La Spagna scommette sul Messico e investe in progetti ambientali

La Spanish Agency for International Cooperation and Development (Aecid, agenzia spagnola per lo sviluppo e la cooperazione internazionale) ha deciso di finanziare con più di un milione di dollari alcuni progetti ambientali in Messico. Come ha annunciato il Governo di Città del Messico con una nota, il ministero dell’Ambiente e delle Risorse naturali messicano ha approvato insieme all’Aecid il finanziamento di nove progetti sul territorio messicano per un totale di 17,6 milioni di pesos, ovvero 1,3 milioni di dollari.

L’accordo, messo a punto da una commissione di cooperazione tecnica spagnolo-messicana, ha chiarito quali progetti saranno finanziati nell’ambito della Bilateral Cooperation Strategy 2009-2011. L’obiettivo è di “mitigare gli effetti del riscaldamento globale, preservare la biodiversità e combattere la povertà nel Messico del Sud”, ha specificato il ministero dell’Ambiente e delle Risorse Naturali.

Le risorse aiuteranno a sostenere “le strategie di conservazione e la biodiversità” nel cosiddetto Mesoamerican Biological Corridor (si estende dal Messico verso il Sudamerica e collega vari parchi nazionali) e nella Tacana Volcano, riserva della biosfera al confine fra Messico e Guatemala. I fondi saranno inoltre utilizzati per sviluppare piani locali per combattere i cambiamenti climatici nello stato occidentale del Michoacan, in quello di Tlaxcala, al centro del Messico, e nello stato sud orientale di Quintana Roo, oltre che per aprire nello stato meridionale del Chiapas il Cascada Brisas Las Nubes Agrotourism e il Wildlife Management Center.

Il finanziamento servirà inoltre al “potenziamento istituzionale” del National Protected Natural Areas Commission e per la creazione di linee guida per promuovere la denominazione di origine del miele dello Yucatan. Nelle intenzioni del ministero, gli stati di Chiapas, Veracruz e Puebla trarranno benefici dagli studi e dalle strategie sulla biodiversità.

Canada, obiettivi ambiziosi su eolico: 20% fabbisogno nazionale entro 2025

Alla conferenza della Canadian Wind Energy Association svoltasi a Toronto a metà settembre la preoccupazione per le tematiche ambientali è stata al centro delle discussioni. In particolare per quanto riguarda lo sviluppo di energia eolica, i vertici delle industrie canadesi hanno fissato l’ambizioso obiettivo di provvedere al 20 per cento del fabbisogno energetico nazionale entro il 2025, ma il bersaglio sarà difficile da centrare senza un maggiore supporto finanziario e politico.

Il Canada dovrà dunque sostenere l’industria eolica, dal momento che sembra probabile che i costi dell’energia prodotta con datati generatori a carbone e gas naturale siano destinati a salire. Per sostenere lo sviluppo dell’energia eolica il Canada potrebbe trarre vantaggio da ricche risorse territoriali: gli oltre 240.000 chilometri di coste e le immense praterie sembrano infatti le sedi ideali per la costruzione di generatori eolici.

L’energia idroelettrica potrebbe essere usata per bilanciare le variazioni di velocità del vento, che causa fluttuazioni nella produzione di energia: si potrebbe fare ricorso all’energia idroelettrica quando il vento soffia meno intensamente e, viceversa, passare all’eolica quando le raffiche sono più forti.

Ad oggi la produzione di energia eolica provvede a soddisfare appena l’1 per cento della domanda di energia canadese, Paese che ha il sesto maggiore sistema elettrico al mondo. La maggior parte dell’elettricità canadese, circa il 59 per cento, viene prodotta dal settore idroelettrico, il 17 per cento proviene dalle centrali a carbone, il 16 per cento dai reattori nucleari e il 5 per cento dai gas naturali. Raggiungere l’obiettivo del 20 per cento del fabbisogno nazionale non sarà facile né economico: secondo la Wind Energy Association serviranno infatti circa 132 miliardi di dollari e 22.000 turbine installate in 450 sedi in tutto il Paese.

Messico, cresce la domanda di petrolio

Entro il 2013 in Messico dovrebbe concentrarsi il 25,35% della domanda di petrolio dell’intero Sud America, mentre lo Stato dovrebbe coprire il 24,10% dell’offerta. E’ quanto emerge dal Mexico Oil & Gas Report, il rapporto stilato dal Business Monitor International. Nel 2009 il Sud America dovrebbe consumare una media giornaliera di 7,57 milioni di barili di petrolio e arrivare a 8,23 milioni nel 2013. La produzione è stata pari a 9,89 milioni di barili al giorno nel 2008 e dovrebbe crescere nel 2013 a 10,58 milioni. Poiché l’aumento della domanda è superiore all’incremento dell’offerta, le esportazioni sono calate da 3,73 milioni di barili al giorno nel 2001 a 2,28 milioni nel 2008 e dovrebbero toccare i 2,35 milioni di barili nel 2013. Inoltre, i consumi di gas naturale nel 2008 hanno toccato i 191,3 miliardi di metri cubi (il 28,75% del totale) e dovrebbero crescere a 289,9 miliardi nel 2013 (il 28,32% del totale). Il Messico ha prodotto il 23,62% del gas sudamericano, una quota che dovrebbe scendere al 20% nel 2013.

