Prosegue il duello aereo: i quattro velivoli abbattuti in Russia sarebbero stati centrati dai Patriot

Sono stati i Patriot a distruggere quattro velivoli in Russia? È probabile: lo hanno fatto sapere fonti militari negli ambienti del Congresso, messaggi affidati ai membri dello staff dei parlamentari americani.

La notizia, pubblicata dalla Cnn, riporta indirettamente a quanto avvenuto pochi giorni fa. Due caccia e due elicotteri precipitano nella zona di Bryansk, territorio russo non lontano dal confine con l’Ucraina. Le autorità sostengono che si è trattato di una trappola tesa da commandos ucraini, dotati di missili portatili. Kiev smentisce ipotizzando un clamoroso caso di fuoco amico, con i mezzi tirati giù dalla contraerea, in allarme e nervosa per le attività nemiche. Indecisi gli osservatori che non hanno escluso l’uso di missili dal lato ucraino. Unanime però il giudizio sulle conseguenze: gravi. Mosca ha perso, insieme a due aerei da combattimento, una coppia di elicotteri dotati di apparati per la guerra elettronica, risorse importanti e presenti con numeri ridotti nell’arsenale.

Nell’articolo dell’emittente americana non c’è un riferimento preciso all’episodio di Bryansk. L’indiscrezione della rete tv parla in modo generale, senza localizzazione specifica, di velivoli intercettati in Russia mentre si preparavano a compiere una missione. E c’erano i Patriot ad attenderli. Questo vuol dire che gli ucraini sono riusciti a piazzare una batteria in posizione vantaggiosa centrando i bersagli in zone dove i piloti si sentivano sicuri. Mossa significativa perché il sistema fornito dalla Nato comporta una logistica estesa — non è un singolo mezzo — ed è a sua volta uno dei bersagli cercati con insistenza da Mosca. Infatti ha annunciato di averne danneggiato uno dopo che la resistenza aveva rivelato l’efficacia dei Patriot nell’abbattere dei vettori ipersonici Kinzhal. Duello nei cieli, con largo impiego di radar e contromisure. Duello a terra attraverso la propaganda.

Altra arma, altra soffiata. È stato fatto uscire un report dell’Us Air Force sul training dei piloti ucraini a Tucson, in Arizona. Un team arrivato nel Sud Ovest per prendere confidenza con i caccia F16. Bene. Nel rapporto si afferma che sono bastati 4 mesi per prepararli al volo, molto meno dei 12-18 mesi previsti in via ufficiale. In realtà qualche esperto era convinto che sarebbe stato possibile accorciare i tempi e aveva ipotizzato una finestra di 4-6 mesi in caso di corso accelerato. Dibattito a tratti intenso legato al rifiuto della Casa Bianca di concedere i caccia a Zelensky. Washington al momento non è disposta a cedere i «suoi» F16, però non vieta agli alleati di farlo e il vertice G7 ha approvato il piano per la «coalizione dei jet».

Differenze politiche a volte mascherate dietro considerazioni più tecniche. «Non è difficile mettere un pilota ai comandi», ha replicato l’ex generale americano Mark Hertling, tutt’altra cosa inserire un velivolo in un dispositivo in quanto richiede manutenzione, supporto, coordinamento, integrazione con forze terrestri. Altri osservatori aggiungono: l’F16 non è la risposta migliore all’esigenze dell’Ucraina, ha bisogno di agire con altri velivoli e all’interno di un’aviazione complessa. Pareri negativi contestati da una corrente di pensiero convinta che possano aiutare efficacemente Kiev. E citano tutti quei sistemi dati troppo lentamente ma che hanno permesso agli ucraini di contenere l’avversario.

Restando sul tema scorte, c’è l’annotazione del vice capo dell’intelligence militare di Kiev sui bombardamenti. In base all’esame dei rottami dei missili usati dai russi negli ultimi bombardamenti — ha sottolineato Vadim Skibitsky — risulta che sono stati prodotti nel primo trimestre 2023. La loro industria può metterne a punto una media di 60 al mese, così suddivisi: 25 Kalibr, 35 Kh-101, 2 Kinzhal e 5 Iskander. La cifra si avvicina a una stima precedente e conferma anche come Mosca riesca ad importare componenti occidentali in barba alle sanzioni. Non è una sorpresa.

Corriere della Sera, 19 maggio 2023

Ucraina, perché la Russia ha intensificato i bombardamenti su Kiev?

L’ultimo raid russo sull’Ucraina unisce tattica e una strategia ben delineata fin dai primi giorni del conflitto.

Sono stati lanciati 6 modernissimi Kinzhal, 21 KH 101/KH 555, 2 Iskander, 2 droni kamikaze iraniani Shahed, 2 droni da ricognizione. Non sappiamo se hanno aggiunto ordigni-esca. Sono stati impiegati bombardieri che incrociavano lontani, sul Mar Caspio e sul territorio russo. Gli ucraini hanno sostenuto di avere intercettato 29 «pezzi» su 30 e attribuiscono qualche danneggiamento «ai frammenti caduti». Come sempre sono bollettini inverificabili, anche se per alcuni esperti la capacità di abbattere i vettori è passata dal 10 per cento dell’inverno 2022 ad un 70-80 per cento. Merito dei sistemi ottenuti dall’Occidente e del progressivo addestramento delle unità chiamate alla missione. Forniture, aggiustamenti pragmatici, intelligence avrebbero dato il loro contributo.

Mosca, però, non ha desistito. Ha continuato a martellare seguendo cinque linee.

1. «Demolizione» delle infrastrutture economiche, civili, militari. Strike su depositi di materiale bellico.

2. Punizione collettiva.

3. Pressione per far consumare ai difensori il maggior numero possibile di mezzi anti-missile ritenendo che Kiev non ne abbia in abbondanza.

4. Spingere l’avversario a dividere lo scudo tra due priorità, la protezione delle aree urbane e quella dei reparti al fronte.

5. Una guerra d’attrito prolungata nei cieli con conseguenze più ampie.

Con quali esiti?

Le distruzioni sono state pesanti, i conti salgono ogni giorno, la ricostruzione richiederà risorse infinite. Tuttavia, è ancora il parere degli analisti, l’Ucraina è riuscita ad incassare i colpi, la vita è proseguita pur tra mille difficoltà, gli aiuti dall’estero sono continuati ad arrivare usando più rotte. Secondo gli osservatori, gli invasori si sono affidati alle armi a lungo raggio anche per sopperire ad una mancanza di superiorità aerea. Non volendo rischiare i velivoli di un’aeronautica poco efficace hanno preferito dare spazio ai cruise, lanciabili da distanza di sicurezza. E hanno attinto a un arsenale adeguato, a prescindere dalla qualità dei mezzi. In diverse occasioni hanno impiegato gli S300 anti-aerei contro bersagli terrestri e missili privi di testata esplosiva per «attirare» il fuoco. Poi il battesimo del Kinzhal, molto manovrabile, ipersonico e sulla carta dalle grandi prestazioni. Non un apparato «magico» — non esistono — però più difficile da stoppare insieme agli Iskander, come hanno ammesso gli ucraini quando chiedevano equipaggiamenti Nato all’altezza della minaccia.

Il quadro sarebbe cambiato con l’arrivo dei Patriot, neppure loro infallibili, però uno strumento in più. Sul piano bellico ma anche propagandistico. Ecco l’annuncio dell’intercettamento degli ipersonici e la risposta di Mosca con lo strike che ha coinvolto il «cacciatore», ossia il Patriot. Con le due capitali rapide nello sminuire i rovesci oppure negare ripercussioni severe specie quando muovono tecnologie importanti. Significativi i distinguo sui danni riportati da una batteria di Patriot: ci sono stati, però non ne hanno compromesso la funzionalità.

