscita ma priva di riscontri effettivi e dunque, per ora, va solo registrata come voce.
Le analisi degli esperti sono concentrate sulle possibili mosse della resistenza.
1) Il controllo di Kherson permette di tenere sotto tiro con gli Himars gli occupanti sulla riva orientale del Dnipro.
2) Proseguirà la strategia del logoramento per ostacolare la logistica dell’Armata.
3) Possibili incursioni di forze speciali.
4) Individuazione di possibili punti deboli in un sistema difensivo articolato in tre linee di trincee, postazioni, bunker.
Gli esperti aggiungono che i danni pesanti subiti dal ponte di Kerch in Crimea rappresentano un problema in più nel garantire rifornimenti, in particolare di carburante. Un ricercatore, invece, è tornato «indietro» sul ritiro degli occupanti. Il generale Surovikin, oggi al comando della missione, ha deciso di lasciare la città perché mantenere il flusso di aiuti era insostenibile e la località non poteva essere usata come punto di partenza per un’offensiva. Le condizioni erano sfavorevoli, altre sarebbero le priorità di Mosca, con maggiore interesse per il settore orientale e la volontà di stabilizzare il fronte sfruttando i mobilitati. Una decisione plausibile in un’ottica militare, razionale, ma che resta negativa sul piano politico. Siamo sempre in una crisi fatta di fasi, i leader guardano al momento e in profondità. Mykhailo Podolyak, uno dei consiglieri di Zelensky, ha affermato che il Cremlino non è ancora pronto a negoziare, accadrà solo dopo la liberazione di Donetsk e Lugansk e dovrà tener conto del calo di supporto nell’opinione pubblica, «dall’oligarca al calzolaio». È un confronto di pareri e sarà il campo a determinare il verdetto.
Corriere della Sera, 13 novembre 2022