L’uomo che salvò il flipper in America

C’è stato un lungo periodo, oltre tre decenni, in cui il flipper è stato vietato a New York: era considerato gioco d’azzardo, una «porcheria» che corrompeva i giovani, e per questo nel 1941 il sindaco Fiorello La Guardia lo aveva messo fuorilegge. Gli appassionati si rifugiarono allora nelle salette sul retro dei locali e negli scantinati, quelle stanze buie e segrete che da sempre nascondono i «vizi» newyorkesi: l’alcol durante il proibizionismo, le bische clandestine, oppure i party durante il recente periodo dei lockdown. Poi, nel 1976, un 25enne divorziato che scriveva per la rivista Gq ed era appassionato di «pinball», come viene chiamato negli Stati Uniti, ha cambiato le regole del gioco, dimostrando a un riluttante consiglio comunale che colpire quella biglia e fare punti non era azzardo, ma «soltanto» abilità.

Convinto a fare una dimostrazione dal vivo dalla Music & Amusement Association, che aveva bisogno di un autodidatta senza rapporti finanziari con l’industria dei flipper per riuscire a far abolire quella vecchia legge adottata anche nelle principali città d’America, Roger Sharpe riuscì nell’impresa di liberare il gioco dopo 35 anni di illegalità: i flipper tornarono così a popolare i bar e quel 25enne — ormai 72enne — è diventato un mito assoluto per la comunità del pinball. Questa storia, come ha raccontato sul Washington Post Adam Ruben, autore di un libro sull’argomento, è uno degli aneddoti più celebri sul flipper, che lo stesso Sharpe ha ripetuto infinite volte, una sorta di mito fondativo di una disciplina che ha centinaia di migliaia di appassionati in tutto il mondo.

Nonostante i dubbi iniziali del suo protagonista — «Sono una nota a piè di pagina della Storia», ha replicato quando gli è stato proposto il progetto — questa vicenda è ora diventata un film, scritto dai fratelli Austin e Meredith Bragg e appena uscito nelle sale americane con il titolo Pinball: The Man Who Saved the Game. Non è soltanto un film sul flipper, però, né probabilmente un’opera memorabile, ma è la vicenda umana dell’uomo che lo ha salvato, sconfiggendo il nemico incarnato da un foglio di carta in uno schedario e che — senza rendersene conto — è diventando davvero una nota a piè di pagina della Storia: oggi Sharpe vive nell’area di Chicago e lavora ancora nel settore, aiutando con la sua società di consulenza i produttori di flipper a ottenere accordi licenza.

Corriere della Sera, 28 marzo 2023 (newsletter AmericaCina)

Il capo delle ferrovie ucraine diventa ministro: cosa significa, per il futuro della guerra

Il taccuino militare di oggi è dedicato al doppio tema: l’autarchia degli armamenti in Ucraina e l’assistenza diretta da parte dell’Occidente.

Partiamo da un protagonista: Oleksandr Kamyshin. Ha diretto con grande abilità le ferrovie ucraine, importanti per sostenere le forze armate e assicurare i trasferimenti dei civili in un Paese dove è impossibile utilizzare gli aerei. La rete ha continuato a funzionare nonostante i bombardamenti russi. I convogli hanno trasportato materiale bellico ma anche le delegazioni straniere. Ora Kamyshin, 38 anni, ha un nuovo incarico: ministro dell’Industria strategica. Dovrà aumentare e migliorare la realizzazione di armi nelle fabbriche locali.

L’industria di Kiev ha una lunga tradizione in campo bellico, nata ben prima dei recenti conflitti. La crisi l’ha costretta però ad operare in condizioni di emergenza trovando soluzioni per integrare l’aiuto esterno. Ha modificato droni civili e militari (un modello da ricognizione è stato trasformato in sistema a lungo raggio), ha perfezionato un tipo di cannone di semovente, ha realizzato un missile — il Neptune — impiegato con successo nell’attacco contro l’ammiraglia russa Moskva in Mar Nero, ha aperto una rete di officine per rimettere in servizio mezzi danneggiati in battaglia e quelli catturati, ha creato un battello-kamikaze, ha rilanciato la produzione di munizioni per artiglieria, ha lavorato per integrare materiale fornito dall’Occidente con piattaforme di concezione «sovietica».

Adesso, però, deve sostenere uno sforzo prolungato. Come hanno più volte indicato gli alleati, è indispensabile che accresca linee autonome contando, in qualche caso, sulla collaborazione europea. Esistono già delle realtà — come il patto con gli slovacchi che ospita impianti per proiettili e riparazione —, altre sono ancora in fase di progettazione. Oltre alle normali difficoltà tecniche c’è la necessità di garantire la protezione dei siti, target privilegiato dei russi.

A proposito di equipaggiamenti. Londra ha annunciato la fine dell’addestramento degli ucraini che dovranno usare i 14 carri Challenger 2 donati dalla Gran Bretagna. Insieme ai tank gli inglesi invieranno 20 blindati Bulldog e 30 cannoni semoventi AS-90. Un passaggio raccontato da un video diffuso dal Ministero della Difesa, dove sono raccontati in dettaglio le fasi del training.

Il programma accompagna quello dei Leopard tedeschi messi a disposizione (o promessi) da numerosi Stati della Nato: secondo fonti ufficiali, numerosi esemplari saranno al fronte entro aprile-maggio. In queste ore il governo ha confermato l’arrivo di 18 tank dalla Germania. L’insieme dei corazzati — carri e blindati — dovrà dare maggiori possibilità a Kiev nelle prossime settimane, se e quando scatterà l’offensiva. Gli esperti ripetono in modo monotono che saranno cruciali le modalità di impiego, l’interazione tra sistemi/mezzi/reparti, le manovre coordinate sul campo e la logistica. I tank hanno bisogno di manutenzione, le operazioni sono usuranti, più c’è tecnologia a bordo e più è necessario disporre di personale in grado di risolvere guai: non in una caserma britannica o statunitense, ma in punti il più vicino possibile al «teatro».

Corriere della Sera, 27 marzo 2023

La «leggenda brasiliana» di Maria e Viktor, spie russe infiltrate (e scoperte) ad Atene e all’Aia

Gli «illegali» vivono nella menzogna permanente. Mentono sul passato e sul presente, mentre il futuro non dipende solo da loro. Le bugie fanno parte della professione, quella di spie camuffate da cittadini insospettabili.

Caso numero uno

Irina Alexandrovna Smireva, alias Maria Tsalla, è una 35enne russa che si è fatta passare per tante cose: figlia di migranti greci, belga, passaggi in Brasile e Messico. Con i documenti taroccati di quest’ultimo Paese sbarca in Grecia nel 2017 e inizia a raccontare una storia lacrimosa, magari con qualche dettaglio vero. Il suo desiderio dichiarato è iniziare una nuova esistenza nella terra d’origine. Per farlo si appoggia a un paio d’avvocati, compreso uno d’origine russa specializzato nell’assistenza agli stranieri. Mettono in mezzo un settantenne della località di Aliveri, che appartiene ad una piccola comunità evangelica ed è convinto — in buona fede — di aver conosciuto anni prima la mamma di Maria. Pensa che sia stata proprio questa donna a chiamarlo al telefono chiedendo di confermare davanti all’anagrafe la storia della figlia. L’uomo accetta, la sua testimonianza è un elemento in più usato dai legali per sbloccare la pratica: così la trentenne ottiene la cittadinanza nel 2018, anche se le carte sono pasticciate in modo grossolano.

