Donald Trump è in vantaggio su Joe Biden in sei dei sette Stati che decideranno le presidenziali di novembre, sostiene un sondaggio del Wall Street Journal, mentre il settimo è in pareggio. A sette mesi (e due giorni) dalle elezioni sono dati che valgono poco, gli equilibri cambieranno più volte, ma sei indizi costituiscono di certo una prova: in Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina e Pennsylvania l’ex presidente – che nel 2020 li aveva persi tutti, tranne la North Carolina – ha un vantaggio compreso fra 1 e 6 punti, mentre il Wisconsin è in pareggio. Prendendo in considerazione anche la presenza di candidati indipendenti e di terzi partiti, come Robert Kennedy Jr., il vantaggio di Trump aumenterebbe di poco nei sei Stati, fra i 2 e gli 8 punti, mentre in Wisconsin Biden sarebbe avanti di tre punti.

Cosa ci dicono i dati: insoddisfazione per l’economia, dubbi su Biden

Al di là di questi numeri, che vanno maneggiati con assoluta cautela, il rilevamento del quotidiano conservatore — effettuato su 600 elettori registrati in ognuno degli Stati in bilico e condotto fra il 17 e il 24 marzo — mostra una generale insoddisfazione per la situazione economica degli Stati Uniti (a dispetto di quanto dicono i dati ufficiali) e conferma i dubbi sulle capacità e sui risultati di Biden, che vede anche calare il sostegno di tre minoranze fondamentali della sua coalizione: neri, ispanici e giovani. Trump è visto come il candidato che può risollevare l’economia, ma Biden ha una carta vincente: è considerato il candidato che proteggerà il diritto all’aborto, questione decisiva alle elezioni di metà mandato.

La situazione economica nazionale e quella statale

Per interpretare il sondaggio vanno guardati i numeri, tenendo conto che a influenzare l’oscillazione delle percentuali non saranno solo le dinamiche nazionali, come i processi di Trump o i risultati ottenuti da Biden, ma anche quelle statali, a cominciare — ovviamente, direbbe James Carville, il consulente di Bill Clinton che nel 1992 coniò la celebre frase «It’s the economy, stupid» — dall’economia locale: in molti casi, nota il Journal parlando di «dinamica inusuale», i 4.200 elettori interpellati nei sette Stati sono preoccupati dall’inflazione e dall’economia nazionale, ma poi riconoscono che le condizioni a livello statale sono buone.

Come era andata nel 2016

Nel 2016 Trump divenne presidente grazie a 80 mila voti distribuiti proprio fra Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, tre Stati che nel 2020 sono stati conquistati da Biden, ma vinse anche in Arizona, Georgia e North Carolina lasciando a Hillary Clinton (di questi 7) soltanto il Nevada, dove il vantaggio democratico oggi si sta assottigliando. Quattro anni dopo, Biden vinse ovunque tranne che in North Carolina, oggi considerato più in bilico, ma superò Trump di un pugno di voti (41 mila totali) in Arizona, Georgia e Wisconsin, un margine inferiore al punto percentuale.

Perché alcuni Stati sono davvero decisivi

Per mettere i numeri in prospettiva si può partire da qui, e capire quanti di questi Stati i due candidati possono permettersi di perdere alle elezioni di novembre. Per diventare — o restare — presidente servono 270 voti elettorali, nel 2016 Trump ne ottenne 304 (prendendo meno voti di Hillary Clinton), nel 2020 Biden 306 (e Trump 232). Dopo l’ultimo censimento, l’Arizona assegna 11 voti, la Georgia 16, il Michigan 15, il Nevada 6, la North Carolina 16, la Pennsylvania 19 e il Wisconsin 10: in totale fanno 93 voti elettorali. E di una cosa possiamo essere certi: saranno quelli decisivi.

Corriere della Sera, 3 aprile 2024

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