La sfida si è estesa alla sicurezza «generale» e all’arena spionistica. Un gruppo di accademici russi ha pubblicato una lettera aperta in favore di tre scienziati finiti sotto inchiesta da alcuni mesi con l’accusa di aver diffuso informazioni riservate sui Kinzhal, vanto personale di Vladimir Putin. Valery Zvegintsev, Anatoly Maslov e Alexander Shiplyuk hanno lavorato nel centro dell’Accademia delle Scienze a Novosibirsk, in Siberia. I servizi li hanno indagati, quindi affidati alla magistratura. Rischiano condanne fino a 20 anni. Maslov — stando alle indiscrezioni — avrebbe passato dati sul missile ipersonico ai cinesi mentre Zvegintsev ha scritto un articolo con notizie giudicate «sensibili» su un giornale iraniano. Un altro scienziato, finito nella lista nera, è invece deceduto per una grave malattia.

La storia, con dettagli giudiziari coperti, riflette gli ordini perentori del Cremlino, rilanciati di recente, sull’esigenza di fermare «traditori» e «sabotatori», di scovare le «talpe» al servizio del nemico. A Kiev, invece, è stato aperto un procedimento giudiziario nei confronti di sei blogger colpevoli di aver diffuso video dei bombardamenti e della risposta della contraerea, immagini rilanciate dai russi. C’è il timore costante che i filmati siano studiati per rendere più accurato il tiro.

Corriere della Sera, 18 maggio 2023

DeSantis si candiderà la prossima settimana

Ron DeSantis è pronto ad annunciare la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Il governatore della Florida, considerato da tempo il più temibile rivale di Donald Trump alle primarie repubblicane, dovrebbe entrare ufficialmente nella corsa per la Casa Bianca la settimana prossima, durante un importante evento di raccolta fondi che si terrà dal 24 al 26 maggio al Four Seasons di Miami. Lo rivelano il Wall Street Journal e il Washington Post citando fonti informate sui fatti, ma le indiscrezioni si rincorrevano da tempo: erano mesi che il governatore, 44 anni, preparava l’annuncio, effettuava comizi in tutto il Paese e si era pure lanciato in un viaggio in Giappone, Corea del Sud, Israele e Regno Unito, ufficialmente per ragioni commerciali.

Eletto a sorpresa una prima volta nel 2018 grazie al sostegno dello stesso Trump, DeSantis si è fatto conoscere a livello nazionale durante la pandemia sposando le battaglie contro le restrizioni sociali dell’ex presidente e poi lanciandosi in campagne identitarie — il divieto di parlare di razzismo sistemico o identità di genere nelle scuole, ma anche lo scontro con Disney che ora gli ha fatto causa — che hanno galvanizzato la destra. Uscito dall’ombra di Trump, ha cominciato a subirne gli attacchi e i nomignoli offensivi, è stato bollato come «sleale», ma a novembre è stato rieletto con ampia maggioranza. Qualche passo falso – in particolare sulla guerra in Ucraina, definita una disputa territoriale – lo ha fatto un po’ calare nei sondaggi, ma la settimana prossima proverà lo stesso il salto verso la Casa Bianca.

Corriere della Sera, 18 maggio 2023 (newsletter AmericaCina)

America oggi | Aborto, transgender, libri e TikTok: così gli Stati combattono le guerre culturali

  • In Florida proprio la campagna del governatore DeSantis e dei suoi alleati politici è deflagrata in uno scontro con la Penguin Random House. Il colosso editoriale ha fatto causa al distretto scolastico della conta di Escambia, al confine con l’Alabama, che ha bandito dalle biblioteche i libri di alcuni suoi autori: fra questi figurano il premio Nobel Toni Morrison, Kurt Vonnegut e Khaled Hosseini. Da gennaio 2021 sono state introdotte 306 proposte di legge simili in 45 Stati americani: 22 sono poi diventate legge.
  • Il Montana ha messo al bando TikTok. Dopo aver firmato un mese fa la legge che limita i diritti delle persone transgender (nonostante l’appello del figlio), il governatore repubblicano Greg Gianforte ha firmato ieri una nuova legge che a partire dal 1° gennaio vieterà l’uso della app di proprietà della cinese ByteDance per motivi di sicurezza nazionale. «Il Montana oggi compie un passo importante per impedire che i dati privati e le informazioni personali dei suoi cittadini siano raccolti dal partito comunista cinese», ha affermato Gianforte, accusato di aver infranto il primo emendamento, quello che garantisce al libertà di espressione. TikTok — che ha 7 mila dipendenti e 150 milioni di utenti negli Stati Uniti — non potrà più essere scaricata dagli store e sarà multata se continuerà a operare nello Stato, ma darà battaglia legale: è solo un anticipo di quello che potrebbe accadere anche a livello nazionale.
  • In South Carolina la Camera ha approvato una legge che vieta l’aborto dopo sei settimane, mentre al momento è possibile fino alla 22esima. La misura ora tornerà al Senato e, se approvata, finirà sulla scrivania del governatore: la firma del repubblicano Henry McMaster restringerebbe notevolmente l’accesso all’interruzione di gravidanza nello Stato del Sud, finito al centro della battaglia per i diritti riproduttivi. Già a gennaio la Corte Suprema locale aveva stabilito che il diritto all’aborto era sancito dalla Costituzione e aveva bocciato una legge che introduceva il divieto a partire dalla sesta settimana: la giudice che aveva scritto la decisione, l’unica donna, si è però ritirata poco dopo.
  • Il parlamento del Texas, infine, ha approvato ieri una legge che proibisce i trattamenti con ormoni e le operazioni per i ragazzi transgender, che dovrà ora essere firmata dal governatore repubblicano Greg Abbott. La misura — accolta con grandi proteste dagli attivisti: ieri ci sono stati due arresti — vieta ai giovani transgender di accedere ai trattamenti necessari alla transizione, stabilisce un esenzione limitata per coloro che già stanno ricevendo cure, e impedisce ai medici di effettuare mastectomie, sterilizzare, o rimuovere tessuti sani o parti del corpo, oltre che di prescrivere medicinali che comportano un’infertilità transitoria o permanente.

Corriere della Sera, 18 maggio 2023 (newsletter AmericaCina)

Kyrylo Budanov, chi è il capo dell’intelligence ucraina che rivendica gli omicidi in Russia

Il racconto è quello di Kiev. Il 6 agosto 2016 un commando sbarca in un punto della Crimea, deve sabotare una base. Il team, invece, è intercettato dai russi, segue un conflitto a fuoco edun colonnello dell’Fsb resta ucciso. Gli incursori riescono a sottrarsi alla gigantesca caccia all’uomo. Di quella squadra faceva parte Kyrylo Budanov, uno degli elementi dell’intelligence militare dell’Ucraina, il Gur. Mosca lo inserisce nella lista nera, mentre il suo governo lo premia con una medaglia. Avranno ancora bisogno di lui.

Quattro anni dopo Budanov diventa il numero uno dell’apparato, portandosi dietro l’esperienza sul campo e la propensione per azioni senza limiti. Nato nel 1986 nella capitale, si è diplomato alla Scuola di Guerra nel 2007 e, successivamente, è stato inviato nel Donbass come tanti altri. La regione contesa è terreno di scontro ma anche banco di prova, le unità e i militari ruotano per fare esperienza. Combattimenti tradizionali, missioni dietro le linee: l’ufficiale sale la scala gerarchica in modo rapido, nonostante l’età. I nemici lo «marcano», lo considerano un target rilevante. Il 4 aprile del 2019 cercano di farlo fuori con un ordigno sotto la sua vettura, attentato fallito perché la carica esplode in anticipo.