Perché Maria ruba l’identità di una bambina deceduta subito dopo il parto nel 1991, tecnica consueta ed efficace, usa un cognome piuttosto diffuso. Nessuno si accorge dell’imbroglio, i controlli degli impiegati sono stati frettolosi. Per Maria Irina è la svolta: amplia le sue attività, si dedica alla fotografia e apre un negozio di maglieria ad Atene, assume una commessa, frequenta una scuola per apprendere la lingua, in apparenza ha una buona situazione economica perché cerca di acquistare una casa. Intanto svolge un’esistenza normale. Mostra fotografica, il tran tran della bottega, vacanze a Parigi e Venezia, un compagno con il quale pensa un giorno di sposarsi. O meglio: è quello che lei dice. Ovviamente non racconta di avere ancora una passione per un ex fidanzato, in Brasile. Vivono lontani, però sono rimasti in contatto: si fa chiamare Daniel Campos ma è un russo ed è una presunta spia, anche lui con la doppia vita e una bella ragazza locale. Sarà un po’ per colpa sua e di un’indagine in Slovenia su due finti argentinisempre 007 di Mosca — se il mondo parallelo di Maria è sconvolto.

A fine dicembre Campos parte per l’Asia, all’amica spiega che si tratta di un periodo di relax breve. Però non si fa più vivo e la brasiliana, temendo il peggio, lancia l’allarme: chiede aiuto sui social, posta una foto del compagno, ne denuncia la scomparsa. Le indagini degli sloveni e la storia di Campos gettano Maria-Irina nel panico, è costretta a partire ai primi di gennaio lasciandosi dietro il fidanzato, il negozio, il computer, la bella casa e un gatto. Manderà alla fine di gennaio una mail alla commessa sostenendo che è dovuta andare via per problemi di salute, le affida le sue cose — fanne ciò che vuoi —, cerca di riavere almeno il gatto. Ma non è possibile per ragioni burocratiche. Ora il controspionaggio sta indagando per capire quale fossero i target della talpa. Il negozio di maglieria non è certo un ponte per chissà quali incontri, più interessanti le ripetute trasferte vicino a luoghi che ospitano basi usate anche dagli americani e poi ci sono i viaggi nell’area Ue.

Forse Maria-Irina stava costruendo il profilo della greca perfetta, in possesso di passaporto europeo pulito, e poi avrebbe usato la Grecia come appoggio per missioni altrove. La polizia ha interrogato uno degli avvocati coinvolti nella regolarizzazione, dice di ricordarsi poco. Il suo collega d’origine russa, invece, non è in grado di dare risposte: è deceduto nel 2021 a soli 36 anni. Ricordano come fosse arrivato da Rostov grazie ad una borsa di studio del ministero degli Esteri, primo passo verso una carriera da legale piuttosto noto, con una buona rete di contatti, una moglie e una figlia. Anche la presunta madre naturale sarebbe morta, nel 2013. Nel suo passato storie di droga e un arresto. Secondo i media locali il padre, invece, si sarebbe suicidato. Sono dettagli sovrapposti di esistenze parallele, particolari a tratti confusi, suscettibili di cambiamenti repentini. Dobbiamo mettere in conto novità e sorprese.

Caso numero due

Viktor Muller Ferreira, alias Sergei Cherkasov, spunta in Brasile — ritorna sempre, e non solo in queste due storie — nel 2010, come Maria-Irina costruisce una vita reale con documenti falsificati e agisce in modo paziente. Lo individuano nell’aprile del 2022 quando parte per l’Olanda ma è fermato prima che possa fare dei danni. Sembra che volesse infiltrarsi alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, quella che indaga anche sui crimini di guerra. Gli olandesi lo rimandano indietro e i brasiliani aprono un’inchiesta che si rivela un piccolo tesoro. Gli agenti gli sequestrano un hard drive e delle chiavette Usb, materiale poi condiviso con l’Fbi in quanto si scopre che ha frequentato un corso universitario a Washington, periodo di studio usato per raccogliere informazioni su Israele e gli Stati Uniti.

Le «memorie» digitali conservate in maniera poco prudente da Viktor-Sergei rivelano molto: cinque pagine dove l’illegale ha sintetizzato i passaggi importanti della sua «leggenda», ossia il passato costruito dai suoi superiori a Mosca: parentele, amicizie, hobby, tifo, passioni, studi. Una sfilza di bugie che doveva offrire a chi incontrava. Non meno bizzarra è la mossa di aver archiviato indicazioni sui nascondigli di alcuni suoi apparati di comunicazione, poi recuperati. Troveranno anche email e bozze di messaggi con i suoi referenti moscoviti, scambi di cui colpisce un punto: la spia russa riporta il parere di accademici e think tank statunitensi con «buoni contatti» che sono scettici su una reazione vigorosa da parte della Casa Bianca in caso di invasione dell’Ucraina. Riemerge la previsione (errata) di un’operazione «lunga 3-6 settimane», ritengono che l’America non abbia troppa voglia di aiutare militarmente Kiev. Sappiano che si sono sbagliati in molti, a Washington come a Mosca. La spia non ha raccontato una bugia ai superiori, ma quella che pensava fosse la sua verità.

Corriere della Sera, 26 marzo 2023

La Norvegia teme sabotaggi ai gasdotti che riforniscono l’Europa: aumentano le attività russe

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream ha trasformato uno scenario in realtà, a prescindere da chi abbia compiuto l’incursione sottomarina. È un intrigo internazionale diventato battaglia di propaganda tra la Nato e la Russia. Le esplosioni, unite ai rischi temuti, hanno spinto la Norvegia ad innalzare il livello di guardia aumentando i pattugliamenti.

Oltre ad essere un membro dell’Alleanza atlantica, Oslo, dopo l’invasione dell’Ucraina, ha aumentato l’invio di gas all’Europa, raggiungendo il 30-40% del fabbisogno continentale e divenendone il primo fornitore. È dunque una fonte d’energia importante con una rete di pipeline estesa, circa 8 mila chilometri, piattaforme off shore, infrastrutture che vanno tutelate con una stretta sorveglianza, ricognizione continua, intelligence. I norvegesi hanno notato da tempo le manovre intense da parte del dispositivo russo. I sottomarini nucleari della classe Yasen e Borei sono una presenza costante, frequenti i pattugliamenti di aerei Tu 142 e Il 38, immancabili le apparizioni di «pescherecci». Le imbarcazioni gettano le reti ma alcuni si dedicano ad un altro tipo di «pesca»: cercano informazioni, provano a mimetizzarsi. Una tattica consueta e nella tradizione.

Gli allarmi sono stati esternati dalle fonti ufficiali ai media locali e internazionali, compresa la rete statunitense Nbc, autrice di un reportage che racconta i timori norvegesi per l’incremento della presenza russa nell’Artico. Il fronte è doppio:

convenzionale: contrastare la Flotta russa con ogni risorsa disponibile.

segreto: la paura di azioni per interrompere il flusso delle pipeline, colpi destabilizzanti. E citano alcuni episodi, da guai ai cavi sottomarini ai sorvoli di droni.

Sempre da Oslo sottolineano che l’Orso russo abbia sempre avuto qui il suo «habitat naturale», solo che oggi appare «meno prevedibile e più aggressivo». C’è massima attenzione alle spie, specie dopo l’individuazione di un finto ricercatore brasiliano in un centro studi dedicato all’Artico: hanno scoperto che era un agente russo del Gru. L’indagine ha reso le autorità molto «sensibili», in qualche caso con eccessi nella ricerca di «talpe» nemiche. È quasi inevitabile sovrastimare un pericolo quando vicino e lontano dai tuoi confini accadono eventi gravi.

