L’Ucraina consolida i successi, guarda avanti e tiene impegnati i nemici mentre è altrettanto intensa la diplomazia, con colloqui a sorpresa russo-americani.
Lo sbarco
Unità delle forze speciali avrebbero compiuto un’incursione con sbarco nella penisola di Kinburn, lingua di terra a ovest di Kherson che si affaccia sul Mar Nero. I commandos sono arrivati a bordo di battelli veloci o gommoni (ci sono dei video) per compiere una missione «letta» al momento con molte interpretazioni:
1) Un’operazione per neutralizzare batterie di missili e rendere difficile l’uso di droni-kamikaze che sarebbero stati lanciati da questa zona.
2) Una manovra diversiva.
3) Un attacco parte dell’azione di logoramento strisciante.
Nei giorni scorsi si era parlato della presenza di sistemi S300 anti-aerei, dell’arrivo di nuovi reparti di mobilitati e la resistenza potrebbe aver deciso di dare un «colpo». Inoltre il ricorso alla componente anfibia e fluviale era stato in qualche modo anticipato, con il coinvolgimento di droni marittimi e vedette da parte di Kiev, sempre in omaggio a tattiche agili, compatibili con i mezzi a disposizione. Gli esperti fanno però notare che le caratteristiche della «punta» permettono movimenti ridotti: sono poche le strade, il terreno è stepposo e sabbioso, esistono difficoltà nel garantire un supporto. La mancanza di elementi certi non permette di valutare in pieno l’iniziativa.
Le prossime mosse
Molti si aspettano un’offensiva degli invasori nella regione orientale usando le reclute appena formate e reparti spostati dal settore meridionale. Sulla carta i russi possono gestire meglio le truppe a disposizione schierandole su una «linea» ridotta e questo aiuta a contenere i ben noti problemi di rifornimento. È un dato di fatto: sono passati mesi di guerra ma lo Stato Maggiore di Putin ha continuato ad arrancare nella logistica, perché arcaica, superata. I generali di Zelensky promettono — sempre sulla carta — nuove spinte, il presidente lo ribadisce ma i suoi uomini devono misurarsi con le difese nemiche e la necessità di concedere una pausa ai combattenti.
La liberazione di Kherson permette di accorciare le distanze, così l’artiglieria a lunga gittata può tenere sotto tiro la ferrovia — la tratta Donetsk-Melitopol-Djankoi — e assi stradali, passaggi obbligati per alimentare i battaglioni attestati sulla riva orientale del Dnipro. Le analisi occidentali sono concordi nel sottolineare l’importanza di alcuni fattori decisivi — non gli unici — nella campagna di Kiev. La precisione degli Himars e di altri sistemi nel distruggere target importanti, depositi e centri comando. Le dritte dell’intelligence, indispensabili per scovare i bersagli. Ma anche la decisione della Russia di ritirarsi sull’altro lato del fiume, scelta obbligata che ha evitato scontri feroci a Kherson, con un ripiegamento meno caotico rispetto alla fuga da Kharkiv. E ciò concede margini al partito dei prudenti che invita a non sottostimare l’Armata, a rammentare la lunghezza della crisi, con quello che ne può scaturire.
Giochi di spie
Sempre da seguire i contatti riservati. Il direttore della Cia, William Burns, ha incontrato ad Ankara il responsabile dell’intelligence esterna Sergey Naryshkin. Le fonti hanno dato la solita spiegazione: sono colloqui per evitare incidenti e i rischi dell’Apocalisse nucleare, sono stati affrontati i casi di due cittadini americani detenuti in Russia. Le voci ufficiose hanno precisato che i due protagonisti non avrebbero toccato il tema negoziato. Se lo hanno fatto lo lasceranno dire alle indiscrezioni, parole che possono essere smentite. Il vertice, tra l’altro in un Paese che si è proposto mediatore, conferma il ruolo della diplomazia affidata alle spie. Proprio Burns volò a Mosca per scongiurare l’invasione e la cosa venne rivelata, dimostrazione dell’intelligence che gioca a carte (relativamente) scoperte perché è utile farlo. In quei mesi invernali sempre gli Stati Uniti, usando gli stessi canali, offrirono ripetutamente alla Cina le prove che il neo-zar era pronto ad attaccare l’Ucraina solo che a Pechino pensavano fosse un tentativo di seminare zizzania e non hanno creduto all’allarme. Un po’ come certi governi europei. Ora un funzionario cinese ha spiegato al Financial Times che Xi Jiping non era stato avvertito da Putin sull’invasione, quindi la Repubblica popolare sarebbe stata ingannata. Chi dice la verità?
Corriere della Sera, 14 novembre 2022