Nord Stream, si rafforza la pista ucraina del sabotaggio (ma il giallo non è risolto)

Il mistero del Nord Stream riparte da un uomo e una donna. Lui, un soldato ventenne che vivrebbe a ovest di Kiev. Lei, una cittadina tedesca, ex compagna del militare, residente a Francoforte sull’Oder, con il quale ha avuto un figlio. Sono due tasselli, insieme ad altri, a dare maggiore forza ad una pista ucraina per il sabotaggio. Storia ancora lontana, però, dalla conclusione.

L’ATTACCO

Il 26 settembre le quattro esplosioni danneggiano la pipeline in più punti a circa 80 metri di profondità. Gli investigatori parlano inizialmente di 500 chilogrammi di esplosivo, però nuove analisi ritengono che fossero meno (circa 300), con ordigni più piccoli. Impiegata una sostanza potente, cariche che potevano essere trasportate — secondo una versione — dalla barca a vela Andromeda, modello Bavaria Cruise 50 di 15 metri. A bordo un commando di sei persone, compresa una donna e un medico.

La rete

A Berlino sembrano convinti che questo battello abbia avuto il ruolo centrale nonostante lo scetticismo di chi pensa ad un diversivo. Quali i dubbi? Scafo piccolo per ospitare il materiale. Assenza di una camera di decompressione. Difficoltà tecniche. Necessità di avere un appoggio logistico robusto. Gli interrogativi sono rimasti sul tavolo ma non hanno inciso più di tanto sulla ricostruzione che ha guadagnato terreno arricchendosi di spunti rilanciati da media nord europei. Secondo una delle «tracce» il militare ucraino ha raggiunto con falsi documenti romeni la città tedesca di Rostock dove si è unito al team di incursori che hanno poi usato Andromeda. Operazione finanziata da un ricco connazionale vicino al governo Zelensky e portata avanti con l’aiuto di un’agenzia viaggi polacca di proprietà di una ucraina originaria della Crimea. Sempre dal lavoro di scavo fatto dal giornale svedese Expressen è emerso che la donna, in possesso anche della nazionalità russa, avrebbe cambiato spesso identità e sarebbe ricercata per collaborazionismo da Kiev. Gli inquirenti tedeschi, a caccia di conferme, hanno esaminato con cura la barca a vela. Non solo hanno perquisito — sia pure in ritardo — il battello lasciato in un deposito ma lo hanno affidato agli uomini della Scientifica. Sono stati loro a recuperare campioni di Dna a bordo del battello per confrontarlo con quello della tedesca, l’amica del soldato, per capirci. Lei è stata interrogata mentre il suo cellulare è passato ai tecnici. Una verifica per uscire da una «foresta» dove i rami nascondono il tronco principale.

L’intrigo

In Germania la tesi che prevale — non definitiva — è quella di un atto pianificato dagli ucraini. Fonti statunitensi hanno considerato lo scenario di una missione condotta da un nucleo vicino all’intelligence ma che ha agito senza l’approvazione del governo. In parallelo c’era quella di agenti «deviati». Categoria classica dello spionaggio. Narrazioni buone per alleggerire eventuali responsabilità di Kiev che ha sempre negato. Linea difensiva indebolita, però, dalle mosse della sua intelligence militare, impegnata in un’azione senza limiti. Strategia per altro confermata dalle carte segrete del Pentagono che dicono molto sui progetti considerati dagli 007 dell’Ucraina. L’insieme dei dati restringerebbe il campo investigativo allontanando l’ipotesi di una provocazione da parte del Cremlino, teoria subito sostenuta da alcuni Stati nord europei. E in questo caso gli «indizi» sul ruolo ucraino sarebbero stati lasciati in modo da incastrarli.

Le navi

La presenza nei giorni precedenti all’esplosione di unità russe nel settore del gasdotto ha spinto a considerare la mano del Gru, lo spionaggio militare russo. Gli spostamenti «fantasma» erano parte della missione di sabotaggio? Dopo molti mesi questo scenario ha perso quota lasciando spazio al resto. Ma il nodo vero è che servono prove e nessuno vuole correre nell’arrivare ad una conclusione di un giallo dalle implicazioni globali.

Corriere della Sera, 3 giugno 2023 (prima pagina, pag 2 e pag 3 del 4 giugno)

Azioni coperte, incursioni a sorpresa e zero rivendicazioni: così l’Ucraina imita Israele

L’Ucraina emula, da tempo, la strategia israeliana. Un mix di azioni coperte e evidenti, sorprese e comunicazione. Non sostituisce la campagna bellica tradizionale ma l’affianca.

DRONI

Gerusalemme nella guerra segreta con Teheran ha impiegato spesso i droni per gesti dimostrativi all’interno dell’Iran. Ad esempio con esplosioni vicini a siti strategici. Kiev sta facendo lo stesso in misura ancora più ampia e clamorosa: l’attacco al Cremlino, poi quello su Mosca. I velivoli sono per entrambi i paesi un lungo braccio, con il vantaggio di non dover rischiare uomini. Anche gli iraniani se ne sono serviti per colpire cargo collegati allo Stato ebraico o monarchie sunnite nemiche.

Sorpresa

Dall’inizio del conflitto è un continuo variare di campo: cielo, mare, terra. L’ultimo sviluppo le incursioni dei partigiani in Russia, infiltrazioni ripetute con il ricorso a qualsiasi mezzo. Prima ancora battelli-kamikaze, camion bomba, ancora droni e quando è possibile commandos. Scenari visti in Medio Oriente, con gli israeliani che agiscono dal Libano alla Siria e perfino in Iraq all’epoca di Saddam.

Agguati

Il Mossad ha eliminato scienziati e terroristi a Teheran, a Damasco, in Europa. E in qualche caso si è affidato non ai suoi agenti ma a «collaboratori»: oppositori interni ad un regime, curdi, minoranze arabe, dissidenti. Tendenza aumentata quando ha deciso di agire in territori lontani. L’intelligence militare ucraina ha replicato lo schema, probabile la collaborazione con i resistenti russi o comunque figure disposte ad assistere. L’uccisione di elementi nazionalisti russi rientra in questa cornice.