Quando arriva l’invasione Budanov — spiegherà in un’intervista al Washington Postè uno dei pochi a non aver mostrato scetticismo, forse perché i suoi contatti con lo spionaggio occidentale gli hanno aperto gli occhi. Oppure perché conosce bene l’avversario e reagisce organizzando una risposta profonda. Per fasi.

La prima. Agisce e nega tutto. Sabotaggi, droni, infiltrazioni, annientamento di chi coopera con l’invasore nei territori occupati.

La seconda. Osa di più, gli attacchi si estendono alla Russia, iniziano a sparare su personaggi di rilievo. Nega ancora, alimenta le tesi di provocazioni del Cremlino, al massimo si nasconde dietro le parole, frasi per dire-non-dire che assomigliano (ma non lo sono) a messaggi in codice.

La terza. Le missioni diventano clamorose, difficile smentire sempre ed essere creduti. L’omicidio mirato del blogger militante nazionalista Vladlen Tatarsky è forse lo spartiacque. Il muro si allenta, il Gur lascia intendere il suo ruolo e il capo afferma che colpiranno ovunque. Il cambio di tono è inevitabile perché Mosca raccoglie indizi sulla rete e comunque all’Ucraina fa comodo destabilizzare l’avversario all’interno mentre sul fronte terrestre c’è lo stallo.

La quarta. Martedì, infine, è arrivata l’ammissione di Budanov, che rivendica gli omicidi di figure mediatiche tra gli invasori.

L’assunzione di responsabilità ha conseguenze. È una sfida diretta. Trasforma Budanov ancora di più in un target per Mosca che lo ha bollato come terrorista. Autorizza a vedere la mano degli ucraini in ogni episodio, anche in quelli dove non c’entra. Aumenta lo status dell’alto funzionario che, a febbraio, era stato indicato per una promozione importante: ministro della Difesa al posto di Oleksyi Reznikov.

Invece il capo delle spie è rimasto al suo posto, accompagnato dai lampi veri delle esplosioni in Russia e dalle rivelazioni americane su progetti di operazioni «non ortodosse» discusse a Kiev, da condurre fuori dai confini. Indiscrezioni che ricordano i timori americani su mosse spericolate dell’intelligence ucraina o che qualcuno muova senza controllo. Preoccupazioni di chi si aspetta di tutto, ma anche il modo per preparare il terreno.

Corriere della Sera, 17 maggio 2023

Viktorija Cmilyte-Nielsen, presidente del parlamento lituano: «Più soldi per la Difesa e Kiev nella Nato: così vinceremo contro i regimi»

Pur essendo un Paese relativamente piccolo, la Lituania si ritrova al centro delle due principali sfide geopolitiche della nostra era: quella con la Russia, per motivi geografici, e quella con la Cina, perché nel novembre del 2021 il governo di Vilnius ha autorizzato l’apertura del primo ufficio di rappresentanza di Taiwan — invece che di Taipei, come pretende la Cina — nel continente europeo, scatenando la reazione rabbiosa di Pechino che ha troncato ogni rapporto politico e commerciale con lo Stato baltico. Presidente del parlamento lituano, il Seimas, è la 39enne Viktorija Cmilyte-Nielsen, gran maestro di scacchi dal 2010 e leader del movimento dei Liberali, in questi giorni in Italia per una serie di incontri, a cominciare da quelli di ieri con il presidente della Camera Lorenzo Fontana e con il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri.

Presidente, quali sono gli obiettivi di questo viaggio?
«Sono diversi, a cominciare dal rafforzamento delle relazioni bilaterali. Dopo l’aggressione russa dell’Ucraina è particolarmente importante, e vogliamo intensificare la cooperazione anche in vista del prossimo summit Nato di luglio a Vilnius. L’Italia è un alleato importante, non solo a livello economico ma anche per quanto riguarda la nostra sicurezza e la difesa, e vorremmo che questa cooperazione proseguisse. È da tempo coinvolta anche nell’attività di pattugliamento aereo della Nato in Lituania, e lo sarà di nuovo in autunno».

Quali sono le sfide?
«Dopo gli attacchi ibridi del regime di Lukashenko nell’estate 2021, quando i migranti furono portati in Bielorussia e spinti oltre il confine lituano, la nostra prospettiva è cambiata: vogliamo mostrare la nostra solidarietà, capiamo i problemi che quest’area dell’Ue deve affrontare. Al tempo stesso speriamo che l’Italia sarà più interessata ai problemi dei Paesi dell’area orientale».

Si riferisce alla spesa per la Difesa, in cui l’Italia investe l’1,5% del Pil?
«La situazione è diversa per ogni Paese. In Lituania dopo l’invasione dell’Ucraina abbiamo deciso di allocare il 2,52%. Ritengo che il 2% sia la base minima da cui partire, e che i Paesi che non l’hanno raggiunta dovrebbero impegnarsi a farlo. Oggi è chiaro che tutto si basa su due aspetti: la difesa e la protezione di un ordine mondiale basato sul diritto internazionale, in particolare in un Paese come il nostro che si trova nel fianco Est della Nato ed è geograficamente e geopoliticamente vicino alla guerra in Ucraina».

Quali sono le vostre aspettative per il summit di Vilnius? Spingerete per alzare il budget per la Difesa al 3%?
«Dobbiamo scoraggiare la Russia mostrandoci pienamente preparati. Al momento la Russia è impegnata in una guerra fredda a lungo termine contro l’Occidente, che può surriscaldarsi come abbiamo visto in Ucraina. In preparazione del summit sto anche organizzando un evento con tutti i presidenti dei parlamenti dei Paesi Nato, per riconoscere il ruolo fondamentale di queste istituzioni, per esempio nell’allocare i fondi per la difesa. Il nostro parlamento ha recentemente adottato una risoluzione in cui chiediamo, fra le altre cose, una prospettiva per l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Dobbiamo fare di più, mantenendo l’unità: vogliamo vedere l’Ucraina nell’Alleanza il prima possibile. Ripetere vecchie promesse non è più abbastanza».

Pensa che per Kiev sia più semplice la strada che porta all’Ue?
«Sono in contatto con molti colleghi ucraini e penso che abbiano fatto progressi straordinari anche in un momento in cui così tante risorse — umane e parlamentari — sono risucchiate dall’aggressione russa. Penso che l’espansione dell’Unione europea sia uno degli più grandi strumenti geopolitici che abbiamo a disposizione. Abbiamo gli stessi valori, lo stesso approccio alla democrazia, al mondo libero, ai diritti umani. Gli ucraini stanno letteralmente morendo per far parte della famiglia europea, stanno pagando un prezzo eccezionale».

Pensa che l’invasione abbia spostato l’equilibrio continentale verso Est?
«La Russia non si aspettava che l’Unione europea avrebbe reagito sostenendo con tanta determinazione l’Ucraina, così come non si aspettava la decisione di Svezia e Finlandia di entrare nella Nato. Una decisione storica per tutta l’Alleanza, ma soprattutto dal punto di vista del Baltico. Questi fattori ci hanno rafforzato, non ci hanno reso più deboli. Con Lettonia, Estonia e Polonia ci siamo sentiti ambasciatori dell’Ucraina. A causa della nostra esperienza storica avevamo capito la minaccia russa molto prima di alcuni Paesi occidentali, per i quali fare affari con un Paese implicava che questo non gli si sarebbe rivoltato contro. Questa strategia ha fallito. Noi abbiamo una competenza in materia, e ora i nostri Paesi vengono ascoltati di più».