Canada, energia rinnovabile: TransAlta mira alla rivale Canadian Hydro

E’ battaglia aperta in Canada nel campo dell’energia rinnovabile, che potrebbe andare verso il monopolio. TransAlta Corp. ha presentato un’offerta ostile da 654 milioni di dollari per rilevare Canadian Hydro, la prima società del settore, proponendo agli investitori 4,55 dollari canadesi in contanti ad azione, circa il 25 per cento in più rispetto al valore di chiusura del 17 luglio, pochi giorni prima dell’offerta. TransAlta, che ha passato oltre sei mesi a cercare di convincere il consiglio di amministrazione di Canadian Hydro senza ottenere risultati, ha ricevuto un secco no dal C.d.A della rivale, che si oppone alla cessione e ha già rifiutato un’altra offerta simile. TransAlta, determinata a portare a casa il risultato, si è vista costretta a “saltare” il board della società e a rivolgersi direttamente agli azionisti. Se l’affare dovesse essere chiuso TransAlta diventerebbe quindi di gran lunga la più grande azienda per l’energia rinnovabile del paese.

Canada primo distributore al mondo bioetanolo estratto da cellulosa

Ha aperto a Ottawa la prima stazione di servizio al mondo di bioetanolo estratto da cellulosa. Si tratta di uno dei nuovi tipi di carburanti ecologici composto al 90% di benzina e al 10% di bioetanolo estratto da cellulosa ed è prodotto da Logen, la società che ha creato uno stabilimento dimostrativo. Il Canada diventa così il primo Stato a vendere al pubblico il cosiddetto “bioetanolo di seconda generazione”, anche se per il momento si tratta di un test. Se l’operazione dovesse funzionare il gruppo conta di avviare nei prossimi anni la produzione su larga scala del nuovo carburante. Il CE-10, come è chiamato tecnicamente il bioetanolo da cellulosa, è prodotto non dal grano o dallo zucchero, beni commestibili, ma da residui agricoli che altrimenti sarebbero buttati. Secondo i tecnici non ci sono emissioni di ossido nitroso durante la fase produttiva del carburante, cosa che invece succede per altre benzine ecologiche e, secondo la società, le emissioni di Co2 di questo tipo di bioetanolo sono del 90% inferiori rispetto alla benzina tradizionale.
Il CE-10 non è tuttavia ancora pronto per la produzione commerciale su larga scala, ma Logen spera che il progetto dimostrativo possa cambiare le cose. “Guardando quanto produciamo oggi”, ha dichiarato l’amministratore delegato della società, Brian Foody, “siamo molto fiduciosi per il futuro”. La fermentazione della cellulosa produce le stesse molecole del bioetanolo convenzionale e funziona sulle stesse auto che usano le altre benzine ecologiche. Come per il carburante estratto dalle vinacce alche il CE-10 è creato da prodotti agricoli in esubero come la paglia del grano. Il combustibile prodotto da cellulosa è completamente rinnovabile e, secondo alcuni esperti ridurrebbe le emissioni inquinanti e potrebbe aiutare a costruire nuove economie rurali e migliorare i guadagni delle fattorie.