Preoccupate per il futuro, le autorità norvegesi hanno aumentato la collaborazione con i partner atlantici e stanno partecipando al piano di assistenza in favore di Kiev con missili, carri Leopard 2, munizioni, kit invernali. È un asse documentato da impegno concreto e non dalle scontate dichiarazioni di solidarietà. Gli Stati Uniti, nel tempo, hanno creato qui depositi di equipaggiamenti in grandi bunker: veicoli, tank, cannoni, ricambi «preposizionati» e pronti all’uso. In caso di necessità, il Pentagono può trasferire rapidamente in aereo i reparti che dovranno poi impiegarli.

Poche settimane fa la Gran Bretagna ha aperto nel nord del Paese Camp Viking, una base permanente per i suoi marines, vicina a installazioni norvegesi. La Difesa di Oslo ha poi appena annunciato che insieme a Svezia, Finlandia e Danimarca metterà insieme il «parco caccia», circa 250 velivoli. Nel frattempo sono frequenti le esercitazioni e le mosse per «mostrare la bandiera»: il 17 marzo sono state diffuse le foto di un B52 statunitense in volo sui ghiacci. Sono attività di routine, dal Baltico al Mediterraneo, che devono però trasmettere un messaggio di deterrenza.

Corriere della Sera, 24 marzo 2023

Un «social-coprifuoco» nello Utah

Lo Utah blocca i social per i minorenni, che potranno usare Instagram, Facebook o TikTok solo con l’esplicito consenso dei genitori. Due nuove leggi firmate dal governatore repubblicano Spencer Cox per «proteggere» i giovani obbligheranno infatti le piattaforme a verificare la maggiore età dell’utente oppure a richiedere un consenso dei genitori prima che i loro figli creino un profilo sulle app: i genitori avranno poi pieno accesso agli account, messaggi privati compresi. «Non lasceremo più che i social media continuino a danneggiare la salute mentale dei nostri giovani», ha affermato il governatore Cox dopo aver firmato le due leggi, che renderanno anche più semplice intraprendere azioni legali contro le social media company.

«Abbiamo già sviluppato oltre 30 prodotti per tenere al sicuro i ragazzi e limitare il tempo che passano sulle loro app», si è difesa con la Bbc Meta, la società a cui fanno capo fra le altre Facebook e Instagram. Le due nuove leggi dello Utah entreranno in vigore dal 1° marzo 2024 e impediranno anche di raccogliere i dati dei minorenni — come richiesto in passato anche dal presidente americano Joe Biden — e di renderli l’obiettivo di pubblicità targettizzate. Introdurranno infine un «social-coprifuoco» dalle 22.30 alle 6.30 del mattino, che bloccherà l’accesso alle app e che potrà essere violato solo con il permesso dei genitori.

Il passo compiuto dallo Utah è stato accolto con entusiasmo dalle associazioni per la sicurezza dei bambini, che parlano di «enorme vittoria» per i ragazzi e le famiglie dello Stato, mentre qualcuno sottolinea le problematiche per quanto riguarda la libertà di parola sancita dal primo emendamento della costituzione e, soprattutto, i rischi per i ragazzi — in particolare quelli della comunità Lgbtqi+ — che vivono in un ambiente domestico violento e che potrebbero essere tagliati fuori dai social media. Legislazioni simili sono in fase di studio in altri quattro Stati a guida repubblicana — Arkansas, Louisiana, Ohio e Texas — e nel democratico New Jersey.

Corriere della Sera, 24 marzo 2023 (newsletter AmericaCina)

Spagna & Portogallo: tra scontri e fughe in avanti, qui la sinistra tiene

In Francia il partito socialista è praticamente sparito, in Germania la Spd che guida il governo perde consensi a favore dell’opposizione, in Italia la ripartenza dei democratici con Elly Schlein è appena cominciata e tutta da testare. E tuttavia le notizie della morte della socialdemocrazia, ancora una volta, sono fortemente esagerate. Anzi, secondo il Washington Post, una delle chiavi per leggere il passato 2022 è che è viva e lotta insieme a noi. Il quotidiano francese Libération il mese scorso ne offriva un esempio sparando in prima una foto del premier spagnolo Pedro Sánchez abbracciato al portoghese António Costa accanto al titolo «La sinistra che funziona». E funziona, è la teoria, perché fa la sinistra.

Camicia bianca con Renzi

Il Pedro Sánchez della famosa foto in maniche di camicia (bianca) con Matteo Renzi, il francese Manuel Valls, l’olandese Diederik Samson e il tedesco Achim Post (siamo nel 2014), è un giovane politico centrista di belle speranze. Che sembrano frantumarsi al suolo appena due anni dopo, quando viene disarcionato dalla guida del Psoe e lascia anche la carica di parlamentare. In pochi mesi però vira a sinistra, si reinventa alfiere di una «società post-capitalista», si riguadagna l’investitura della sua base, nel 2018 guida da fuori la manovra per disarcionare in Parlamento l’avversario Mariano Rajoy (in Spagna c’è la sfiducia costruttiva), lo sostituisce e raccoglie l’investitura del consenso popolare con le doppie elezioni del 2019. Oggi Sánchez, 51 anni, è l’unico sopravvissuto al governo di quello scatto bolognese. L’ultimo successo è di una settimana fa: mentre nella vicina Francia i sindacati scendevano in piazza per l’ottavo giorno consecutivo contro il piano sulle pensioni di Macron, il ministro della sicurezza sociale José Luis Escrivá appariva in conferenza stampa con i capi dei principali sindacati spagnoli per la firma della sua riforma del sistema.

Polemiche e passi falsi, ma Madrid tiene

Un altro segno della salute del governo di Madrid, nonostante le polemiche e i passi falsi (come il pasticcio della legge «solo sí es sí» sul consenso sessuale) e la non sempre facile convivenza con la sinistra di Podemos. Sánchez ha portato avanti un’agenda che, come scrive Libé , non conosce la “sinistrite”, non teme di apparire radicale. Femminista dichiarato, presiede il governo con la maggior presenza di donne nella Storia d’Europa (14 contro 8 uomini) e difende con forza le quote «che tanto fastidio danno a destra», al punto che ha appena presentato una proposta di legge che “forza” la presenza femminile nelle liste elettorali e nei cda. Sul fronte dei diritti basta elencare la legge sull’eutanasia, la ley trans che consente di decidere il cambio di genere a partire dai 16 anni senza certificato medico, e le modifiche a quella sull’aborto che hanno abbassato l’età a partire dalla quale non è richiesta l’autorizzazione di un adulto.

Ingreso vital, il loro reddito di cittadinanza

Sul fronte economico, dopo anni di austerità i socialisti hanno spinto una politica redistributiva e di aumento della spesa pubblica: l’ ingreso minimo vital (simile al reddito di cittadinanza); l’aumento del salario minimo del 29% fino a 1080 euro mensili; la “ riders law” che protegge i lavoratori della gig economy; una patrimoniale per chi possiede più di tre milioni di euro. La redistribuzione però ha anche frenato la crescita, che dopo il boom del 2022 dovrebbe segnare un modesto +1,2 per cento nel 2023 e il tasso di cittadini a rischio povertà (27,8%) resta astronomico così come la disoccupazione giovanile. Nelle ultime settimane il governo è sotto attacco da destra per la riforma delle leggi franchiste con l’abolizione del reato di sedizione che beneficia gli organizzatori del referendum per l’indipendenza della Catalogna del 2017.