Comunicazione

È il punto di contatto più evidente con l’approccio israeliano, modificato però nel corso dei mesi. Il Mossad non rivendica, non commenta episodi specifici, lascia presumere e «permette» agli altri di sostenerlo. È secondario se sia coinvolto o meno. Raccoglie comunque, non ostacola l’idea che possa entrarci. Poi, dopo anni, confida a qualche giornale – di solito americano – che quell’operazione era roba sua. Kiev si è calata in questa parte, negando quasi sempre, per poi ammettere qualcosa — in modo trasversale — per gli omicidi di esponenti nazionalisti russi. Perché ne aveva bisogno. C’è un conflitto tradizionale in corso, le attività «non ortodosse» vanno sfruttate per dimostrare capacità e bilanciare rovesci. Anche a costo di creare imbarazzi – almeno a livello formale – con gli alleati occidentali, stretti tra la necessità di sostenere il diritto alla difesa dell’Ucraina e il pericolo di mosse che rendano ancora più infuocato il contrasto con la Russia.

La danza

Vladimir Putin «danza» con Zelensky, come gli ayatollah «ballano» con Israele. Le risposte alle iniziative ucraine possono non essere immediate, fanno trascorrere del tempo, replicano in altre aree. Esistono le dinamiche nazionali, la difficoltà di decifrare tutto quello accade in regimi poco trasparenti, i sospetti di provocazioni, le notizie sulla frattura Wagner-Generali, l’idea – ricorrente – che i russi «si facciano gli attacchi» per giustificare mosse pesanti. La tesi della «false flag» è una coperta comoda, la tiri fuori quando e quanto vuoi, troverai sempre qualcuno disposto a rilanciarla. Ed anche questo è parte del gioco.

Corriere della Sera, 1 giugno 2023

Kiev e la sorpresa come strategia, Putin valuta come reagire agli attacchi

L’Ucraina non ha «alternative». Prima dell’eventuale offensiva assesta colpi puntando sulla sorpresa (relativa) e su sistemi, come i droni, che consentono operazioni di livello a costi contenuti.

INSICUREZZA

L’attacco nei cieli di Mosca è arrivato dopo un’infinita serie di episodi, con i velivoli che hanno allungato sempre di più il raggio d’azione. Ed è anche cresciuto il numero di mezzi coinvolti, con caratteristiche a volte diverse. I russi ne erano consapevoli, hanno contro-manovrato schierando a difesa della capitale apparati elettronici in grado di «confondere» il segnale e batterie missilistiche. L’altro settore tenuto costantemente aperto da Kiev è quello nella regione di Belgorod con bombardamenti e incursioni. Report evidenziano difficoltà da parte della Russia, una continua apprensione per questi strikes ma anche per le possibili azioni di partigiani. Gli ucraini, poi, attuano continuamente diversivi. Un esperto ha sottolineato come creino postazioni che fingono di voler utilizzare, mantengono una mobilità per non dare punti di riferimento agli invasori. È la sfida dell’adattamento. L’Armata degli occupanti, dopo un anno di guerra ha corretto alcuni degli errori, stessa cosa ha fatto la resistenza con un dettaglio in più: sopperisce all’inferiorità dell’arsenale con inventiva e capacità dei propri tecnici. L’industria locale non partiva a zero, un dato ben noto in Russia.

Quattro fattori

Le azioni in profondità dell’Ucraina racchiudono quattro fattori: 1) È impensabile che in uno scontro così totale esistano «santuari». I russi sparano dall’altra parte della frontiera, con velivoli strategici e cruise tirati dalle navi. 2) Risponde allo stillicidio quasi quotidiano sulle proprie città. 3) Dimostra di avere iniziativa, non subisce solo e crea insicurezza nel campo avversario, anche nelle aree abitate. 4) Pone il Cremlino davanti ad una scelta su come controbattere. Due scuole di pensiero: una ritiene che il neo-zar rovescerà altre bombe; una seconda, invece, è convinta che i margini di manovra si siano ridotti. Da aggiungere però una terza ipotesi: Putin ha già dimostrato di voler evitare automatismi nelle rappresaglie e lo ha dichiarato. Ricorda molto la linea degli ayatollah dopo sabotaggi attribuiti al Mossad, favorevoli ad una vendetta «al momento opportuno».

Timori Usa

Tutto questo è seguito con attenzione a Washington. Gli Usa temono le sortite belliche di Kiev in Russia, prendono le distanze almeno sotto il profilo normale. John Kirby, il portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale, lo ha ribadito in queste ore: «Non sosteniamo gli attacchi in Russia, l’amministrazione è stata chiara privatamente e pubblicamente». Affermazioni che implicano i richiami trasmessi al governo Zelensky dopo che gli americani sono venuti a conoscenza di piani piuttosto spericolati. Sono intervenuti ma Kiev è andata avanti lo stesso. Qualche osservatore si è interrogato su eventuali sponde da parte della Nato per condurre missioni a lungo raggio: Mosca è lontana dalle basi di partenza ucraine.

Aiuti

La prudenza di Kirby è stata accompagnata dall’annuncio che le forniture belliche in favore dell’Ucraina andranno avanti per l’intera estate. È dato per imminente un nuovo pacchetto da 300 milioni di dollari, contiene missili anti-aerei Patriot – indispensabili per lo scudo – e munizioni destinate ai lanciarazzi Himars.

Corriere della Sera, 31 maggio 2023

I droni ucraini lanciati su Mosca rappresentano un salto di qualità prima della controffensiva

Uno dei conflitti moderni più sanguinosi è stato quello tra Iran e Iraq negli anni ’80. Assalti a trincee, ruolo dell’artiglieria, uso di armi chimiche, coinvolgimento di aree civili. Lo scenario si ripete in Ucraina, con la battaglia delle città.

