Continua in Svezia la caccia alle spie. Con un’operazione-show i servizi di sicurezza hanno fermato una coppia sospettata di «lavorare» per una potenza straniera non identificata. Ma le indiscrezioni sui media chiamano in causa Mosca. I giochi di ombre muovono in parallelo a quelli militari della crisi ucraina.

Il blitz

Un team di forze speciali si è calato da due elicotteri sull’abitazione dei «bersagli» nei sobborghi di Stoccolma mentre a terra sono entrati in azione agenti e funzionari del Sapo, il controspionaggio. Un blitz parte di un’indagine sulla quale sono ancora pochi i dettagli. I due, sulla sessantina, sarebbe arrivati nel Paese dalla Russia negli anni ‘90, stabilendosi nella capitale. Prima hanno vissuto in un appartamento, quindi si sono trasferiti in una villetta. Esistenza normale, senza destare in apparenza allarme. Gestivano una società di import-export, i vicini li descrivono — al solito — come persone cortesi, pronte a ricambiare il saluto, però riservate. Stavano sulle loro. Ma questo come migliaia di altri esseri umani.

E dietro lo schermo di gesti quotidiani — secondo l’accusa — avrebbero condotto un’attività spionistica intensa. I target erano svedesi e altri riguardati un Paese terzo (gli Stati Uniti?). Un portavoce dei servizi ha giustificato così il ricorso al commando elitrasportato: dovevano agire in modo rapido per evitare che eliminassero prove buttandole nel wc o distruggendo la memoria di un eventuale pc. L’arresto segue l’incriminazione di due fratelli, sempre in Svezia, arruolati dall’intelligence militare di Putin, il GRU. Uno di loro faceva parte del Sapo.

Le forniture

Il tema dell’aiuto all’Ucraina ruota attorno ad aspetti a volte contrastanti. C’è la determinazione nel garantire supporto, emergono segnali di stanchezza nelle opinioni pubbliche, esistono difficoltà politiche e tecniche. Frequente il richiamo a scorte ridotte in casa Nato. Tuttavia l’assistenza in favore della resistenza non viene meno. Washington ha autorizzato mercoledì il 26esimo prelievo di armamenti dal suo arsenale per spedire a Kiev nuovo materiale con un valore di 400 milioni di dollari. Include: missili anti-aerei Nasams, mitragliatrici per contrastare i droni, munizioni per Himars e per cannoni da 155 mm, missili anti-radar, 10 mila granate per mortaio, 150 fuoristrada, 100 veicoli tattici, ricambi 100 generatori. La Gran Bretagna ha annunciato l’invio a Kiev di tre elicotteri da trasporto Sea King, velivoli che erano in servizio con la propria difesa. Il 19 novembre Londra ha approvato un nuovo pacchetto con sistemi anti-aerei, stessa cosa ha fatto la Svezia.

Sedici parlamentari statunitensi (democratici e repubblicani) hanno scritto una lettera alla Casa Bianca sollecitando la fornitura di droni d’attacco Grey Eagle. Se ne discute da tempo, con alcuni esperti piuttosto scettici sulla loro utilità in uno scenario dove le difese anti-aeree russe sono comunque temibili. Ankara, invece, avrebbe venduto razzi a guida laser, armi che possono agire in tandem con i droni TB2 turchi (illuminano il bersaglio). L’Ucraina ha bisogno di allungare il tiro della propria artiglieria per aumentare la pressione su linee logistiche e posizioni degli invasori: l’attuale munizionamento degli Himars arriva ad 80 chilometri.

Campo russo

È un cavallo di ritorno. I droni-kamikaze iraniani ceduti a Mosca contengono componenti prodotte da ditte basate in Asia, Europa e Stati Uniti. E questo nonostante siano in vigore le sanzioni. È una sorpresa? Per nulla. Missili e velivoli come questi sono impiegati nella campagna di terrore scatenata dalla Russia, molti gli obiettivi civili ucraini. Anche nelle ultime ore i bombardamenti hanno provocato danni e vittime. Da seguire, infine, le indiscrezioni del sito russo Vertska: è possibile che il Cremlino ordini una seconda mobilitazione a cavallo della fine dell’anno. Missione complessa per la cattiva organizzazione, l’equipaggiamento scarso, i soliti nodi vecchi quanto l’Armata rossa.

Corriere della Sera, 23 novembre 2022

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