Una spallata senza chance

Vox parla di «attacco all’ordine costituzionale», ma il tentativo di spallata a Sánchez non sembra avere chance di successo. A un paio di mesi dalle regionali e con le generali a fine anno l’“effetto Feijóo”, il boom di consensi dei popolari dopo l’elezione del nuovo leader Alberto Núñez Feijóo, si è sgonfiato, ma la battaglia resta serratissima. Anche in caso di sorpasso del Pp in termini di seggi, i socialisti potrebbero restare al governo, soprattutto se la “sinistra sinistra” si presenterà unita sotto la guida della popolare ministra del Lavoro Yolanda Díaz.

Nel Paese dei garofani

A gennaio dell’anno scorso a rischio sembrava anche Costa — 61 anni, ex sindaco di Lisbona e segretario del Partito socialista — che si presentava alle elezioni dopo aver rotto con gli alleati del Partito comunista e del Blocco di sinistra, schieramento anticapitalista portoghese, una coalizione che richiedeva una mediazione a tratti impossibile e aveva fatto deragliare il suo governo. I sondaggi parlavano di una sfida all’ultimo voto con il Partito socialdemocratico del conservatore Rui Rio, invece i socialisti si sono assicurati la maggioranza assoluta dei seggi grazie al riformismo pragmatico del loro leader, un abile mediatore che appena può vira a sinistra.

Emergenza scandali e contestazioni sociali

Solo che da allora il governo Costa si è ritrovato ad affrontare scandali, dimissioni dei ministri, e una dura contestazione sociale: scioperano gli insegnanti, i ferrovieri e gli infermieri per i salari bassi, il precariato, le pensioni, l’inflazione all’8,3% e, su tutto, l’emergenza abitativa causata (anche) dal massiccio ricorso agli affitti turistici a breve termine, come Airbnb, che hanno fatto schizzare i prezzi di immobili e affitti in un Paese in cui oltre metà dei lavoratori guadagna meno di 1.000 euro al mese. Il governo Costa oscilla, subisce la pressione del partito populista di estrema destra Chega!, eppure resiste e nelle scorse settimane ha puntato proprio sull’emergenza abitativa per scendere a patti con il Paese. Nello stesso giorno di metà febbraio il primo ministro portoghese ha annunciato la fine del richiestissimo programma Golden Visa — garantiva la residenza a chi acquistava una casa da 500 mila euro e, passandoci appena una settimana all’anno, dopo cinque anni portava in dote un passaporto europeo — che ha generato 6,9 miliardi di euro del 2012, e ha vietato la concessione di nuove licenze per Airbnb e strutture simili. Una rivoluzione per un Paese che basa la propria economia sul turismo.

Il nodo della casa a prezzi accettabili

Il 2022 è stato un anno da record per il settore, che ha portato 15,3 milioni di visitatori e un giro d’affari di 22 miliardi, ma che non basta a sfamare 10 milioni circa di portoghesi. Costa ha fatto “qualcosa di sinistra” provando a superare una crisi che — ha spiegato — riguarda tutte le famiglie, non solo le più vulnerabili. E così ha annunciato anche un meccanismo per regolare gli aumenti dell’affitto e incentivi fiscali ai proprietari che trasformeranno le proprietà turistiche in abitazioni, esponendosi però all’attacco del Blocco di sinistra che lo accusa di fornire sgravi a coloro che hanno già beneficiato della speculazione immobiliare.

Sette, 24 marzo 2023 (pag 30 e pag 31)

Nuovi droni navali e vecchi carri armati per Mosca e Kiev: il bazar delle armi

La guerra provoca perdite immani, distrugge aree abitate, incenerisce mezzi a un ritmo infernale, costringe i contendenti a trovare soluzioni. Affidandosi all’usato — quanto sicuro non si sa —, all’arte di arrangiarsi, alle innovazioni.

L’account Twitter @Cit ha segnalato numerosi tank T54/T55 a bordo di vagoni ferroviari, un convoglio partito dal deposito di Arsenyev, a Primorsky Kray, nell’estremo oriente russo, base del 1295esimo centro della riserva. Li vedremo in Ucraina? Per ora è semplice ipotesi, nessuna conferma. Magari li hanno tirati fuori per qualche rievocazione storica. Oppure ne hanno bisogno davvero. La notizia è diventata dibattito tra esperti, con scetticismo e pragmatismo. Parliamo di carri ideati nella prima metà degli anni 40, sono dei veri residuati. Molti osservatori ritengono che abbiano poche possibilità, la loro corazza è «fragile» rispetto a quelle attuali, possono insorgere problemi tecnici e c’è da capire il loro “stato” d’efficienza, con conseguenti guai logistici.

Una piccola nicchia di analisti, però, fa un ragionamento pratico, insistendo sul concetto spesso apparso nel conflitto: la quantità ha la sua qualità. Qualsiasi mezzo sul campo di battaglia va fermato e questo comporta consumo di munizioni per farlo, sappiamo che gli ucraini non hanno le scorte ampie. I T55 potrebbero anche essere sistemati in zone meno critiche consentendo di spostare corazzati più recenti per missioni difficili. Valutazioni legate al precedente schieramento da parte di Mosca di tank «anziani» nelle seconde linee ma anche all’uso degli ucraini di equipaggiamenti non certo moderni, come le mitragliatrici Maxim. Sono discorsi al momento teorici, con una componente di propaganda. Forse è sufficiente attendere qualche settimana per avere una risposta.

Anche sul versante Nato devono trovare soluzioni, ed è un grande bazar. Il Washington Post ha rilanciato la questione dei tempi di consegna degli aiuti bellici, ma anche la necessità per i difensori di avere blindati in grado di trasportare truppe (un settore debole per Kiev). Washington fornirà a Zelensky i tank Abrams nell’arco di 8-9 mesi, non prima. E invece della versione più aggiornata (che avrebbe dovuto produrre) ha preferito ripiegare su un modello «in naftalina».

Gli Usa hanno offerto alla Slovacchia una dozzina di elicotteri d’attacco AH-1Z per compensare la cessione da parte dell’alleato di suoi caccia Mig alla resistenza. Proprio oggi Bratislava ha comunicato il trasferimento dei primi 4 velivoli. Il contratto completo prevede una spesa di un miliardo di dollari che include anche 500 missili Hellfire. Gli slovacchi dovrebbero sborsare 340 milioni, il resto è a carico degli americani. La Finlandia ha annunciato la prossima di fornitura di altri 3 Leopard da sminamento mentre ha sembra allontanarsi quella di caccia. Da seguire le mosse di Parigi. Una trentina di piloti ucraini — scrive Le Figaro — sono in Francia nelle basi di Nancy e Mont Marsan, potrebbero presto iniziare il training sui Mirage 2000. L’Eliseo ha messo a punto il piano dopo la visita di Zelensky nella capitale ma non ha ancora deciso se passare alla fase successiva con la fornitura di velivoli ormai in pensione. Un patto smentito dall’Ucraina.

Insieme al passato c’è il nuovo. Nell’attacco degli ucraini contro il porto di Sebastopoli sono stati usati droni aerei e marittimi. Nel primo caso la contraerea sarebbe riuscita ad abbatterne tre e il merito è stato, secondo la versione ufficiale, di due donne-marinaio che sono state insignite di un’onorificenza su ordine del ministro della Difesa Shoigu. C’è sempre nebbia sul drone, o barchino: per l’esperto HI Sutton potrebbe essere stato il battesimo del fuoco per un prototipo sviluppato grazie all’offerta di fondi, arma diversa da quella usata nell’ottobre 2022 dagli incursori. C’è una riservatezza scontata. Chi difende come chi va all’assalto deve tutelare le proprie tattiche.