LOGORAMENTO

La salva di droni ucraini lanciati in direzione di Mosca rappresenta un salto di qualità, storia ben diversa dalle esplosioni sulla cupola del Cremlino in quanto questa appare come una vera operazione bellica. Studiata, provata con una serie di movimenti minori. È la reazione ai raid massicci degli invasori con droni e missili, portati con grande cadenza negli ultimi giorni. La Russia ha mobilitato parte del suo dispositivo, compresi i bombardieri strategici. Non c’è un equilibrio di forze, però Kiev replica con strike o incursioni nelle zone di confine. Con queste «operazioni di modellamento», scrive il Financial Times, Kiev anticipa la controffensiva: «fanno parte della pratica militare standard», dicono i funzionari della difesa e gli analisti, il loro scopo è ingannare il nemico, intromettersi nella sua mentalità e «modellare» il campo di battaglia prima di una grande offensiva. «Le operazioni di inganno hanno sempre fatto parte della guerra, ma ora il loro effetto è amplificato dai social media», ha affermato John Spencer, ex maggiore dell’esercito americano.

Sono azioni che hanno una valenza militare ma servono anche a trasmettere segnali alle opinioni pubbliche. I cittadini russi — dicono dall’Ucraina — devono provare la stessa angoscia, la paura, l’incertezza vissuta da mesi dalla nostra popolazione. Lo stress di stare rinchiusi in un rifugio, nel tunnel del metrò, nelle cantine è logorante. Se i «botti» attorno alle mura del Cremlino potevano rientrare nella cornice di un «fronte coperto», quelli di oggi — alla luce del sole — portano la guerra nella capitale del neo-zar. Sprigionano un’onda d’urto, sono accolti dalla Russia con una doppia posizione: da un lato promette ritorsioni severe, dall’altro se ne serve per chiamare a raccolta. Le fonti ufficiali di Kiev, a loro volta, si felicitano per gli attacchi, però prendono le distanze negando un coinvolgimento diretto. Come in passato rispuntano ipotesi anche di velivoli decollati dal territorio russo e dunque sul ruolo dei «partigiani». I video fanno pensare a «macchine» d’altro tipo.

Lo scudo

Entrambi gli schieramenti rivendicano successi totali delle loro difese, sostengono di aver intercettato gli ordigni, sminuiscono i danni. La propaganda ha i toni alti, sono comunicati da prendere con cautela. I soldati di Zelensky, dopo aver ricevuto batterie dalla Nato, hanno contenuto la minaccia sottolineando l’efficacia nel contrasto degli ipersonici Kinzhal e dei velivoli senza pilota iraniani Shahed forniti in quantità industriali da Teheran, sempre più importante nel supporto all’invasione. Mosca indica di aver centrato ancora un Patriot e parato i voli dei cruise britannici. Satura le difese dell’Ucraina con una «pioggia» di vettori, ogni ondata è composta da decine di «testate», tiene impegnata l’anti-aerea in alcuni settori. Si rincorrono le voci sulle tattiche, sui modelli impiegati da Kiev, prodotti della sua industria. È la dimensione aerea, integrata in quella marittima — vogliono affondare navi con sciami di barchini esplosivi — e nelle sorprese elaborate dalle forze speciali dell’intelligence.

Tuttavia è impossibile rendere lo scudo impermeabile, non esistono «amuleti» e neppure armi «supreme». È una premessa generale, applicabile ai due contendenti ma anche ai Paesi limitrofi: il Wall Street Journal riporta la notizia di un cruise russo che a dicembre avrebbe sorvolato mezza Polonia senza essere intercettato, finendo la sua corsa in una foresta a 15 chilometri da un centro di addestramento della Nato, a Bydgoszcz. Quella mattina gli ucraini avevano allertato Varsavia e i radar polacchi avevano rilevato il vettore: due F-15 americani e due Mig-29 polacchi si erano alzati volo, ma — complice il maltempo — non erano riusciti a localizzarlo. È stato scoperto soltanto ad aprile, quando un uomo a cavallo ha rinvenuto i rottami: non sono stati rilasciati i dettagli, ma secondo gli analisti si tratterebbe di un KH-55 usato dai russi per ingannare le difese aree ucraine.

Offensiva

Secondo l’esperto Tom Cooper, l’aviazione di Putin ha intensificato l’attività a partire dal 16 maggio, con un’ulteriore spinta il 25. Ha preso di mira Kiev, ha lasciato il segno nella base di Khmelnitskiy, nell’ovest del Paese: ha messo fuori uso 5 preziosi caccia e provocato crateri sulle piazzole. Missione collegata al contrasto dei preparativi dell’offensiva. Un rovescio ammesso dagli ucraini. Facile comprendere perché Zelensky abbia continuato a chiedere missili con portata di 300 chilometri: ha bisogno di far pagare un prezzo all’avversario, deve poter neutralizzare comandi e snodi logistici. Il pacchetto di Storm Shadow britannici è una risposta parziale, non paragonabile alla disponibilità della Russia. Al tempo stesso è facile comprendere perché Joe Biden si sia rifiutato fino ad oggi di garantire quei dispositivi.

Corriere della Sera, 30 maggio 2023 (prima pagina, pag 3 del 31 maggio)

Brasile, il triangolo diplomatico con Usa e Russia: tutti vogliono la spia Cherkasov

L’altro fronte della crisi, quello spionistico, muove con i passi di una danza lenta. Lo raccontano episodi dal Brasile all’Europa.

Il caso brasiliano

Il governo Lula è stretto in un triangolo giudiziario e diplomatico legato al caso di Sergey Cherkasov, un agente segreto russo fintosi per anni brasiliano sotto l’identità di Viktor Muller Ferreira e arrestato dopo che aveva tentato di infiltrarsi in Olanda, alla Corte penale internazionale dell’Aia. Rispedito indietro è finito in prigione accompagnato da rivelazioni sulle sue bugie, il passato costruito a tavolino, le azioni per reclutare persone negli Stati Uniti dove si era trasferito per seguire corsi di studio. Washington ha chiesto l’estradizione, stessa cosa ha fatto Mosca sostenendo che è ricercato per traffico di droga, infine la magistratura locale ne ha ordinato la detenzione. La mossa della Russia è stata interpretata come una manovra per tirare fuori dai guai la spia, infatti pochi credono alla versione di un uomo nei panni del contrabbandiere.