L’invasione russa ci ha fatto capire l’importanza del nostro patto?
«Penso di sì, ci ha in qualche modo risvegliati da un sonno geopolitico in cui vedevamo il mondo come avremmo voluto che fosse e non come è davvero. Le ambizioni imperiali della Russia c’erano da tempo, ma era più semplice far finta di niente. C’erano già stati la Georgia nel 2008, la Crimea nel 2014, ma la reazione occidentale non era stata abbastanza unità, forte, seria. Sicuramente avremmo potuto evitare quello che è successo all’Ucraina».

Ci sono altri Paesi in pericolo?
«A rischio c’è l’intero ordine mondiale basato sul diritto internazionale».

Perché sostenete così apertamente anche Taiwan?
«Per lo stesso motivo per cui sosteniamo l’Ucraina. Per noi è molto importante chiarire che è pericoloso fare affidamento su regimi autocratici, è una strada che porta grandi rischi e può finire in tragedia, come abbiamo visto in Ucraina. Per questo pensiamo che sia arrivato il momento che le democrazie del mondo si sostengano e cooperino a ogni livello, da quello economico a quello culturale. L’ufficio di rappresentanza di Taiwan e la nostra decisione di lasciare il gruppo dei 17+1 con la Cina (il forum di cooperazione della Cina con gli stati dell’Europa centrale e orientale, che la Lituania ha lasciato a maggio 2021, nda) che ritenevamo inefficiente e controproducente, sono passaggi logici in questa direzione».

Il decoupling forzato imposto dalla Cina, ovvero un disaccoppiamento delle economie, potrebbe verificarsi anche in Italia, se non rinnoveremo il memorandum d’intesa sulla Via della Seta. Come siete sopravvissuti economicamente?
«La cosa più difficile è essere i primi, hai le conseguenze peggiori. Direi però che il decoupling con i regimi autocratici è la strategia giusta. Per noi è stato molto importante il sostegno dell’Ue, che ci ha aiutato a superare queste misure coercitive. All’epoca abbiamo fatto presente che ogni Paese avrebbe potuto ritrovarsi al posto della Lituania, e che non avremmo dovuto permettere questi atti di bullismo. Alla fine direi che le cose sono andate bene, e che per l’Unione europea è stato un test superato».

Essere un gran maestro di scacchi la aiuta politicamente?
«Competere in uno sport intellettuale ti fornisce un’esperienza piuttosto unica, credo che mi aiuti in molti aspetti della vita. Compresa la politica».

Il suo primo maestro è stato suo padre, che era un agente del Kgb in epoca sovietica. Questo background familiare la ha aiutata a capire meglio la minaccia russa?
«Vengo da un Paese in cui non c’è bisogno di spiegare il nostro ingombrante vicino orientale. La storia della Lituania, la storia dell’occupazione, la storia della resistenza, la storia di un Paese che è stato il primo a infrangere l’Unione sovietica: tutto questo è accaduto nel corso della mia vita. Ho ricordi personali di quei tempi. Sono esperienze che formano la tua personalità. Spesso mi chiedono come facciamo a comprendere così bene il pericolo posto dalla Russia: beh, aiuta aver avuto una storia dolorosa alle spalle che te lo può ricordare».

Corriere della Sera, 17 maggio 2023 (pag 14 e pag 15)

L’Ucraina: «Abbattuti sei missili ipersonici Kinzhal russi». Ma come ha fatto? I dettagli sulla guerra aerea

I belligeranti si colpiscono dal cielo, testano gli apparati combattendo, rivendicano successi. La sfida continua tra lancia e scudo. Mosca prosegue sul sentiero di guerra e, a cadenza non sempre regolare, conduce bombardamenti massicci.

Nelle scorse ore ha utilizzato missili Kalibr, i droni iraniani, gli ipersonici Kinzhal. Armi di tipo diverso per complicare la risposta della difesa attorno a Kiev, «proiettili» che arrivano da quote differenti, con caratteristiche differenti. Possibile il ricorso a droni-esca per attirare il fuoco e distogliere l’attenzione da quelli veri, dotati di testata bellica.

Gli ucraini hanno sostenuto di avere intercettato 18 bersagli, compresi 6 Kinzhal e ciò implica un eventuale successo dei Patriot forniti dalla Nato, a loro volta target degli invasori. Infatti i russi hanno annunciato di avere colpito una batteria con un Kinzhal. È un duello intenso con il corredo di propaganda sui risultati effettivi.

La resistenza ha attuato la stessa tattica, però con un numero di mezzi minore. Sono stati segnalati possibili lanci di cruise britannici Storm Shadow, raggio d’azione di circa 300 chilometri, in coppia con apparati che devono confondere la contraerea. Gli esperti dell’istituto Rusi sottolineano come siano sistemi adatti per distruggere posizioni «robuste», comandi e snodi, ossia una serie di obiettivi nevralgici che per un certo periodo erano alla portata degli Himars e che successivamente sono stati spostati dall’Armata. Ora gli Storm accorciano di nuovo le distanze. I «tecnici» ribattono: vero, però i russi possono sfruttare molte strutture protette e bunker risalenti all’era sovietica in grado di assorbire il colpo.

Inoltre ci sono i costi elevati degli Storm Shadow e la disponibilità relativa delle scorte, la conseguenza è un uso molto mirato. Londra ha assicurato Zelensky sui rifornimenti, tuttavia sempre gli esperti ritengono che Kiev potrebbe essere costretta a chiedere ad altri Paesi che li hanno, sempre che siano disposti a privarsene. Restiamo sul piano teorico, non tutto è pubblico. In passato fonti americane hanno lasciato trapelare i timori analoghi per l’arsenale anti-aereo ucraino insufficiente, gap aggravato dall’impiego su larga scala di missili. Stessa cosa si era detta per l’artiglieria, ritardo colmato da una catena di rifornimento intensa quanto «sofferta».

La Russia ha incontrato problemi e trovato soluzioni
. Ha aumentato la produzione di materiale — c’era chi era scettico —, ha acquistato circa 400 droni d’attacco iraniani e adesso deve procurarsene altri, ha «tirato» missili vecchi e nuovi, ha potenziato le contromisure elettroniche che, secondo informazioni occidentali, hanno fatto muro «deviando» Himars e bombe a lungo raggio. Se gli ucraini hanno rivendicato l’abbattimento dei Kinzhal, i russi hanno detto lo stesso di sette Storm Shadow. Interessante poi un bilancio ricavato dal ricercatore-blogger Oryx: un terzo dei 152 cannoni M777 da 155 millimetri spediti dalla Nato in Ucraina sarebbero stati distrutti o danneggiati. Erano e sono un target primario, quindi il nemico gli ha dato la caccia con insistenza. Trainati da camion, dunque meno mobili rispetto ai mezzi cingolati/ruotati, richiedono tempo per essere piazzati e rimossi, sono esposti alle incursioni dei droni-kamikaze Lancet.

Sempre insicure le zone di confine russe, con attacchi di droni a Bryansk, la cittadina dove pochi giorni fa sono stati distrutti due elicotteri e due caccia di Mosca. Non è ancora chiaro come. «È noto che il livello addestrativo degli equipaggi dell’aeronautica russa è abbastanza modesto», osserva il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore italiano. «In questo caso si tratta di velivoli che sono stati chiaramente abbattuti da qualche sistema antiaereo. Ipotizzare che sia stato fuoco amico oppure un’azione degli ucraini è arduo da affermare. È comunque possibile che siano stati i russi ad abbatterli perché nella concitazione del combattimento non si distingue l’amico dal nemico, soprattutto quando non hai il dominio dell’aria e temi che quello che vedi possa essere un nemico. Nella dottrina occidentale la conquista del dominio dell’aria è il prerequisito essenziale di qualsiasi operazione militare: non lanci le truppe di terra se non hai dominio dell’aria». Mosca non ha un controllo pieno e ne paga le conseguenze.