Corriere della Sera, 23 marzo 2023

Attacco al porto di Sebastopoli: si riapre il fronte marittimo in Ucraina?

Gli ucraini tengono in linea di tiro la Crimea occupata. L’ultimo evento ha riguardato il porto di Sebastopoli e forse sono stati usati anche droni navali, operazione che i russi sostengono di aver sventato distruggendo «tre oggetti».

L’azione, secondo informazioni non dettagliate, è scattata quando ancora era buio, questo per provare a superare le difese dell’importante base. Sul web è apparso un primo video ma non è sufficiente per determinare la sequenza. È probabile che la resistenza si sia affidata a velivoli e mezzi marittimi sviluppati già impiegati per un raid a ottobre. Una minaccia temuta da Mosca che da mesi ha adottato contromisure: aumento dei pattugliamenti, sbarramenti fisici mobili all’ingresso dello scalo, navi spostate più all’interno, contraerea, vedette e team scelti.

Nei giorni scorsi erano tornate voci su qualche sorpresa da parte di Kiev in Mar Nero. E lunedì sono trapelate notizie su un attacco a Dzhankoi, snodo ferroviario sempre in Crimea, che aveva come obiettivo i missili cruise Kalibr destinati ad essere imbarcati su navi e sottomarini. Colpo che, se confermato, dimostra una buona intelligence, in grado di tracciare i convogli di rifornimenti. Strike come questo, insieme a quelli marittimi, sono parte di una strategia elaborata dopo l’invasione:

1) Dimostrano iniziativa, tengono sulla corda il nemico, sono utili per la propaganda, vengono sfruttate per migliorare le tattiche.

2) Possono rappresentare un diversivo nel racconto del conflitto mentre infuriano gli scontri terrestri a Oriente. Se poi fanno centro — come è stato per l’ammiraglia affondata con missili — aggiungono un risultato concreto.

3) Le attività ucraine sulla penisola contesa rispondono a obiettivi militari e ribadiscono la volontà di riconquistare il territorio perduto.

4) Il 14 marzo il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov ha diffuso su Twitter un video di pochi secondi. Era a bordo di una nave ormai in disuso e citando i Beatles canticchiava «stiamo aspettando il sottomarino giallo», poi la telecamera ha inquadrato la superficie d’acqua. La clip poteva essere un messaggio nascosto oppure una presa in giro. Uno dei tanti momenti della «guerra di parole» tra minacce, allusioni, «sparate» da parte dei protagonisti. Il capo della Wagner Prigozhin e il leader ceceno Kadyrov hanno fatto scuola.

La storia di Sebastopoli, già teatro di raid di droni dal cielo, è parte di un contesto ampio. L’Ucraina ha cercato di sfruttare al meglio il fronte marittimo e si è messa alla ricerca di materiale in Occidente. Solo che si tratta di equipaggiamenti che, per le loro caratteristiche, non sempre possono essere venduti all’estero. Esistono a volte dei limiti all’export imposti dalla sicurezza nazionale, ci sono delle priorità verso alcuni «clienti» e i timori accresciuti dopo il danneggiamento del gasdotto Nord Stream.

Kiev ha condotto dei sondaggi tra fornitori europei — non sappiamo l’esito — e avrebbe ricevuto dalla Gran Bretagna piccoli droni da difesa. I suoi esperti hanno allora costruito dei barchini esplosivi, senza equipaggio, pilotati da remoto. Alle possibili difficoltà tecniche si aggiungono quelle per condurre missioni a lunga distanza a causa del contrasto «elettronico» opposto dai russi. E a proposito di collegamenti, l’Economist ha rivelato che Elon Musk avrebbe introdotto nuovi ostacoli alla sua rete satellitare Starlink usata dagli ucraini, «blocchi» che potrebbero incidere su droni aeronautici e marittimi.

E, restando sul tema supporto, è da segnalare la presenza di un grande drone statunitense RQ-4B: ha fatto il classico pendolo per diverse ore a sud della penisola di Crimea restando però sempre nello spazio internazionale. Non porta armi, «vede» molto e può svolgere funzione di supporto. Già in passato, infatti, si trovava in zona quando ucraini hanno eseguito missioni speciali.

Mosca, a metà febbraio, ha tentato a sua volta lanciando un battello-kamikaze (o drone) contro l’arcata di un ponte nella zona di Odessa. Foto hanno poi mostrato i suoi commandos subacquei preparare mine per un’infiltrazione e indossare respiratori realizzati in Italia, componenti acquistate prima dei Giochi Olimpici di Sochi. Scelta che non sorprende vista la tradizione delle nostre imprese, punto di riferimento a livello internazionale. Sopra e sotto la superficie del mare.

Corriere della Sera, 22 marzo 2023 (pag 10 del 23 marzo)

Droni e affari: l’aiuto cauto del dragone

Molte voci, tanti sospetti e tracce di forniture minori. Per ora la Cina è stata cauta nel sostenere militarmente l’assalto all’Ucraina, una prudenza tattica che le ha permesso comunque di dimostrare qualche segnale di solidarietà. Le fonti statunitensi hanno redatto la «lista della spesa». Pechino avrebbe inviato un migliaio di fucili (definiti «da caccia»), una buona quantità di giubbotti anti-proiettile, divise invernali, forse elmetti. Sarebbero emerse prove delle spedizioni nel periodo giugno-dicembre 2022, con frequenti triangolazioni attraverso Turchia ed Emirati.

Sono poi arrivati droni di tipo civile per un valore di 12 milioni di dollari — comprati e utilizzati sul mercato libero anche dagli ucraini — e relative componenti, radio ricetrasmittenti, ricambi «elettronici». Intenso è il flusso di materiale dual use, equipaggiamenti concepiti per fini civili ma riconvertibili con qualche modifica a scopi militari.

Resta aperto il file più importante: le munizioni. Pechino potrebbe garantire proiettili per artiglieria, così importanti nelle tattiche dell’Armata e consumati a ritmi infernali. Per ora non vi sarebbero dati sull’arrivo di munizionamento pesante: in rete sono apparse foto di ordigni e casse con scritte cinesi, ma non è la prova «automatica» di una fornitura da Pechino. Le vie delle armi sono tortuose, i russi (o gli ucraini) potrebbero comprare «cartucce» cinesi in un Paese terzo.

Nel frattempo, la Russia è diventata a gennaio e febbraio il primo fornitore di petrolio della Repubblica popolare, superando l’Arabia Saudita.

Corriere della Sera, 22 marzo 2023 (pag 2)

Ucraina, la fase della grande incertezza: il logoramento peserà sulle future offensive?

Siamo di nuovo nella fase della grande incertezza, i contendenti logorano i loro apparati e le prospettive sono attese dalla prova del campo, con trappole e variabili.

I russi puntano a circondare Bakhmut e a Avdviivka. Guadagni lenti però costanti. Un reportage del New York Times segnala come i russi abbiano stabilito una divisione di compiti: insieme alle unità d’assalto ci sono gli scavatori, militari senza armi, che si preoccupano solo di creare rifugi e «buche», quindi i portatori di munizioni. Anche loro senza fucile. Una logistica semplice per sostenere gli attacchi alle trincee avversarie. La domanda che ritorna ogni giorno è quanto peserà questo sforzo sul futuro: gli invasori hanno perso centinaia di uomini ma una parte di questi non erano reparti di prima scelta, bensì i «sacrificabili» della Wagner. All’opposto, nota l’esperto americano Rob Lee, gli ucraini avrebbero pagato di più in termini di qualità: a cadere sotto la pioggia di ordigni uomini bene addestrati. Va però ricordato che nelle operazioni a Est gli occupanti hanno schierato anche truppe d’elite e non solo mercenari.