Insieme all’iniziativa legale, il Cremlino ha messo in atto il piano B. Seguite le date. Il 24 marzo il dipartimento di Giustizia statunitense pubblica l’atto di incriminazione nei confronti di Cherkasov, appena cinque giorni dopo i russi sbattono in prigione il giornalista americano del Wall Street Journal Evan Gershkovich, sostenendo che è coinvolto in un’operazione di spionaggio. Ecco creato il «parallelo», ecco che si delineano i parametri di un futuro scambio con il reporter tramutato in pedina. Una tecnica usata ampiamente dalla Nord Corea e dall’Iran, regimi-estorsori, non per caso grandi amiconi di Vladimir Putin. Ora, poiché questo sistema ha funzionato, è possibile che sia impiegato ancora. Però richiede tempo, pragmatismo, soluzioni.

Il caso albanese

Una storia non meno complessa arriva da Tirana. Le autorità hanno rilasciato due russi, Svetlana Timofeeva e Mikhail Zorin, e un ucraino, Fedir Alpatov, fermati il 22 agosto nei pressi di una vecchia fabbrica militare trasformata in deposito. I tre, al momento della cattura, hanno spiegato che era loro intenzione entrare nel complesso per filmare un documentario. Il racconto, però, non ha convinto la polizia nonostante siano emerse testimonianze sul fatto che Timofeeva era piuttosto nota come «esploratrice urbana», autrice di lavori su infrastrutture industriali.

A ingarbugliare le carte è spuntata la pressione di Mosca che ha trasmesso una richiesta di estradizione in quanto la donna avrebbe cercato di ottenere illegalmente informazioni riguardanti la sicurezza. Gli albanesi hanno prima risposto di sì, quindi è arrivato lo stop del magistrato. A sua volta Zorin avrebbe fatto qualche ammissione su possibili contatti con l’intelligence del suo Paese. Il quadro, tuttavia, è rimasto piuttosto opaco, con poche certezze e sospetti da confermare. Da qui la liberazione che non significa però la chiusura del fascicolo. L’inchiesta procede.

Il caso greco

I francesi hanno bloccato il 9 maggio a Parigi Nikolaos Bogonikolos, operazione condotta su richiesta degli Stati Uniti. Imprenditore, matematico, di nazionalità ellenica, con società in Grecia e Olanda, è sospettato di aver trasferito tecnologia «dual use» — ossia suscettibile di uso civile e militare — in Russia. L’arrestato — secondo quanto raccolto dagli americani — avrebbe acquistato componenti a nome della sua compagnia, quindi le ha «girate» a due russi, parte di un network di approvvigionamento.

Corriere della Sera, 29 maggio 2023

I raid dei russi e i diversivi degli ucraini: le tattiche in vista dell’offensiva

Il martello russo e la sorpresa ucraina: sono le due componenti di una fase d’attesa, con le continue dichiarazioni su una futura offensiva da parte degli aggrediti.

Lo sciame

Mosca ha usato di nuovo i droni iraniani contro le aree abitate dell’Ucraina. La tattica non cambia, è solo aumentato il numero di mezzi coinvolti. Secondo fonti di Kiev sarebbero stati ben 52, l’azione massiccia più massiccia da inizio conflitto. Come in altre occasioni la resistenza ha rivendicato un alto «rate» di intercettamento: solo due — a sentire le ricostruzioni ufficiali — hanno perforato lo scudo. Resta l’incertezza sulla veridicità degli annunci, probabile comunque che le difese siano ormai esperte nel contrasto di velivoli non troppo veloci. Gli occupanti tengono in riserva i missili — stando alle stime, ne producono circa 60 al mese di vario tipo —, logorano le scorte dell’antiaerea avversaria, tengono la pressione. E anche il bombardamento stesso, a prescindere dagli esiti, diventa notizia, manda un messaggio di «iniziativa». Il riscorso allo sciame di Shahed è l’ulteriore prova che le forniture da Teheran proseguono, permettendo a Putin di bilanciare il proprio arsenale.

Le contromosse

I preparativi dell’offensiva hanno richiesto molto tempo tra addestramento delle Brigate, accumulo di risorse (soprattutto munizioni), analisi attenta delle posizioni. L’allungamento è anche servito per costringere gli occupanti a restare in allarme perenne, a «leggere» di continuo indiscrezioni e scenari, a separare la disinformazione da dati attendibili. Lo Stato maggiore di Zelensky ha sfruttato questo momento per lanciare numerosi diversivi, alcuni spettacolari. L’incursione in Russia dei partigiani è servita a minare certezze, ha costretto l’Armata a spostare forze, ha fornito l’opportunità per raccogliere intelligence. Non è da escludere che grazie alla confusione creatisi nella zona frontaliera di Belgorod non siano rimasti dei potenziali sabotatori, ombre in grado di agire dietro le linee. Infatti arrivano segnali di insicurezza. Poi c’è stato l’assalto di droni marittimi contro la nave russa Ivan Khurs. Missione in apparenza fallita.

Tre i punti:

1) Gli ucraini tentano a ripetizione, i loro battelli-kamikaze hanno ancora dei problemi e serviranno miglioramenti. L’esperto HI Sutton sottolinea che comunque uno dei 3 mezzi impiegati (alcuni dicono 5) è riuscito a raggiungere lo scafo, il cattivo funzionamento del detonatore ha impedito il successo.

2) Gli assalti assumono il carattere di test: aiutano chi li pianifica e chi costruisce i barchini ma, inevitabilmente, sono studiati dai russi ormai consapevoli di una minaccia costante.

3) L’azione è avvenuta nella parte meridionale del Mar Nero: la mossa implica una estensione del raggio d’azione operativo e spinge qualcuno a ipotizzare la presenza di un’unità-madre.