Negli Stati dell’ovest inizia la corsa al solare

Da quando il governo ha identificato le cosiddette “aree di studio per l’energia solare” le compagnie energetiche si stanno dando battaglia per ottenere le concessioni dei terreni federali. Il dipartimento del Territorio ha deciso di conseguenza di accelerare lo sviluppo su larga scala di centrali solari, focalizzando il progetto in sei stati dell’ovest. L’iniziativa riguarda oltre 270 mila ettari in Arizona, California, Colorado, New Mexico, Nevada e Utah. Nei due anni passati numerose società hanno cercato le aree  migliori per il progetto, sottoponendo le domande al governo. Le proposte avanzate finora coprirebbero 728 mila ettari. L’agenzia deve ancora approvare i contratti, ma i primi progetti a partire saranno proprio quelli negli assolati deserti dell’ovest. Stando al dipartimento del Territorio l’operazione dovrebbe iniziare alla fine del 2010, data entro cui saranno valutate tutte le proposte. Il solare nel frattempo si svilupperà lungo le strade americane da Boston alla California. L’Oregon ha già avviato i lavori per “l’autostrada solare”, vicino alle cui corsie verranno sviluppati 105 kilowatt di energia elettrica attraverso impianti fotovoltaici di ultima generazione, che illumineranno almeno un terzo dell’intero percorso. In Massachusetts saranno invece installate decine di turbine eoliche che forniranno corrente elettrica alla case adiacenti le autostrade. Altri cantieri punteranno invece su energia geotermica generata a pochi metri dalle corsie autostradali. Nel prossimo futuro altri Stati si aggiungeranno alla lista anche grazie ai fondi promessi dall’agenzia federale che gestisce la rete stradale. Il piano anticipa i contenuti del pacchetto sull’energia all’esame del Congresso che dovrebbe introdurre limiti più severi alle emissioni negli Stati Uniti imponendo il primo tetto alle emissioni di gas serra negli Stati Uniti.

Dalle foreste al Gran Canyon Obama riscrive le regole di Bush

Prosegue la politica dell’amministrazione Obama di riscrivere le regole ambientali fissate dal governo di George W. Bush, annullando le leggi più contestate dagli ambientalisti americani. Per difendere le specie protette, il segretario al Territorio, Ken Salazar, ha infatti annunciato l’abrogazione delle revisioni al Western Oregon Plan, la normativa che prevede l’abbattimento, nelle secolari foreste dell’Oregon, di una quantità di alberi doppia rispetto alle precedenti limitazioni. Si tratta di una delle cosiddette “regole di mezzanotte”, gli ultimi provvedimenti firmati dal presidente repubblicano nelle settimane prima di lasciare la Casa Bianca. Salazar ha spiegato che attraverso la riforma rientrerà in vigore il compromesso legislativo raggiunto nel 1994 che limitava il disboscamento e salvaguardava le specie protette, come l’allocco maculato americano, ma anche la pesca di trote e salmoni. “Ci stiamo muovendo per correggere gli errori della precedente amministrazione”, ha dichiarato il segretario al territorio. La decisione di Bush, che permetteva l’abbattimento annuale di circa il doppio degli alberi permessi dalle regole fissate quindici anni prima dalla presidenza Clinton, è stata a lungo fronteggiata dagli ambientalisti, che avevano portato il provvedimento davanti alle corti federali. L’atto era stato accusato di non tenere conto dei pericoli del disboscamento e dell’impatto che avrebbe avuto sulle specie animali a rischio e protette. Secondo gli ambientalisti, oltretutto, il Bureau of Land Management, l’ente che supervisiona la conservazione delle foreste americane, al momento di adottare la norma non avrebbe consultato gli organismi federali che secondo la legge sulla salvaguardia delle specie protette si sarebbero dovuti esprimere obbligatoriamente sulle conseguenze del disboscamento. L’intervento del governo Obama non ha però spento del tutto le polemiche. La nuova legge di Salazar, approvata in piena crisi economica, ha suscitato infatti le proteste dei taglialegna dell’Oregon. Lo stato sta affrontando una dura recessione, con una disoccupazione schizzata al 12,1 per cento e fra le più alte dell’intero paese, e la preoccupazione è che questa legge penalizzi ancora di più l’industria del legname all’interno dello “Stato dei castori”, come è l’Oregon soprannominato. Gli economisti sono però scettici e sostengono che il mercato del legname subisca più pesantemente la crisi immobiliare delle nuove restrizioni imposte dall’amministrazione Obama. Negli stessi giorni Washington ha sovvertito un’altra decisione di Bush, riportando in vigore un altro atto firmato da Bill Clinton. Si tratta del provvedimento che ferma la costruzione di nuove strade asfaltate all’interno delle riserve naturali americane almeno fino al 2010. Il segretario all’Agricoltura, Tom Vislack, ha resuscitato un bando degli anni ‘90 che fermava le nuove costruzioni nei parchi protetti e che blocca di fatto tutti i cantieri stradali nei parchi americani. I democratici mettono così fine a una battaglia che andava avanti dal 2005, da quando cioè Goerge W. Bush aveva seppellito le decisioni del suo predecessore, aprendo alla proliferazione di impianti petroliferi e cantieri stradali nelle foreste americane. Ad essere minacciate erano in particolare i parchi dello Utah e dell’Alaska. Nelle settimane scorse il governo ha infine fermato le 10.000 concessioni minerarie nei pressi del Gran Canyon con le quali Bush aveva consentito l’estrazione di uranio. Oltre 1.100 concessioni si trovavano a pochissimi chilometri dal confine del parco, ancora oggi tra le più importanti riserve americane.