Costante il dilemma Bakhmut. È stata una scelta giusta quella della difesa ad oltranza? Molte le risposte. Abbandonarla vuol dire aprire un varco e sarebbe poi complesso riprenderla. Il Cremlino sfrutterebbe la sua vittoria sul piano tattico e politico. Al tempo stesso Kiev è costretta a dare fondo alle sue scorte che invece potrebbero essere impiegate per le operazioni di primavera-estate. Più volte sono usciti commenti di fonti ufficiose statunitensi che esprimevano perplessità sulla decisione di resistere ad ogni costo. Qualche commentatore obietta che, in realtà, Zelensky non ha impegnato tutto quello che poteva proprio per conservare una riserva strategica. Sono analisi che risentono in parte della nebbia di guerra, mancano dati certi. Al Pentagono sanno certamente di più e lo custodiscono, però hanno lasciato trapelare qualche voce critica. Sempre in modo anonimo, dunque con minor peso.

Entro maggio Kiev riceverà tank, blindati, altre munizioni e soldati addestrati a compiere manovre coordinate e più dinamiche, un’agilità necessaria per non dare vantaggi alla Russia che preferisce fronti statici dove sfruttare la supremazia in termini aviazione e cannoni. Negli ultimi pacchetti di aiuti Nato sono aumentati equipaggiamenti per sminare, esplosivi, carri getta-ponte (per superare fossati), il necessario per tentare la spallata dentro i «bastioni». Le forze fresche basteranno contro le difese create dagli occupanti? Dopo le sconfitte di Kharkiv e Kherson i generali di Putin hanno risistemato lo schieramento riposizionandosi, formando linee che sono complicate da sfondare. Una parte degli analisti ritiene che l’Armata debba sempre risolvere i problemi logistici, non esclude una nuova mobilitazione — magari strisciante — per riempire i ranghi.

Tutto va però preso con prudenza. Da mesi leggiamo report sul fatto che la Russia starebbe finendo i missili e i droni, eppure il fuoco continua. Come abbiamo già scritto, secondo l’intelligence baltica i russi possono andare avanti almeno per due anni usando ciò che hanno nelle caserme. Di vecchio e di nuovo. Le battaglie di questi mesi hanno dimostrato che qualsiasi «ferro» è utile. Sul web sono apparse poi offerte per creare «brigate» di operai/carpentieri incaricati di costruire trincee in alcune aree della Crimea. La paga equivale a 91 dollari al giorno — scrive account twitter Chris0_wiki —, vitto e alloggio sono garantiti dai committenti e non mancano casi di ditte che offrono a loro volta equipe complete di lavoratori. Un’impresa ha pubblicizzato la fornitura di «telai» in legno da inserire nelle strutture al costo unitario di 26 dollari.

Il fattore tempo. Per il presidente ceco Petr Pavel l’Ucraina deve lanciare un’offensiva entro i prossimi mesi, in caso contrario rischia di chiudersi «la finestra d’opportunità». A suo giudizio diventerà sempre più arduo per gli occidentali garantire un aiuto militare di dimensioni massicce come quello dell’ultimo anno: le decine di miliardi sbloccati da Stati Uniti ed Europa, fondi necessari all’acquisto di materiale bellico, al puntellamento e alle riparazioni delle infrastrutture, al supporto economico/umanitario. Sempre con una forbice ampia sulla tabella di consegna. L’agenzia Bloomberg, citando fonti del Pentagono, sostiene che i carri americani Abrams non arriveranno prima di 8-9 mesi. Volevano costruirli ad hoc, ma avrebbe comportato un’attesa di quasi due anni e per questo hanno ripiegato su modelli disponibili: un «processo» comunque non breve.

Corriere della Sera, 21 marzo 2023

Donald Trump potrebbe essere incriminato anche in Georgia per estorsione e cospirazione

La procura di Atlanta, in Georgia, sta valutando di contestare a Donald Trump i reati di estorsione e cospirazione nell’inchiesta sul suo tentativo di ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali del 2020 nello Stato del Sud, che fu decisivo per la vittoria di Joe Biden. Gli investigatori avrebbero raccolto un grande volume di prove sostanziali relative a una possibile cospirazione all’interno e all’esterno dello Stato, fra cui registrazioni di telefonate, email, sms, documenti e 75 testimonianze — comprese quelle di alcuni stretti consiglieri dell’ex presidente — davanti a un gran jury speciale. È quanto riferisce Cnn citando una fonte a conoscenza delle indagini, secondo la quale gli investigatori avrebbero maturato la convinzione che il sostegno al piano di Trump non sarebbe arrivato soltanto da un movimento dal basso originato all’interno dello Stato.

L’inchiesta era stata aperta dal procuratore distrettuale della contea di Fulton, Fani Willis, all’inizio del 2021, dopo la celebre telefonata in cui Trump faceva pressioni sul segretario di Stato della Georgia Brad Raffensperger — un funzionario repubblicano — chiedendogli di «trovare voti» che gli permettessero di vincere. L’ex presidente sta però cercando di bloccare il procedimento e ha chiesto a un giudice di annullare il rapporto del grand jury di Atlanta e di impedire che qualsiasi prova raccolta dall’organo giudiziario venga utilizzata per perseguire lui e i suoi alleati. L’ex presidente ha anche cercato di squalificare l’ufficio del procuratore distrettuale della contea di Fulton.

Di interferenze elettorali, però, Trump accusa a sua volta il procuratore distrettuale di Manhattan Alvin Bragg, che sta indagando sul caso dei pagamenti illeciti effettuati alla vigilia delle presidenziali del 2016 per comprare il silenzio della pornostar Stormy Daniels, con cui ebbe una breve relazioni un decennio prima. Sul suo social network Truth, l’ex presidente ha accusato Bragg di «infrangere la legge» usando quella che ha definito «una testimonianza screditata» da parte del suo ex avvocato Michael Cohen «per perseguitare, perseguire e incriminare incredibilmente un ex presidente , e ora un candidato presidenziale prominente».

Già sabato, sempre su Truth, Trump aveva annunciato il suo imminente arresto invitando i suoi sostenitori a ribellarsi. «Manifestiamo, riprendiamoci il Paese», aveva scritto con un tono che a molti ha ricordato quello usato il 6 gennaio 2021, giorno dell’assalto al Congresso. L’ufficio del procuratore distrettuale di New York non ha confermato né lasciato trapelare informazioni, anche se l’incriminazione di Trump sembra effettivamente vicina. Se dovesse essere emesso un mandato d’arresto, aveva precisato Joe Tacopina, uno dei suoi legali, Trump seguirà le normali procedure e si presenterà in tribunale a New York dove le autorità si stanno organizzando per affrontare eventuali disordini.

Corriere della Sera, 20 marzo 2023

Il cauto sostegno militare della Cina all’invasione russa dell’Ucraina

Molte voci, tanti sospetti e tracce di forniture minori. Per ora la Cina è stata cauta nel sostenere militarmente l’assalto all’Ucraina, prudenza tattica che le ha permesso comunque di dimostrare qualche segnale di solidarietà.