Corriere della Sera, 28 maggio 2023

Ucraina, i servizi segreti hanno identificato il generale russo che ha ordinato di distruggere l’Antonov

La distruzione dell’Antonov 225, l’aereo più grande al mondo, è una ferita per l’Ucraina ma anche un conto aperto con il nemico. Al punto che l’Sbu ha identificato con nome e cognome il colpevole, quasi fosse un killer: il generale Anatoly Kontsevoi.

Il servizio segreto ha indicato il vice comandante dell’aviazione russa quale responsabile dell’assalto avvenuto nei primi giorni di guerra a Hostomel, a nord di Kiev. I commandos sono arrivati in elicottero e hanno assunto il controllo della base, operazione che avrebbe dovuto favorire l’afflusso di rinforzi. La missione è però stoppata dalla reazione degli ucraini, bene informati dall’intelligence Usa. Gli invasori, però, prima del ritiro minano il velivolo e lo fanno saltare provocando danni irreparabili.

Quella battaglia è uno dei momenti decisivi del conflitto, un punto ribadito più volte dai leader ucraini e al centro di molte ricostruzioni. Ma lo scontro ha fatto da cornice al secondo episodio, con l’An-225 trasformato in un rottame. Un evento minore rispetto al resto, tuttavia impossibile da archiviare. Infatti le autorità hanno indagato arrivando alla conclusione che Mryia — così era soprannominato il «cargo» — poteva essere salvato se i responsabili della compagnia lo avessero spostato in Germania.

Il trasferimento era già stato deciso, solo che tre dirigenti — secondo l’accusa — hanno ostacolato in ogni modo le misure previste: l’aereo doveva raggiungere lo scalo di Lipsia, in Germania, diventato un hub provvisorio per la società impegnata nel trasporto a livello globale. Invece non è mai decollato e ora i tre rischiano una condanna. E anche Kontsevoi, se fosse catturato, potrebbe rischiare una pena di 15 anni. Averlo inserito nel fascicolo giudiziario dell’An-225 è un gesto (simbolico) a sottolineare la ricerca continua del nemico.

L’alto ufficiale è una figura che conta, molto presente anche in pubblico al fianco di Vladimir Putin durante le esercitazioni, tra le «guide» di un’aviazione che non ha conquistato il controllo dei cieli, tuttavia partecipa in modo ampio ai bombardamenti quotidiani. I velivoli lanciano missili a ripetizione contro target militari e civili in Ucraina. Secondo l’intelligence britannica Mosca ha intenzione di creare una task force, con i migliori piloti, per appoggiare le unità terrestri.

Corriere della Sera, 26 maggio 2023

Perché gli Stati Uniti sostengono che ci sia l’Ucraina dietro al raid sul Cremlino?

C’erano probabilmente gli Ucraini dietro al raid sul Cremlino del 3 maggio, quando due droni sono stati abbattuti sopra le cupole dell’edificio più sorvegliato di Russia, a circa 700 chilometri dal confine. È quanto riferiscono al New York Times fonti di intelligence americane, spiegando però di non sapere se l’operazione ha coinvolto forze speciali dell’esercito o unità dei servizi. Le agenzie di intelligence americane sarebbero giunte a questa conclusione dopo aver ascoltato intercettazioni di funzionari ucraini che si rimpallavano le responsabilità, ma non hanno prove che Volodymyr Zelensky e i suoi uomini fossero informati dei piani.

È possibile infatti che il leader di Kiev non sapesse nulla, sostengono da Washington: queste missioni potrebbero essere state condotte con una supervisione minima, o addirittura nulla, da parte del presidente e dei suoi collaboratori. Zelensky potrebbe avere un controllo «strategico» sugli 007, ma non entrare nei dettagli delle operazioni. Sembra tuttavia difficile che, considerate le possibili conseguenze, l’azione contro il Cremlino sia stata decisa soltanto da operativi. Se i sospetti fossero veri, però, sarebbe la conferma che non si trattava di una provocazione, come sospettato in principio: gli stessi funzionari russi, a loro volta ascoltati dagli americani, discutono fra loro di un attacco ucraino. Come sempre, nulla è schematico.

Di certo c’è che questa non è la prima volta che Washington rivela il coinvolgimento ucraino in operazioni misteriose, sabotaggi, esplosioni, omicidi. Già dopo la morte di Darya Dugina, figlia dell’ideologo nazionalista Aleksandr Dugin uccisa da un’autobomba a Mosca il 20 agosto, i servizi americani ammisero di sospettare la responsabilità degli ucraini e affermarono che l’amministrazione Biden non era stata preallertata riguardo all’operazione. Ipotesi simili sono state fatte per l’omicidio del blogger ultranazionalista Vladlen Tatarsky a San Pietroburgo ad aprile e per le numerose incursioni in territorio russo: tutte azioni che a Washington considerano una linea rossa, episodi in grado di scatenare un’escalation.

Ora la storia si ripete. Le voci — rigorosamente anonime, quasi fosse un avvertimento a non superare quelle linee rosse— sul possibile coinvolgimento di Kiev nel raid del Cremlino arrivano appena due giorni dopo l’incursione effettata nella regione di Belgorod da due gruppi di partigiani neonazisti russi, arrivati dall’Ucraina a bordo di mezzi americani che sarebbero poi stati danneggiati, catturati e fotografati dai soldati di Putin. Da Kiev hanno negato ogni responsabilità, hanno detto di non aver fornito loro i mezzi, ma hanno anche ammesso un coordinamento i gruppi paramilitari. Anche questa volta da Washington hanno ripetuto il copione: prima hanno preso le distanze, poi hanno svelato il probabile coinvolgimento ucraino in un’azione in profondità.

Queste ultime rivelazioni ci riportano allora verso l’operazione più clamorosa — e misteriosa — di questo conflitto: le esplosioni dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 nel Mar Baltico, al largo della Danimarca, avvenute il 26 settembre. Il balletto delle versioni e delle smentite ha portato a sospettare di russi, americani, polacchi e non solo. Le indagini si sono però concentrate da tempo sui sei uomini a bordo dello yacht Andromeda, mai identificati, e i sospetti convergono sempre più decisamente verso Kiev.