Corriere della Sera, 16 maggio 2023

Chi è Oleksandr Syrskyi, il generale che sarà l’architetto della futura controffensiva ucraina

L’organizzazione, la «tenuta» davanti all’aggressione, il contrattacco. Sono le tre fasi di un conflitto combattuto soprattutto tra pianure, fiumi e boschi con al centro un protagonista: il generale Oleksandr Syrskyi, comandante delle forze terrestri dell’Ucraina. Non l’unico, ma di sicuro rilevante.

Nato nel 1965 nella località russa di Novinki, l’ufficiale ha frequentato la scuola militare a Mosca e ha poi partecipato alla prima fase di guerra nel Donbass, nel 2014. Un momento critico per gli ucraini, con un esercito vecchio stampo, afflitto da corruzione, mentalità superata, mezzi carenti. Syrskyi è cresciuto nell’establishment, è stato parte dei contatti diretti con la Nato, infine ha assunto l’attuale carica nel 2019. Insieme al numero uno, il generale Valeri Zaluzhnyi, si è preoccupato di lanciare una riforma dell’apparato, missione portata avanti mentre il Paese era sotto pressione. Un cambiamento condotto anche con l’assistenza degli alleati occidentali, fornitori indispensabili per mettere insieme le Brigate.

Stretta la cooperazione con lo spionaggio Nato e la componente più delicata, quella delle operazioni «speciali». Aspetti noti, perfino raccontati ai media — come i programmi d’addestramento — che vanno uniti a quelli più riservati. Questa collaborazione è diventata fondamentale quando la minaccia del Cremlino si è fatta concreta con i Battaglioni disposti lungo i confini. Allora il governo Zelensky era scettico degli allarmi dati da Washington sull’invasione, non ci credeva o forse fingeva di non crederci. Lo stesso Syrskyi, secondo ricostruzioni, avrebbe espresso dei dubbi ma questo non gli ha impedito di reagire con prontezza smentendo, con gli altri, la previsione statunitense di una sconfitta dell’Ucraina «in un paio di settimane».

Il generale si è preoccupato della difesa della capitale e ha creato almeno due cerchi di sicurezza divisi poi in settori affidati a sottoposti scelti con cura. I racconti del «day after» sostengono che il comandante abbia concesso molta autonomia agli ufficiali, consentendo loro di agire senza attendere la luce verde della linea gerarchica. Ossia come erano stati abituati a fare da decenni consultando manuali di impronta sovietica. Ha sparpagliato i pochi caccia e le riserve per sottrarli alla prima ondata di raid, ha fatto affluire qualsiasi cannone, anche «ferri» superati e quelli usati per il training.

Una maggiore flessibilità rispetto al Golia «sovietico» che avanzava a passo lento in direzione di Kiev. La tattica ha funzionato, le colonne di Putin hanno dovuto rinunciare, tra perdite vistose e problemi logistici. Il neo-zar ha cambiato obiettivi, concentrandosi a sud e ad est, silurando generali ritenuti inadeguati, dando spazio ai mercenari-galeotti della Wagner: un’instabilità perenne nella catena di comando, l’opposto del campo ucraina. Per Zelensky è stato facile riconoscere i meriti dello Stato Maggiore, Oleksandr Syrskyi è stato insignito del titolo di «eroe dell’Ucraina».

L’ufficiale ha conquistato nuovi punti quando, giocando su sorpresa e inefficienza degli occupanti, ha coordinato l’assalto nelle zone orientali, nell’area di Karkhiv. Uno sfondamento con il nemico travolto. Una versione racconta che sarebbe stato Syrskyi a suggerire le mosse nonostante il parere contrario dei suoi colleghi, altri osservatori paiono più cauti. Le operazioni non possono dipendere da un singolo uomo, specie se coinvolgono più unità e le scorte non sono ampie. Spesso gli artiglieri ucraini hanno dovuto razionare i colpi, scegliere tra priorità diverse e con sacrifici immensi dei militari, falciati da un fuoco avversario devastante.

Ciò che vale comunque è il risultato e la resistenza lo ha ottenuto, saranno poi gli studiosi a stabilire il peso specifico dei singoli. In questa cornice rientra il capo dell’intelligence Kyrylo Budanov, i cui colpi hanno permesso a Kiev di osare azioni in profondità. Ora devono pensare ad una fase ancora più ostica, quella della possibile offensiva per liberare territori. Rispetto all’inverno del 2022 Syrskyi ha più mezzi, più munizioni, maggiore esperienza, tuttavia deve fare i conti con le aspettative eccessive e con l’Armata russa, descritta dai critici con toni negativi ma comunque trincerata in una buona fetta di Ucraina.

Corriere della Sera, 15 maggio 2023 (pag 16 del 16 maggio)

Avanzata a Bakhmut e colpi in profondità: sta per cominciare la controffensiva ucraina?

«Ancora qualche visita e poi lanceremo l’offensiva».

La dichiarazione di Volodymyr Zelensky in Germania indica la necessità di disporre di ogni singola cartuccia ed evitare un’azione «prematura», come lui stesso ha sottolineato. I russi, invece, sostengono che l’operazione è iniziata alludendo agli assalti a Bakhmut. Meno schematico è quanto racconta il campo, dove ognuno si prepara in vista di uno scontro ampio.

L’assedio

Le notizie descrivono una battaglia accesa nella località assediata. Gli ucraini provano ad avanzare ancora a nord e sud dopo aver guadagnato circa 17 chilometri quadrati. Gli invasori, pur ripiegando in alcune zone, affermano di aver bloccato la percussione e restano in controllo di buona parte della città. Però lamentano perdite importanti. Sono stati uccisi due colonnelli: uno era il comandante della Quarta brigata motorizzata fucilieri, Vyacheslav Makarov, l’altro si chiamava Yevgeny Brovkov, anche lui con incarico di rilievo.

Gli osservatori ritengono che Kiev abbia utilizzato una forza consistente, forse con il coinvolgimento di mezzi e soldati appena addestrati dalla Nato. Un test sul terreno e una mossa d’opportunità dopo aver individuato (o creato) la situazione favorevole. Nei conflitti ci sono i piani ma anche i «momenti» da cogliere quando nello schieramento si produce un cedimento, nasce una superiorità tattica. Solo il futuro potrà valutare l’entità del successo. È quasi un anno che i soldati si contendono un’area una volta abitata ed oggi ridotta in macerie dalle cannonate.

I preparativi

Il presidente ucraino ha appena incassato un mega pacchetto d’aiuti dalla Germania — dall’anti-aerea ai carri — e i suoi collaboratori ne invocano ancora, chiedono sempre i caccia. Il senso è di avere un arsenale che possa supportare manovre articolate. Sono gli esperti a ipotizzare una serie di iniziative e non unico attacco. Ipotesi come tante, scenari pieni di condizionali.

Invece sono evidenti i preparativi offensivi e difensivi. I russi hanno rivendicato raid con missili lanciati dai bombardieri e della unità navali nel Mar Nero contro grandi depositi di armi/munizioni: strike documentati dai video, dalle esplosioni, dalle fiamme. Tra i target anche un sito nell’Ovest del Paese, a Ternopil.

L’intelligence spia i convogli dei rifornimenti in entrata dalla Polonia
e passa le coordinate all’aviazione e alla Marina. È già successo in passato, accadrà ancora. Strike che possono coinvolgere però anche la popolazione civile.

