Maria Tsalla se ne è andata da Atene il 4 gennaio, imbarcandosi su un volo per Mosca. Una partenza frettolosa senza dare troppe spiegazioni. Perché Maria non poteva darle: secondo l’intelligence ellenica il suo vero nome è Irina Alexandrovna Smireva ed è una spia russa. L’ultima ad essere scoperta in una rete senza fine attraverso l’Europa. Affascinante la trama.

La donna, bell’aspetto, sulla trentina, arriva in Grecia nel 2018, sostiene di essere figli di immigrati all’estero, racconta di aver venduto i beni che aveva in Brasile per sistemarsi nell’Attica e iniziare una nuova esperienza. Vuole mettersi in regola, esibisce un certificato di nascita, si registra in Comune, fa le cose per bene. Almeno è ciò che appare all’ufficio dell’anagrafe. Ha disponibilità finanziaria, dice di essere fotografa e poi apre un negozio nel quartiere di Pangrati, nella capitale. Vende maglie fatte a mano, monili. Ad aiutarla una commessa che oggi ricorda la gentilezza e la premura nell’insegnarle il mestiere. Maria è poliglotta — sa almeno tre lingue —, studia un po’ di greco e conduce un’esistenza molto intensa. Ha un compagno, frequenta persone, appare inserita, usa account social per fare pubblicità ai suoi prodotti e alla bottega. Uno specchio perfetto mandato in frantumi dalla polizia slovena che smaschera due sedicenti argentini, Maria Munos e Ludwig Gisch, antiquari e imprenditori, in realtà agenti segreti russi. Un’altra pista emerge in America Latina, dove agisce il marito-collega di Maria-Tsalla. Le «formiche» del termitaio russo si agitano, sono in apprensione, fiutano aria di pericolo.

Maria Tsalla forse teme di essere scoperta, decide di mollare tutto. Decisione giusta perché sembra che la Slovenia abbia trovato dei collegamenti e avvisa i servizi greci. L’indagine parte dai dati anagrafici e gli 007 capiscono subito: la negoziante ha ingannato tutti rubando l’identità ad una neonata deceduta nel dicembre del 1991. Tecnica da manuale, impiegata durante la Guerra Fredda, mai abbandonata. Di solito le spie preferiscono rubare nome e cognome di bimbi piccoli perché è più facile inventare il passato di qualcuno che ha vissuto poco. È il tassello numero uno della «leggenda» costruita dal comando, un racconto credibile, in grado di resistere alle domande di un conoscente, all’attenzione di un vicino troppo curioso e a quelle di poliziotto in caso di un controllo per altre ragioni. Contano le parole, contano i gesti quotidiani. È un abito cucito su misura. Più è preciso e più chi lo indossa può procedere nel travestimento personale. Maria l’ha portato bene quel «vestito», forse non sarebbe stata mai localizzata se non fosse stato per il flop dei presunti complici «argentini».

Ma c’è altro. Il marito collega della «greca» si fa chiamare Daniel Campos, «peruviano» (in realtà agente russo), abita in Brasile dove ha una seconda compagna. A dicembre le dice che parte per la Malesia ma non si fa più sentire e la donna, preoccupata, denuncia la scomparsa attorno ai primi di gennaio. Non solo. Diffonde la foto dell’uomo di fatto «bruciandolo». Secondo una versione, è quest’elemento a indurre Maria Tsalla a lasciare la Grecia. Oppure entrambi sono stati costretti a filare via da quanto stava avvenendo in Europa con controlli a tappeto da parte degli apparati di sicurezza. La vicenda di Daniel Campos ci riporta dall’altra parte dell’Atlantico.

Il Brasile è infatti spuntato nei casi di altre spie russe in Olanda e Norvegia. Due «ricercatori» che si facevano passare per brasiliani: nel primo episodio il protagonista aveva conservato degli appunti — atteggiamento strano — con i passaggi della sua «leggenda». Maria-Irina ricorda l’operazione di una terza Maria, Maria Adela, fuggita dall’Italia in Russia dopo aver rastrellato informazioni negli ambienti Nato a Napoli. Aveva cercato — senza successo — di ottenere documenti puliti peruviani, un ostacolo burocratico che non le ha impedito di entrare in Italia, gestire un’attività commerciale con la vendita di gioielli — in realtà roba cinese — creare relazioni utili e andarsene al momento giusto.

Uno sganciamento rapido nel settembre del 2018, provocato da un buon motivo: il sito investigativo Bellingcat aveva pubblicato un report dove forniva informazioni sull’Unità 29155 del Gru, l’intelligence militare russa sospettata per l’attacco contro l’esule Sergey Skripal con la sostanza letale Novichok. Ha avuto paura, ha preferito mandare a monte quanto aveva realizzato nel tempo e con grande pazienza.Maria Tsalla una volta al sicuro ha telefonato alla commessa del suo negozio per comunicarle che non sarebbe più tornata per «motivi familiari». Stranamente ha lasciato documentazione e un computer nel locale, materiale ora analizzato dal controspionaggio. Al setaccio i molti viaggi della trentenne: quale era il suo ruolo? A cosa si interessava? La residenza in Grecia era solo un appoggio per ricognizioni all’estero? Sono le prime domande alle quali il controspionaggio dovrà rispondere.

L’insieme delle storie formano un sentiero, descrivono un modus operandi ripetuto, quasi monotono, a tratti con poca fantasia. Ai «creatori» della leggenda piace un nome comune come Maria, hanno la passione per il Sud America perché è una buona sponda per inventare un’esistenza dal nulla e sono fedeli alla tradizione. Vale per i morti che «rinascono» o le radioline a onde corte per trasmettere i messaggi: se continuano ad usare i cari vecchi sistemi è perché, comunque, funzionano.

Corriere della Sera, 17 marzo 2023

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