A marzo lo stesso New York Times aveva sostenuto che il sabotaggio era stato portato a termine da un «gruppo filoucraino». Ora un’inchiesta del quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung è risalita a due ucraini: sarebbero gli uomini che nel 2016 registrarono in Polonia la falsa società, Feeria Lwowa, che ha poi noleggiato lo yacht. Questa società — che nel 2020 ha riportato un’entrata improvvisa da 2,8 milioni di euro — sarebbe ora di proprietà di una donna ucraina di mezza età originaria di Kerch, mentre un’altra donna ucraina di 55 anni ne sarebbe direttrice e azionista.

Corriere della Sera, 25 maggio 2023

Kerry Kennedy: «Mio padre Bobby fu un precursore della lotta alla mafia, voglio bene a mio fratello ma sosterrò Biden»

«Tutti pensano a mio padre per il suo lavoro a favore dei diritti civili e per combattere la violenza contro gli afroamericani, ma una delle sue battaglie è stata contro il crimine organizzato, che aveva infiltrato a ogni livello il mondo degli affari e il governo nel nostro Paese. Sapeva che, se non li avessimo fermati, ci avrebbero distrutto», racconta al Corriere della Sera Kerry Kennedy, figlia dell’ex ministro di Giustizia americano Bobby Kennedy e presidente della fondazione a lui intitolata. A trent’anni dalla strage di via dei Georgofili, la Robert F. Kennedy Human Rights Italia organizza oggi a Firenze il «cammino della legalità», un dialogo sulla lotta alle mafie condotto da diverse prospettive per avvicinare le nuove generazioni alla legalità. Alle 17, dalla sede di Firenze dell’organizzazione (è possibile seguire gli interventi anche in streaming sul sito di Rfk Italia) interverranno l’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, l’ufficiale della Dia Edoardo Marzocchi, autore del libro La mafia spiegata a mia figlia e il giornalista di TV2000 Gabriele Santoro, autore del libro La scoperta di Cosa Nostra, che ricostruisce la creazione del primo pool antimafia americano, voluto proprio da Bobby Kennedy.

Che ruolo ha avuto suo padre nella lotta alla mafia?
«Nel suo primo anno da ministro di Giustizia, le inchieste sul crimine organizzato aumentarono del 300% rispetto all’anno prima e le condanne del 350%. Per la prima volta riuscì a coordinare gli sforzi dell’Fbi, del Secret Service, del fisco e di altre 23 agenzie federali per raccogliere informazioni sui mille principali malviventi e membri della criminalità organizzata del Paese. All’epoca al ministero della Giustizia c’erano appena 17 procuratori federali destinati a questa lotta, e lui li aumentò subito a 60. Fece approvare otto leggi antiracket al Congresso e portò l’Fbi ad aprire 852 nuovi casi. L’agenzia al tempo era guidata da J. Edgar Hoover che negava addirittura che esistesse un problema di crimine organizzato e voleva spendere tutte le risorse per combattere il comunismo. Sono fiera che il suo lavoro abbia ispirato persone come i giudici Falcone e Borsellino, che sono degli eroi italiani».

Come era vissuta questa battaglia in famiglia ?
«Quando era impegnato in questa lotta ero molto piccola, ma ricordo che mio padre e mia madre non separavano la vita privata dal lavoro: a casa c’erano sempre i colleghi di papà che giocavano con noi e poi con lui avevano conversazioni importanti. Invece di andare al parco, i miei fratelli più grandi — che avevano 5, 6, 7 anni — venivano portati da mia madre in senato ad assistere alle sedute della commissione antiracket e c’erano tutte questi personaggi che si appellavano al quinto emendamento, per non essere incriminati. A casa si scherzava che quelle fossero anche state le prime parole di mia sorella Kathleen da bambina, perché le aveva sentite così tante volte durante le udienze. A un certo punto poi alcuni di questi criminali minacciarono di tirare acido in faccia a me e ai miei fratelli: i miei genitori pensarono però che non bisognasse piegarsi davanti alla malvagità. Così mia madre continuò a portarci alle udienze con grande coraggio. Durante un’inchiesta sui capi del sindacato dei camionisti che si intascavano i soldi del fondo pensioni, invece, ci arrivavano enormi camion davanti a casa nel cuore della notte, che suonavano il clacson come atto di intimidazione».

Fra le teorie riguardo alla morte di suo padre e suo zio ce n’è una che li vuole uccisi proprio dalla mafia.
«Ho sempre voluto pensare alle loro vite, e non alla loro morte. Non ci penso e non voglio dedicargli energie. Mio padre fu il primo ministro di Giustizia a capire quanto la criminalità organizzata toccasse le vite di tutti gli americani, che minaccia straordinaria fosse per le istituzioni e la democrazia».

Cosa pensa della candidatura alla presidenza di suo fratello Robert Jr.? Può ostacolare la rielezione di Biden da sinistra?
«Voglio molto bene a mio fratello Bob, ha un grande carisma e uno straordinario talento nel parlare in pubblico. Penso che lui creda di fare la cosa giusta, e ha una lunga storia di battaglie per l’ambiente: non si potrebbe nuotare nel fiume Hudson se non fosse per lui, o in altri fiumi in tutto il Paese. Detto questo, siamo in disaccordo su questioni fondamentali: la pandemia, l’accesso ai vaccini, il sostegno per l’Ucraina e la democrazia, giusto per citarne alcune. Io appoggio il presidente Biden perché ha ottenuto risultati straordinari e sta facendo grandi cose per il Paese».