Kiev risponde con i suoi fendenti. Nel mirino sono le munizioni, le vie di collegamento, i concentramenti di truppe, gli apparati radar e gli snodi che ospitano alti ufficiali. Dove può impiega gli Himars, oltre il raggio degli 80 chilometri invece ricorre ai droni e, da qualche giorno, ai cruise britannici Storm Shadow in accoppiata con missili-esca che devono ingannare la contraerea. Gli analisti non escludono che il ponte di Kerch, in Crimea, diventi nuovamente un obiettivo: gli ordigni forniti da Londra hanno testate potenti e precise.

In profondità

Sabato il Washington Post ha svelato altre carte riservate del Pentagono, documenti parte dell’archivio messo in rete dall’aviere Jack Teixeira. Cosa dicono?

Che l’Ucraina ha considerato azioni audaci, ad alto rischio. Dall’occupazione di un villaggio russo al possibile sabotaggio di un oleodotto in Ungheria, un Paese Nato troppo vicino a Mosca. Zelensky ha appoggiato alcuni di questi progetti (non realizzati) e ne ha impediti altri perché velleitari. Però la sintesi, nonostante le smentite di rito, è che la resistenza non si pone limiti. Lo confermano i roghi negli impianti petroliferi in Russia, i voli dei droni-kamikaze in profondità, gli episodi dalla mille versioni.

Sono ancora molte le ipotesi sull’abbattimento di due elicotteri e due caccia nella regione russa di Bryansk. Kiev addossa la responsabilità ad un errore delle difese, un clamoroso caso di fuoco amico. Strano però che abbia coinvolto un numero alto di velivoli. Fonti degli invasori sospettano l’attività di commandos infiltratisi con missili anti-aerei portatili. C’è una terza tesi: sono stati centrati da apparati posizionati in Ucraina. Il risultato resta immutato, come è immutata la percezione di un’Ucraina che, dopo mesi di guerra d’attrito logorante, rilancia l’iniziativa. Tra speranze, aspettative e inquietudini sull’esito.

Corriere della Sera, 14 maggio 2023 (pag 3 del 15 maggio)

La guerra nei cieli: quattro velivoli dell’Armata precipitano in Russia, duello fra Patriot e missili ipersonici

I due contendenti, oltre a combattere duramente a Bakhmut, si sfidano a colpi di missili. Non sempre chiari i dettagli degli episodi protetti da riservatezza e schermaglie. Questo mentre la Germania manda un segnale forte con aiuti militari per 2,7 miliardi di euro all’Ucraina.

Nel mirimo

Due caccia — un Su 35 e un Su 34 — e due elicotteri Mil 8 — di cui uno per la guerra elettronica — sono precipitati nella regione di confine di Bryansk. Le informazioni a riguardo sono ancora incerte, tuttavia stando ad alcune ricostruzioni i velivoli sarebbero stati abbattuti. Da incursori o, come suggerisce qualcuno, dall’interno del territorio ucraino? E con quale sistema? Si è parlato anche di una trappola tesa dagli ucraini e persino di fuoco amico. Se il bilancio dovesse trovare conferma, rappresenterebbe una novità tattica importante con Kiev in grado di ostacolare a distanza le missioni dell’aviazione avversaria. Inoltre sarebbe l’ulteriore prova di come il Cremlino continui ad avere problemi nelle zone di frontiera, teatro di sabotaggi, raid di droni, incidenti dalle cause misteriose.

Il duello

Il 6 maggio un Patriot fornito dagli Usa ha intercettato e distrutto un missile ipersonico russo Kinzhal, una delle nuove armi utilizzate dalla Russia nel conflitto. La notizia è stata diffusa nei giorni scorsi, ma ora si aggiunge un aspetto. Per la Cnn, l’obiettivo dell’ipersonico era proprio la batteria, individuata dagli invasori non appena ha attivato i propri apparati elettronici. Solo che lo scudo — secondo l’emittente — ha battuto la lancia: un intervento a propria tutela e non a protezione di qualche bersaglio. Gli esperti del sito War Zone avevano sottolineato già a dicembre come i russi avrebbero cercato di distruggere i Patriot, prede ambite insieme ai lanciarazzi Himars. E avevano riportato l’opinione di un ufficiale: una batteria comporta almeno 6 lanciatori, decine di militari tra operatori e quelli di supporto, intensa la «traccia» lasciata dal radar di scoperta. Fattori che possono favorire l’intelligence e la ricognizione degli occupanti.

Aiuti

Il governo tedesco, confermando un impegno sempre più ampio dopo le cautele iniziali, ha approvato un pacchetto bellico consistente da 2,7 miliardi di dollari, siamo a livelli statunitensi. È composto da: 4 sistemi anti-aerei Iris-T e un numero imprecisato di Gepard (dotati di mitragliatrici a tiro rapido); 30 tank Leopard 1; 120 blindati, compresi venti Marder; 18 cannoni semoventi Rch da 155 millimetri che erano stati ordinati nel 2022; droni da sorveglianza, 100 veicoli di supporto; munizioni in quantità. Il finanziamento copre quei settori critici per l’Ucraina, ossia strumenti per fronteggiare i raid russi, l’artiglieria e le unità corazzate. Una triade fondamentale anche se non è stata precisata la data di consegna del materiale.

Alla vigilia del viaggio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky in Germania — il primo dall’inizio dell’invasione: oggi riceverà ad Aquisgrana il premio europeo Carlo Magno, destinato a chi si è distinto per l’impegno in favore di integrazione e unione in Europa — è stata poi confermata l’intesa tra il gruppo industriale Rheimentall e quello ucraino UkrOboronProm: le due ditte gestiranno insieme un centro per la manutenzione dei mezzi. In una seconda fase i tedeschi aiuteranno i partner nella produzione diretta. Kiev ha già concluso accordi simili con Paesi confinanti, un modo per estendere la rete necessaria alla riparazione degli equipaggiamenti.

Corriere della Sera, 13 maggio 2023 (pag 6 del 14 maggio)

Ucraina, gli avvisi sulla controffensiva sono un diversivo di Kiev o si va verso uno scenario coreano?

Volodymyr Zelensky ha dichiarato alla Bbc: è prematuro lanciare un’offensiva, costerebbe troppe vite. Un’affermazione che racchiude qualche diversivo, ma anche realtà.

L’Ucraina gioca molto sull’attesa, vuole tenere sulla corda un avversario che si aspetta un assalto. Sono mesi che se ne parla, non c’è alcun effetto sorpresa, fattore spesso decisivo nelle operazioni belliche. Piccole e grandi. Dunque il presidente, insieme ai suoi generali, prova a mascherare: se non tutto, qualcosa. All’opposto Mosca cerca di accreditare la tesi dell’assalto per poi sostenere di averlo respinto.

Gli esperti sostengono che Kiev ha pronte circa nove nuove brigate da aggiungere alle altre. Ne fanno parte migliaia di soldati addestrati dalla Nato e dotati di altri mezzi. La forza è consistente, restano dubbi sulla qualità, quantità e scorte. La resistenza è in grado di «entrare» nelle linee nemiche, non è chiaro — perché nessuno lo sa — quanto possa essere ampia la manovra. Dipende dagli equipaggiamenti, dalle perdite, da mosse azzeccate, da errori. E ci sono i russi. Molto fitte le loro postazioni, su linee successive, alta la «densità» di soldati. Anche se alcuni reparti possono avere un addestramento sommario — sottolineano sempre gli strateghi — quando difendono hanno la loro efficacia. L’Armata, in apparenza, ha ridotto il tiro dell’artiglieria per risparmiare munizioni, proiettili necessari prossimamente al fronte, e ha inviato materiale per reagire.

