Sono stati i Patriot a distruggere quattro velivoli in Russia? È probabile: lo hanno fatto sapere fonti militari negli ambienti del Congresso, messaggi affidati ai membri dello staff dei parlamentari americani.
La notizia, pubblicata dalla Cnn, riporta indirettamente a quanto avvenuto pochi giorni fa. Due caccia e due elicotteri precipitano nella zona di Bryansk, territorio russo non lontano dal confine con l’Ucraina. Le autorità sostengono che si è trattato di una trappola tesa da commandos ucraini, dotati di missili portatili. Kiev smentisce ipotizzando un clamoroso caso di fuoco amico, con i mezzi tirati giù dalla contraerea, in allarme e nervosa per le attività nemiche. Indecisi gli osservatori che non hanno escluso l’uso di missili dal lato ucraino. Unanime però il giudizio sulle conseguenze: gravi. Mosca ha perso, insieme a due aerei da combattimento, una coppia di elicotteri dotati di apparati per la guerra elettronica, risorse importanti e presenti con numeri ridotti nell’arsenale.
Nell’articolo dell’emittente americana non c’è un riferimento preciso all’episodio di Bryansk. L’indiscrezione della rete tv parla in modo generale, senza localizzazione specifica, di velivoli intercettati in Russia mentre si preparavano a compiere una missione. E c’erano i Patriot ad attenderli. Questo vuol dire che gli ucraini sono riusciti a piazzare una batteria in posizione vantaggiosa centrando i bersagli in zone dove i piloti si sentivano sicuri. Mossa significativa perché il sistema fornito dalla Nato comporta una logistica estesa — non è un singolo mezzo — ed è a sua volta uno dei bersagli cercati con insistenza da Mosca. Infatti ha annunciato di averne danneggiato uno dopo che la resistenza aveva rivelato l’efficacia dei Patriot nell’abbattere dei vettori ipersonici Kinzhal. Duello nei cieli, con largo impiego di radar e contromisure. Duello a terra attraverso la propaganda.
Altra arma, altra soffiata. È stato fatto uscire un report dell’Us Air Force sul training dei piloti ucraini a Tucson, in Arizona. Un team arrivato nel Sud Ovest per prendere confidenza con i caccia F16. Bene. Nel rapporto si afferma che sono bastati 4 mesi per prepararli al volo, molto meno dei 12-18 mesi previsti in via ufficiale. In realtà qualche esperto era convinto che sarebbe stato possibile accorciare i tempi e aveva ipotizzato una finestra di 4-6 mesi in caso di corso accelerato. Dibattito a tratti intenso legato al rifiuto della Casa Bianca di concedere i caccia a Zelensky. Washington al momento non è disposta a cedere i «suoi» F16, però non vieta agli alleati di farlo e il vertice G7 ha approvato il piano per la «coalizione dei jet».
Differenze politiche a volte mascherate dietro considerazioni più tecniche. «Non è difficile mettere un pilota ai comandi», ha replicato l’ex generale americano Mark Hertling, tutt’altra cosa inserire un velivolo in un dispositivo in quanto richiede manutenzione, supporto, coordinamento, integrazione con forze terrestri. Altri osservatori aggiungono: l’F16 non è la risposta migliore all’esigenze dell’Ucraina, ha bisogno di agire con altri velivoli e all’interno di un’aviazione complessa. Pareri negativi contestati da una corrente di pensiero convinta che possano aiutare efficacemente Kiev. E citano tutti quei sistemi dati troppo lentamente ma che hanno permesso agli ucraini di contenere l’avversario.
Restando sul tema scorte, c’è l’annotazione del vice capo dell’intelligence militare di Kiev sui bombardamenti. In base all’esame dei rottami dei missili usati dai russi negli ultimi bombardamenti — ha sottolineato Vadim Skibitsky — risulta che sono stati prodotti nel primo trimestre 2023. La loro industria può metterne a punto una media di 60 al mese, così suddivisi: 25 Kalibr, 35 Kh-101, 2 Kinzhal e 5 Iskander. La cifra si avvicina a una stima precedente e conferma anche come Mosca riesca ad importare componenti occidentali in barba alle sanzioni. Non è una sorpresa.
Corriere della Sera, 19 maggio 2023