Ad esempio?
«È stato uno dei migliori dell’ultimo secolo. Quando è entrato alla Casa Bianca doveva affrontare crisi senza precedenti: quella economica, quella ambientale, quella della giustizia sociale, quella della pandemia. E lo ha fatto: negli Stati Uniti non c’è mai stata tanta occupazione come ora, ha risollevato l’economia, la pandemia è stata superata anche se non è finita, ha fatto approvare la più importante legge sulle infrastrutture dal National Highways Act del 1956 e quelle per ridurre la violenza dovuta alle armi da fuoco, le più efficaci da trent’anni. E poi ha protetto i matrimoni Lgbtqi ed è riuscito a convincere il mondo intero a sostenere l’Ucraina. Potrei andare avanti, ma dico solo che ha fatto un lavoro straordinario e siamo fortunati ad averlo alla Casa Bianca».

Perché allora non riesce a vendere i suoi successi agli americani?
«Innanzitutto, perché è cambiato radicalmente il modo in cui si informano gli americani. Non ricevono più le notizie da tre uomini bianchi sulla tv nazionale, ma per lo più dai social media che guadagnano attraverso i click, che si ottengono con notizie controverse e che tendono a essere negative, con la conseguenza che ottieni molti più click con discorsi d’odio che costruendo strade e ponti. E poi c’è un’unica ragione per cui le persone dicono di non volerlo votare: è troppo vecchio. Non per i suoi risultati, la sua competenza o una questione specifica: solo per l’età».

Corriere della Sera, 25 maggio 2023 (pag 19)

Mezzi americani usati nell’incursione a Belgorod: il Pentagono prende le distanze

Gli incursori di Belgord avrebbero utilizzato mezzi americani per penetrare in territorio russo. Le immagini arrivate dalle aree di confine mostrano infatti Humvee e blindati di produzione statunitense in mano alle milizie di estrema destra: un dettaglio non secondario che ha rafforzato la tesi di una collaborazione fra i gruppi partigiani russi e il governo di Kiev, e ha provocato la reazione immediata del Pentagono.

«Abbiamo visto queste notizie e continuiamo a monitorare attentamente», ha commentato ieri il generale Pat Ryder, portavoce del dipartimento alla Difesa americano. «Posso confermare che il governo americano non ha approvato nessun trasferimento degli equipaggiamenti a organizzazioni paramilitari che non fanno parte dell’esercito ucraino, né lo ha richiesto il governo di Kiev». Gli americani insomma prendono le distanze dall’operazione, come ha specificato anche il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller. «Abbiamo chiarito agli ucraini che non permettiamo né incoraggiamo attacchi al di fuori dei confini ucraini».

Kiev ha sempre promesso di non usare armi e mezzi americani in territorio russo, anche quando ha chiesto sistemi a lungo raggio che non sono arrivati proprio per il veto espresso dalla Casa Bianca. Lo stesso presidente Joe Biden, parlando dei caccia F-16, aveva affermato nei giorni scorsi di aver ricevuto «l’assicurazione da Zelensky che non sarebbero stati usati nel territorio geografico russo». Una linea rossa che, con l’incursione nella regione di Belgorod, potrebbe ora essere spinta più in là: la fluidità dei combattimenti e la grande quantità di materiale inviato, nota il sito War Zone, fanno sì che il problema si riproporrà sicuramente in futuro.

Il governo di Kiev aveva subito negato qualsiasi coinvolgimento nell’operazione di lunedì, con l’ufficio di Zelensky che si è rifiutato di commentare l’incursione o l’uso di mezzi americani, ma un funzionario dell’intelligence militare, Andriy Chernyak, ha parlato di «cooperazione» con gli estremisti russi di stanza in Ucraina. «Certo che comunichiamo con loro, e condividiamo informazioni. Qualcuno potrebbe dire che addirittura cooperiamo», ha spiegato martedì, specificando tuttavia che l’esercito ucraino non è coinvolto nell’attacco, che si trattava di un’iniziativa dei russi che si ribellano e che ai miliziani non era stata fornita alcuna attrezzatura. «Tutte le armi ottenute dall’Occidente — ha detto Chernyak — restano sotto stretto controllo dell’esercito».

Al tempo stesso, però, il neonazista leader del Corpo dei volontari russi Denis Nikitin aveva riferito al Financial Times che i suoi uomini erano in possesso di veicoli militari prodotti in America: fra questi c’erano due blindati M1224 MaxxPro e alcuni Humvee, ma non aveva spiegato come li avevano ottenuti. Gli stessi mezzi rientrano ovviamente nelle forniture americane arrivate per contrastare l’invasione: il governo americano ha inviato o promesso oltre 2 mila Humvee e 500 MaxxPro nei pacchetti di assistenza che hanno raggiunto un valore complessivo di 38 miliardi di dollari.

Nei video arrivati da oltreconfine si vedono blindati americani con i simboli dell’esercito ucraino e altri mezzi che aprono il fuoco sulla polizia di frontiera russa. Nelle foto diffuse dal ministero della Difesa russo si notano veicoli affondati nelle trincee e un blindato MaxxPro danneggiato e abbandonato nei pressi della cittadina di Graivoron, coperto di graffiti filorussi. Secondo alcuni osservatori sarebbero una messinscena, e lo stesso Pentagono non ne conferma l’autenticità: potrebbero essere mezzi effettivamente distrutti e poi riposizionati con camion e ruspe per rendere l’immagine più scenografica. Secondo il gruppo open-source Oryx che traccia le forniture occidentali, i russi avrebbero tuttavia davvero catturato due MaxxPro, due Humvee M1151e un Humvee M1152.

Oltre alla provenienza dei mezzi, Nikitin non ha rivelato neanche quali fossero gli obiettivi dell’incursione, nella quale sarebbero stati uccisi 70 miliziani: secondo alcuni analisti si tratta di un tentativo di allungare la linea di difesa russa, di mettere pressione all’Armata, ma in passato lo stesso leader neonazista aveva spiegato che le incursioni — cominciate già all’inizio di marzo — servivano per esporre lo scarso livello di sicurezza nel Paese e a ispirare i compatrioti a ribellarsi al Cremlino.