L’avviso di Zelensky alla Bbc segue numerosi messaggi dei suoi collaboratori, tutti sulla stessa «nota»: ci sono troppe aspettative in Occidente sull’offensiva. Attese legate ad una sorta di urgenza, ovvero nessuno può essere certo che l’aiuto esterno possa continuare senza limiti. I segnali sono contrastanti. C’è un invio di armi costante, sono arrivati i missili a lungo raggio britannici Storm Shadow (290 chilometri di portata) e i tank, ma non tutte le richieste di Kiev sono soddisfatte. Una scuola di pensiero ritiene che per l’Ucraina ci sia una finestra d’opportunità ravvicinata per andare all’offensiva, perché sul domani sono troppe le incognite.

Mascheramenti e tatticismo non significano pausa. Kiev ha rivendicato successi nella zona di Bakhmut, la città assediata da quasi un anno dagli invasori. Gli analisti ritengono che la resistenza abbia sfruttato situazioni di vantaggio createsi nella località: se trova spazio si allarga, da una postura difensiva passa a quella d’attacco e protegge la strada di rifornimento. Per rimediare, i russi potrebbero inviare rinforzi prelevandoli da altri scacchieri favorendo così gli avversari.

Sono in corso manovre per testare le difese degli occupanti, secondo gli Usa sono movimenti preparatori in vista della vera offensiva, più simile a una serie di operazioni limitate che ad un attacco «generale». I toni allarmati delle fonti russe rispecchiano difficoltà e sono influenzati da contrasti interni con il dualismo Prigozhin-Stato maggiore e le accuse di fuga lanciate dal capo dei mercenari contro i regolari.

Per gli analisti, se non si determina una svolta entro qualche mese, torna lo «scenario coreano», con i duellanti costretti a fermarsi perché il peso del conflitto diventa insopportabile, senza tuttavia arrivare a una vera e propria tregua: si tratterebbe piuttosto di una guerra sospesa, come avvenuto nel 1953 fra le due Coree, con un armistizio che non ha sancito la pace. Oppure quello di un conflitto a bassa intensità, come è stato quello del Donbass dal 2014 fino al febbraio dello scorso anno.

Corriere della Sera, 13 maggio 2023 (pag 6)

I missili a lungo raggio in arrivo da Londra aumentano la profondità dei raid ucraini

Nuove armi, operazioni belliche a Bakhmut e mosse diplomatiche: Volodymyr Zelensky mantiene l’iniziativa mentre continuano le speculazioni sulla futura offensiva.

Lungo raggio

La Gran Bretagna ha confermato l’invio degli Storm Shadow, missili da crociera con capacità di lungo raggio. La versione fornita può centrare un target a 290 chilometri, è lanciata da un caccia — hanno modificato i Su 24 di concezione russa — ed è impiegata contro centri comando, snodi, ma anche postazioni protette. La testata è composta di una doppia carica, la prima crea una «fessura» all’impatto sfruttata dalla seconda per aumentare i danni. Come altri cruise deve comunque superare lo scudo nemico: nessuno ordigno è invincibile e i russi hanno dispiegato contromisure elettroniche rivelatisi efficaci.

L’annuncio di Londra è stato accolto con da Mosca con parole dure, per i portavoce «ci saranno conseguenze». Reazione formale scontata unita a qualche timore. Kiev, con lo Storm Shadow, aumenta la profondità dei suoi raid, minaccia le basi in Crimea e le retrovie più lontane. Anche lo strategico ponte di Kerch, devastato dall’esplosione di un camion-bomba, rientra negli obiettivi possibili. Gli ucraini avevano sollecitato Washington a concedere i razzi di ampia portata utilizzabili dagli Himars, tuttavia Joe Biden ha risposto picche per ragioni politiche. Non ha voluto varcare una linea rossa che potrebbe alzare lo scontro con il Cremlino. Una posizione superata dalla decisione britannica, ma anche da quanto è avvenuto sul campo con gli attacchi ucraini oltre confine affidati ai droni.

Movimenti a Bakhmut

L’arrivo dei missili coincide con una fase dinamica al fronte. Kiev ha rivendicato successi nella zona di Bakhmut, la città assediata da quasi un anno dagli invasori. Questa l’analisi degli osservatori:

1) La resistenza ha sfruttato situazioni di vantaggio createsi nella località. Se trova spazio si allarga, da una postura difensiva passa a quella d’attacco e protegge la strada di rifornimento .

2) Per rimediare i russi potrebbero inviare rinforzi prelevandoli da altri scacchieri favorendo così gli avversari.

3) Sono in corso manovre per testare le difese degli occupanti, secondo gli Usa sono movimenti preparatori in vista dell’offensiva.

4) I toni dei russi per alcuni sono esagerati, influenzati da contrasti interni con il dualismo Prigozhin-Stato Maggiore. Tuttavia esistono motivi di preoccupazione legati ai ripetuti strike nelle zone russe di confine e ai tentativi di fare danni al porto di Sebastopoli. Il comandante della Flotta del Mar Nero, il vice ammiraglio Viktor Sokolov, ha confermato in un’intervista il rafforzamento delle protezioni contro droni aerei e marittimi. E ora si aggiunge la minaccia degli Storm Shadow. Nei giorni passati fonti occidentali hanno persino ipotizzato uno spostamento della maggioranza delle unità verso Novorossiysk.

Altri carri

I due schieramenti continuano a riempire i ranghi con ogni mezzo in vista del momento decisivo. L’Armata avrebbe portato verso il fronte anche carri armati «superati», come i T 55 e i T 62. Una presenza che ha suscitato perplessità e giudizi opposti. È vero che sono corazzati «anziani», però — annota qualche esperto — in una guerra come questa possono avere un ruolo, specie contro reparti di fanteria con equipaggiamenti anti-tank ridotti. E comunque devi fermarli, sprecando munizionamento. Oppure svolgono il ruolo di artiglieria con tiro indiretto. Altri, invece, ribattono sostenendo che aggiungeranno problemi logistici a un apparato mai fluido. L’Ucraina, a sua volta, perfeziona l’integrazione nelle brigate dei Leopard e manda gli equipaggi in Germania dove inizierà l’addestramento sugli Abrams americani, disponibili però solo in autunno.

Corriere della Sera, 12 maggio 2023

Zelensky frena sulla controffensiva: un diversivo, o si va davvero verso lo «scenario coreano»?

Volodymyr Zelensky ha dichiarato alla Bbc che «è prematuro lanciare un’offensiva, costerebbe troppe vite». Un’affermazione che racchiude qualche diversivo, ma anche la realtà.

Primo. L’Ucraina gioca molto sull’attesa, vuole tenere sulla corda un avversario che si aspetta un assalto. Sono mesi che se ne parla, escono mappe dettagliate sugli obiettivi, non c’è alcun effetto sorpresa, fattore spesso decisivo nelle operazioni belliche. Piccole e grandi. Dunque il presidente, insieme ai suoi generali, prova a mascherare: se non tutto, almeno qualcosa. Tesi rilanciata dal capo della Wagner, Evgeny Prighozin, accusato a sua volta dagli ucraini di giocare con falsi annunci.