La Repubblica popolare ha camminato sul filo. Nei mesi precedenti all’invasione, gli americani l’hanno informata per tempo di quello che sarebbe accaduto e lo hanno rivelato ai media. Una mossa per impedire che i cinesi si dichiarassero «sorpresi». Questa ricostruzione è stata respinta in qualche modo da Pechino, ma appare verosimile. Del resto l’intelligence Usa nella gestione della crisi è «andata in pubblico» per una scelta deliberata, un tentativo di indurre il Cremlino a rinunciare. E successivamente, insieme agli europei, ha lanciato avvisi verso la potenza asiatica: non aiutate Putin sul campo di battaglia perché avrebbe delle conseguenze. La Cina ha risposto respingendo le accuse, offrendo una propria iniziativa diplomatica (chiaramente sbilanciata), garantendo all’amico Putin qualcosa ma non troppo. Almeno in base a ciò che è uscito.

Le fonti statunitensi hanno redatto la «lista della spesa». Pechino avrebbe inviato un migliaio di fucili (presentati come «da caccia»), una buona quantità di giubbotti anti-proiettile, divise invernali, forse elmetti. Sarebbero emerse prove delle spedizioni nel periodo giugno-dicembre 2022, frequenti le triangolazioni attraverso Turchia ed Emirati. Inoltre sono arrivati droni di tipo civile — comprati e utilizzati sul mercato libero anche dagli ucraini — e relative componenti, radio ricetrasmittenti, ricambi «elettronici». Intenso — secondo le indiscrezioni — il flusso di materiale dual use, equipaggiamenti concepiti per scopi civili ma riconvertibili con qualche modifica a scopi militari.

Sono perfetti per questo tipo di situazione: formalmente non si tratta di «cose belliche», il regime di Xi può dire di non partecipare direttamente al conflitto, però trova il modo di dare una mano alla Russia. Ora i droni non sono certo paragonabili a tank o caccia, tuttavia le operazioni al fronte ne hanno rivelato l’efficacia. Servono per la ricognizione, possono portare piccoli ordigni da sganciare sulle trincee o su un mezzo. I russi — come Kiev — ne hanno un grande bisogno, infatti si sono rivolti all’Iran che ha venduto i suoi Shahed poi impiegati nei bombardamenti sulle città.

Resta aperto il file più importante: le munizioni. Pechino potrebbe garantire proiettili per artiglieria, quei «colpi» così importanti nelle tattiche dell’Armata e consumati a ritmi infernali, con decine di migliaia esplosi ogni mese. Al momento non vi sarebbero dati sull’arrivo di munizionamento pesante, in rete sono apparse solo foto di ordigni e casse con scritte cinesi. Ma questo non è la prova «automatica» di una fornitura sull’asse Pechino-Mosca. Le vie delle armi sono tortuose, i russi (o gli ucraini) potrebbero comprare «cartucce» cinesi in un Paese terzo. Gli inglesi, per fare un esempio sull’altra sponda, hanno creato un task force «segreta» per rastrellare munizioni destinate all’Ucraina ovunque si trovino. Ciò permette ad alcuni produttori di concludere ricchi affari senza ammetterlo. Anzi, più è riservata la transazione e più può costare.

Per questo le spie guardano su tutto l’orizzonte. Sorvegliata speciale è la Bielorussia, che ha una collaborazione militare con Pechino e il suo dittatore Lukashenko è stato in visita nella Repubblica popolare firmando nuove intese. Minsk, oltre ad essere è una piattaforma logistica per Mosca, ha travasato materiale dai suoi depositi in quelli degli invasori. Poi «i soliti noti», iraniani e nord coreani, sospettati di aver risposto alle richieste moscovite mettendo a disposizione un po’ di scorte. Sempre complicato avere riscontri in un’arena dove si nascondono segreti ma si negano anche le realtà più evidenti. Dopo visita di Xi a Mosca forse capiremo se vi saranno novità nel rapporto tra i due «amici senza limiti», uniti dalla sfida con l’Occidente ma con prospettive e agende diverse.

Corriere della Sera, 20 marzo 2023

Affari, petroliere, yacht e oligarchi: così gli Emirati aiutano la Russia

Gli Emirati sono «un Paese sotto l’attenzione» degli Usa. Un amico da monitorare per i vincoli troppo stretti con il nemico storico: la Russia. Washington non gradisce che la monarchia del Golfo aiuti Vladimir Putin.

Una volta c’era solo Londongrad, la piazza estera preferita da russi, luogo di residenza e investimenti massicci. Oggi, rilanciano gli esperti, si è fatta largo Dubaigrad, la città-vetrina accogliente verso chi porta capitali, acquista proprietà immobiliari costose, apre società. Le autorità stendono il tappeto rosso e non hanno alcuna intenzione di fare domande sgradite agli ospiti: imprenditori, miliardari, uomini d’affari, personaggi dai grandi nomi e qualche quadro intermedio si sono stabiliti sulle rive del Golfo Persico. Una presenza antica che ha allungato le sue radici dopo l’invasione dell’Ucraina. Il New York Times ha segnalato che Dubai, nei giorni successivi all’attacco, è diventata la destinazione principale per voli privati russi, frequenti i ceceni. Una tendenza consolidatasi e neppure segreta sottolineata dalla crescita netta del volume di affari tra i due Paesi, che vanno a gonfie vele nonostante la tempesta. Durante il 2022 sarebbe stato registrato un incremento del 68%. Dati ben noti al dipartimento di Stato, al Tesoro e all’intelligence che hanno qui antenne sensibili. Sono di casa.

A fine gennaio gli Stati Uniti hanno accentuato la pressione sugli Emirati, irritati dalla linea morbida adottata dai dirigenti locali. Una delegazione ha minacciato conseguenze per gli sceicchi che predicano neutralità, però evitano di creare ostacoli agli uomini di Mosca. Un’inchiesta di Bloomberg ha accusato una compagnia locale e un’altra indiana di usare una flotta di petroliere ombra per piazzare il greggio russo sul mercato. Addebito non nuovo. Inoltre sono state frequenti le denunce sulle triangolazioni: prodotti stranieri che arrivano in Russia transitando da Dubai e dintorni. Grandi «giri» uniti all’ospitalità di super yacht di proprietà di oligarchi: simboli dell’opulenza più luccicante diventati possibili «prede» con confische a livello globale.

Gli Emirati, guidati dall’uomo forte Mohammed bin Zayed, hanno mantenuto rapporti solidi con il Cremlino e, naturalmente, con la Cina. Per numerose ragioni.

1) Volontà di mantenere libertà di manovra a 360 gradi, dall’economia alla politica estera. Lo testimoniano gli incontri ufficiali.

2) Legami storici nonostante l’alleanza militare con gli americani e i francesi.

3) Interessi comuni in alcune aree, ad esempio nel sostegno al generale libico Haftar, leader della Cirenaica. Ma anche il riavvicinamento alla Siria: il presidente Assad è appena arrivato in visita insieme alla moglie. Un dialogo per riportarlo a pieno titolo nella «famiglia araba» nonostante la contrarietà degli Stati Uniti.

4) Pragmatismo nella relazione con il neo-zar e diffidenza verso la Casa Bianca democratica. All’epoca di Donald Trump hanno aperto canali riservati tra l’entourage presidenziale e quello moscovita, arena dove si è dato da fare Erik Prince, il fondatore della compagnia di sicurezza Blackwater. Ad Abu Dhabi, come a Riad, non dispiacerebbe un ritorno al comando di The Donald.