Secondo. Gli esperti sostengono che Kiev ha pronte circa nove nuove brigate da aggiungere alle altre. Ne fanno parte migliaia di soldati addestrati dalla Nato e dotati di nuovi mezzi. La forza è consistente, restano però dubbi sulla qualità, quantità e scorte. La resistenza è in grado di «entrare» nelle linee nemiche, non è chiaro — perché nessuno lo sa — quanto possa essere ampia la manovra. Dipende dagli equipaggiamenti, dalle perdite, da mosse azzeccate, da errori. E poi ci sono i russi. Molte fitte le loro postazioni, su linee successive, alta la «densità» di soldati. Anche se alcuni reparti possono avere un addestramento sommario — sottolineano sempre gli strateghi — quando difendono hanno la loro efficacia. L’Armata, in apparenza, ha ridotto il tiro dell’artiglieria per risparmiare munizioni, proiettili necessari prossimamente al fronte, e ha inviato materiale per reagire. Ultimi sviluppi sul campo — leggi Bakhmut — hanno evidenziato comunque una fragilità di alcuni reparti russi, erosi da mesi di guerra, ma anche una velocità nel tamponare la falla con unità di riserva. La situazione generale è molto difficile — ha riconosciuto il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov — non tutti gli obiettivi sono stati raggiunti.

Terzo. L’avviso di Zelensky segue numerosi messaggi dei suoi collaboratori tutti sulla stessa «nota»: ci sono troppe aspettative in Occidente sull’offensiva. Attese legate a una sorta di urgenza, ovvero nessuno può essere certo che l’aiuto esterno continuerà senza limiti. I segnali sono contrastanti. C’è un invio di armi costante, non tutte le richieste di Kiev sono soddisfatte, esistono programmi immediati ma anche di lungo termine, quindi con una proiezione futura. Le industrie europee — ad esempio — sono pronte ad aumentare la produzione, però chiedono garanzie dai rispettivi governi. Ovvero ordini, contratti firmati, budget. Non muovono se non hanno il timbro. Una scuola di pensiero ritiene che per l’Ucraina ci sia una finestra d’opportunità per andare all’offensiva, sul domani sono troppe le incognite. Ancora più incerte le prospettive politiche, la definizione di vittoria, la possibilità di trattativa (per ora ritenuta magra).

Quattro. Il maggiore tempo evocato non si tramuta in pausa. Ecco le azioni limitate quando si intravvedono spazi e ci sono rifornimenti adeguati — è avvenuto a Bakhmut nei giorni scorsi — , i raid di droni, i colpi ripetuti sulla base di Sebastopoli, i sabotaggi in territorio russo e l’eliminazione di target di alto livello. Prima c’era maggiore riserbo e smentite, oggi Kiev «nega» con minor vigore e si spinge anche ad ammettere qualcosa perché ne ha bisogno.

Cinque. La situazione sul campo porta gli analisti a parlare di uno «scenario coreano», con i duellanti costretti a fermarsi perché il peso del conflitto diventa insopportabile, senza tuttavia arrivare a una vera e propria tregua: si tratterebbe piuttosto di una guerra sospesa, come avvenuto nel 1953 fra le due Coree, con un armistizio che non ha sancito la pace. Oppure di un conflitto a bassa intensità, come è stato quello del Donbass dal 2014 fino al febbraio dello scorso anno.

Corriere della Sera, 11 maggio 2023

Gli Usa hanno neutralizzato il «serpente», il malware usato per vent’anni dalle spie russe

Gli Stati Uniti hanno neutralizzato il «serpente», un malware utilizzato per circa vent’anni dalle spie russe per trafugare documenti sensibili in una cinquantina di Paesi, soprattutto appartenenti alla Nato. A rivelarlo è stato martedì il dipartimento di Giustizia americano, specificando che «Snake» sarebbe stato introdotto da un’unità dell’Fsb in centinaia di computer per sorvegliare fra gli altri membri di governo, centri di ricerca e giornalisti. «La Russia ha utilizzato un malware estremamente sofisticato per rubare informazioni sensibili ai nostri alleati, ripulendole poi attraverso una rete di computer infetti negli Stati Uniti in un cinico tentativo di nascondere i proprie crimini», ha spiegato in un comunicato il procuratore del distretto orientale di New York, Breon Peace. «Si tratta della più sofisticata operazione a lungo termine di un malware di cyberspionaggio».

L’unità dei servizi russi responsabile del «serpente» si chiama Turla, opera all’interno del 16esimo direttorato dell’Fsb, quello dedicato all’Intelligence digitale noto anche come Unità 71330, ed è fra le più longeve — e innovative — dello spionaggio internazionale: le tracce dei suoi hacker risalirebbero fino agli Novanta. Molto pericolosa, Turla ha basi operative in tutta la Russia e prende di mira bersagli classici come governi, esercito e settore della Difesa. È stata riconosciuta responsabile di diversi episodi in passato, ma secondo gli esperti la gran parte delle sue attività non è mai stata scoperta.

Come era successo, almeno finora, con Snake, che l’agenzia per la sicurezza cibernetica e delle infrastrutture ha definito «il più sofisticato strumento di cyberspionaggio nell’arsenale dell’Fsb». Il malware comprometteva i computer, creando con i terminali infetti — in grado di comunicare fra loro — una sorta di rete peer-to-peer «segreta» che permetteva di eludere il controspionaggio e di muovere furtivamente enormi quantità di dati. Il serpente era inoltre continuamente aggiornato, rendendone così difficilissimo localizzarlo e neutralizzarlo.

Durante le indagini, andate avanti un decennio, gli agenti hanno scoperto che l’unità Turla ha usato il malware — controllato da Ryazan, in Russia — per intrufolarsi fra gli altri nel computer di un ministero degli Esteri di un Paese Nato, rubando documenti interni dell’Alleanza e delle Nazioni Unite, ma anche per strisciare all’interno di quello di un giornalista che si occupa del governo russo per un non precisato media americano.

L’Fbi — ha spiegato la stessa agenzia — ha prima cercato di allentare la presa del serpente sui computer presenti negli Stati Uniti, poi avrebbe allargato l’Operazione Medusa alle macchine infette nel resto del mondo: i programmatori dell’agenzia si sono infiltrati nel malware, inviando informazioni contrastanti con quelle ricevute dai suoi operatori, spingendolo ad autodistruggersi.

Corriere della Sera, 10 maggio 2023

Cronache dal Congresso: l’incriminazione di «Pinocchio» Santos, il ritorno di Feinstein

George Santos, il deputato che mentiva su tutto, è stato infine incriminato dal dipartimento di Giustizia americano. Eletto a novembre nel terzo distretto dello Stato di New York, Santos è entrato in Congresso a gennaio nonostante abbia inventato ogni singola voce del suo curriculum, abbia mentito sull’origine dei soldi con cui ha finanziato la sua campagna elettorale, non abbia mai lavorato per grandi banche di investimento come sosteneva, non si sia mai laureato e abbia persino falsificato la morte della madre, avvenuta per un cancro e non negli attacchi dell’11 settembre. Il deputato repubblicano, 32 anni, dovrebbe presentarsi nel tribunale federale di New York già oggi.

Dianne Feinstein è tornata a Washington. L’anziana senatrice democratica della California, 89 anni, non ha alcuna intenzione di ritirarsi nonostante l’età, gli acciacchi fisici, le pressioni dei suoi stessi colleghi che vorrebbero liberare una poltrona che occupa dal 1992 dopo essere stata per 10 anni sindaco di San Francisco. Feinstein era stata ricoverata a febbraio per il fuoco di Sant’Antonio e da mesi non si presentava in Congresso. In questo periodo ha saltato 91 votazioni, facendo mancare ai democratici un appoggio fondamentale considerando l’esigua maggioranza in Senato (appena 2 seggi): il suo voto, tuttavia, è particolarmente importante nella commissione giustizia, dove i democratici devono approvare alcune nomine del presidente Joe Biden e avevano visto svanire la propria maggioranza (11 senatori, contro i 10 repubblicani) a causa della sua assenza. E così Feinstein è tornata, e oggi dovrebbe presenziare alla sua prima votazione dal 16 febbraio.

Corriere della Sera, 10 maggio 2023 (newsletter AmericaCina)