Corriere della Sera, 19 marzo 2023

Donald Trump: «Martedì mi arresteranno, riprendiamoci il Paese»

Donald Trump ha dichiarato che sarà arrestato martedì prossimo dal procuratore distrettuale di Manhattan e ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza per protestare. «Fughe di notizie illegali dal corrotto ufficio del procuratore di Manhattan indicano che l’ex presidente degli Stati Uniti sarà arrestato martedì della prossima settimana. Manifestiamo, riprendiamoci il Paese», ha scritto sul suo social network Truth l’ex presidente degli Stati Uniti, 76 anni, che non ha fornito ulteriori dettagli. Il tono del messaggio di Trump — che ha già annunciato la sua ricandidatura per la Casa Bianca — ricorda quello con cui chiamò a manifestare i suoi sostenitori il 6 gennaio 2021, quando migliaia di persone assaltarono il Congresso degli Stati Uniti per evitare la proclamazione della vittoria di Joe Biden, provocando la morte di 4 persone.

Negli ultimi giorni a New York si era diffusa la notizia dei preparativi delle forze dell’ordine cittadine, statali e federali in vista della probabile incriminazione di Trump per il caso Stormy Daniels, ovvero per i 130 mila dollari che l’ex presidente avrebbe dato alla pornostar tramite il suo ex legale Michael Cohen — già condannato — alla fine della campagna elettorale del 2016 in cambio del silenzio sulla loro relazione. L’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan non conferma l’indiscrezione né le tempistiche fornite Trump, anche perché dovrebbe ancora essere sentito almeno un testimone, ma l’incriminazione sembra imminente. Non è certo nemmeno che Trump verrà arrestato a Mar-a-Lago, nella sua residenza in Florida, ma l’avvocato Joe Tacopina — qui intervistato dal Corriere — aveva detto che il suo celebre assistito seguirà le normali procedure nel caso sia costretto a consegnarsi alle autorità. Per questo le forze dell’ordine temono proteste ed episodi di violenza e stanno preparando un piano di sicurezza nel caso Trump dovesse presentarsi in tribunale a New York oppure dovessero esserci manifestazioni dei suoi sostenitori.

Corriere della Sera, 18 marzo 2023

Grecia, scoperta una spia russa: aveva rubato l’identità di una neonata morta nel 1991

Maria Tsalla se ne è andata da Atene il 4 gennaio, imbarcandosi su un volo per Mosca. Una partenza frettolosa senza dare troppe spiegazioni. Perché Maria non poteva darle: secondo l’intelligence ellenica il suo vero nome è Irina Alexandrovna Smireva ed è una spia russa. L’ultima ad essere scoperta in una rete senza fine attraverso l’Europa. Affascinante la trama.

La donna, bell’aspetto, sulla trentina, arriva in Grecia nel 2018, sostiene di essere figli di immigrati all’estero, racconta di aver venduto i beni che aveva in Brasile per sistemarsi nell’Attica e iniziare una nuova esperienza. Vuole mettersi in regola, esibisce un certificato di nascita, si registra in Comune, fa le cose per bene. Almeno è ciò che appare all’ufficio dell’anagrafe. Ha disponibilità finanziaria, dice di essere fotografa e poi apre un negozio nel quartiere di Pangrati, nella capitale. Vende maglie fatte a mano, monili. Ad aiutarla una commessa che oggi ricorda la gentilezza e la premura nell’insegnarle il mestiere. Maria è poliglotta — sa almeno tre lingue —, studia un po’ di greco e conduce un’esistenza molto intensa. Ha un compagno, frequenta persone, appare inserita, usa account social per fare pubblicità ai suoi prodotti e alla bottega. Uno specchio perfetto mandato in frantumi dalla polizia slovena che smaschera due sedicenti argentini, Maria Munos e Ludwig Gisch, antiquari e imprenditori, in realtà agenti segreti russi. Un’altra pista emerge in America Latina, dove agisce il marito-collega di Maria-Tsalla. Le «formiche» del termitaio russo si agitano, sono in apprensione, fiutano aria di pericolo.

Maria Tsalla forse teme di essere scoperta, decide di mollare tutto. Decisione giusta perché sembra che la Slovenia abbia trovato dei collegamenti e avvisa i servizi greci. L’indagine parte dai dati anagrafici e gli 007 capiscono subito: la negoziante ha ingannato tutti rubando l’identità ad una neonata deceduta nel dicembre del 1991. Tecnica da manuale, impiegata durante la Guerra Fredda, mai abbandonata. Di solito le spie preferiscono rubare nome e cognome di bimbi piccoli perché è più facile inventare il passato di qualcuno che ha vissuto poco. È il tassello numero uno della «leggenda» costruita dal comando, un racconto credibile, in grado di resistere alle domande di un conoscente, all’attenzione di un vicino troppo curioso e a quelle di poliziotto in caso di un controllo per altre ragioni. Contano le parole, contano i gesti quotidiani. È un abito cucito su misura. Più è preciso e più chi lo indossa può procedere nel travestimento personale. Maria l’ha portato bene quel «vestito», forse non sarebbe stata mai localizzata se non fosse stato per il flop dei presunti complici «argentini».

Ma c’è altro. Il marito collega della «greca» si fa chiamare Daniel Campos, «peruviano» (in realtà agente russo), abita in Brasile dove ha una seconda compagna. A dicembre le dice che parte per la Malesia ma non si fa più sentire e la donna, preoccupata, denuncia la scomparsa attorno ai primi di gennaio. Non solo. Diffonde la foto dell’uomo di fatto «bruciandolo». Secondo una versione, è quest’elemento a indurre Maria Tsalla a lasciare la Grecia. Oppure entrambi sono stati costretti a filare via da quanto stava avvenendo in Europa con controlli a tappeto da parte degli apparati di sicurezza. La vicenda di Daniel Campos ci riporta dall’altra parte dell’Atlantico.

Il Brasile è infatti spuntato nei casi di altre spie russe in Olanda e Norvegia. Due «ricercatori» che si facevano passare per brasiliani: nel primo episodio il protagonista aveva conservato degli appunti — atteggiamento strano — con i passaggi della sua «leggenda». Maria-Irina ricorda l’operazione di una terza Maria, Maria Adela, fuggita dall’Italia in Russia dopo aver rastrellato informazioni negli ambienti Nato a Napoli. Aveva cercato — senza successo — di ottenere documenti puliti peruviani, un ostacolo burocratico che non le ha impedito di entrare in Italia, gestire un’attività commerciale con la vendita di gioielli — in realtà roba cinese — creare relazioni utili e andarsene al momento giusto.

Uno sganciamento rapido nel settembre del 2018, provocato da un buon motivo: il sito investigativo Bellingcat aveva pubblicato un report dove forniva informazioni sull’Unità 29155 del Gru, l’intelligence militare russa sospettata per l’attacco contro l’esule Sergey Skripal con la sostanza letale Novichok. Ha avuto paura, ha preferito mandare a monte quanto aveva realizzato nel tempo e con grande pazienza.Maria Tsalla una volta al sicuro ha telefonato alla commessa del suo negozio per comunicarle che non sarebbe più tornata per «motivi familiari». Stranamente ha lasciato documentazione e un computer nel locale, materiale ora analizzato dal controspionaggio. Al setaccio i molti viaggi della trentenne: quale era il suo ruolo? A cosa si interessava? La residenza in Grecia era solo un appoggio per ricognizioni all’estero? Sono le prime domande alle quali il controspionaggio dovrà rispondere.

L’insieme delle storie formano un sentiero, descrivono un modus operandi ripetuto, quasi monotono, a tratti con poca fantasia. Ai «creatori» della leggenda piace un nome comune come Maria, hanno la passione per il Sud America perché è una buona sponda per inventare un’esistenza dal nulla e sono fedeli alla tradizione. Vale per i morti che «rinascono» o le radioline a onde corte per trasmettere i messaggi: se continuano ad usare i cari vecchi sistemi è perché, comunque, funzionano.

Corriere della Sera, 17 marzo 2023