Corriere della Sera, 24 maggio 2023

Taccuino militare: gli Usa prendono le distanze dall’incursione a Belgorod

Gli incursori di Belgorod avrebbero utilizzato mezzi americani per penetrare in territorio russo. Le immagini arrivate dalle aree di confine mostrano infatti Humvee e blindati di produzione statunitense in mano alle milizie di estrema destra: un dettaglio non secondario che ha rafforzato la tesi di una collaborazione fra i gruppi partigiani russi e il governo di Kiev, e ha provocato la reazione immediata del Pentagono. «Abbiamo visto queste notizie e continuiamo a monitorare attentamente», ha commentato ieri il generale Pat Ryder, portavoce del Pentagono. «Posso confermare che il governo americano non ha approvato nessun trasferimento degli equipaggiamenti militari a organizzazioni paramilitari che non fanno parte dell’esercito ucraino, né lo ha richiesto il governo di Kiev».

  • Gli americani insomma (come anticipa Marta qui sopra) prendono le distanze dall’operazione, come ha specificato anche il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller. «Abbiamo chiarito agli ucraini che non permettiamo né incoraggiamo attacchi al di fuori dei confini ucraini». Kiev ha sempre promesso di non usare armi e mezzi americani in territorio russo, anche quando ha chiesto sistemi a lungo raggio che non sono arrivati proprio per il veto espresso dalla Casa Bianca.
  • Lo stesso presidente Joe Biden, parlando dei caccia F-16, aveva affermato nei giorni scorsi di aver ricevuto «l’assicurazione da Zelensky che non sarebbero stati usati nel territorio geografico russo». Una linea rossa che, con l’incursione nella regione di Belgorod, potrebbe ora essere spinta più in là: la fluidità dei combattimenti e la grande quantità di materiale inviato, nota il sito War Zone, fanno sì che il problema si riproporrà sicuramente in futuro.
  • Il governo di Kiev aveva subito negato qualsiasi coinvolgimento nell’operazione di lunedì, con l’ufficio di Zelensky che si è rifiutato di commentare l’incursione o l’uso di mezzi americani, ma un funzionario dell’intelligence militare, Andriy Chernyak, ha parlato di «cooperazione» con gli estremisti russi basati in Ucraina. «Certo che comunichiamo con loro, e condividiamo informazioni. Qualcuno potrebbe dire che addirittura cooperiamo», ha spiegato martedì, specificando tuttavia che l’esercito ucraino non è coinvolto nell’attacco, che si trattava di un’iniziativa dei russi che si ribellano e che ai miliziani non era stata fornita alcuna attrezzatura. «Tutte le armi ottenute dall’Occidente — ha detto Chernyak — restano sotto stretto controllo dell’esercito».

Corriere della Sera, 24 maggio 2023 (newsletter AmericaCina)

I mezzi americani, l’operazione complessa, la sicurezza: i 5 segnali dell’incursione a Belgorod

L’incursione nella regione di Belgorod conferma la fase di instabilità in un «teatro» che in teoria dovrebbe essere protetto in modo più attento.

La sicurezza

Le autorità hanno confermato la situazione di instabilità denunciando anche raid di droni. C’è da chiedersi quale fosse e sia il livello di sicurezza, il numero di soldati e agenti disponibili in un settore notoriamente esposto. Possibile che nessuno abbia messo in conto quanto è poi avvenuto? La Russia, secondo uno scenario, dovrà impiegare maggiori forze per la sorveglianza di una frontiera lunga, magari prelevando unità destinate ad altri settori.

I mezzi

Gli incursori avrebbero impiegato almeno due tank e veicoli blindati. Alcuni video hanno mostrato mezzi occidentali, comprese Humvee e blindo d’origine statunitense. Scelta strana. Se vuoi mimetizzarti e sfruttare la sorpresa impieghi mezzi di concezione «sovietica». Chissà quale è stata la reazione a Washington nel vedere loro equipaggiamenti in Russia. Kiev, anche quando ha chiesto sistemi a lungo raggio, ha sempre promesso che non li avrebbe usati sul territorio nemico, ora invece sono comparsi nei villaggi dall’altro lato del confine. La sola «differenza» è che li impiegano dei partigiani russi.

I segnali

I Legionari e i Volontari non sono fantasmi, la loro presenza è nota da mesi, si sono assunti la responsabilità per altre azioni clamorose, ne hanno promesse di nuove. Ilya Ponomarev, ex deputato alla testa della Legione, e Denis Kasputin, alla guida di un’altra fazione e attestato su posizioni neonaziste, sono alcuni dei volti di un’arena immersa nel grigio dell’ambiguità. Quando hanno rilasciato interviste sono stati accolti con cautela, in occasione di alcuni episodi c’è chi ha pensato alla provocazione. Sollevare interrogativi è legittimo, però è un modo per chiamarsi fuori, per allontanare sospetti di collusione. Solo che questa carta si consuma rapidamente se la usi di continuo. O comunque diventa una tesi meno credibile.

L’operazione

L’assalto delle ultime ore rappresenta un’operazione più complessa e «politica» rispetto all’uccisione di un blogger. Hanno studiato l’area, possibile che abbiano condotto ricognizioni in precedenza e magari hanno qualche quinta colonna nelle località dove hanno scelto di agire. Anche i molti raid di droni, insieme a «incidenti» di natura imprecisata, possono aver rappresentato un modo per testare le contromisure. A marzo una cellula ha condotto un gesto dimostrativo nell’area di Bryansk. Piccoli passi insieme a mosse propagandistiche. Gli oppositori portano avanti la loro agenda da posizioni ideologiche diverse, nel contempo si trasformano nel lungo braccio dei servizi ucraini, hanno rapporti con strutture militari.

La reazione

Mosca, per ora, ha scelto una versione da vendere ai cittadini costretti a scappare dalle loro case: l’infiltrazione — dice — dimostra perché è stato necessario lanciare la campagna contro l’Ucraina, la presenza tra gli assaltatori di estremisti aiuta a diffondere il messaggio. La tesi non sminuisce la situazione imbarazzante, però incrocia in qualche modo le analisi di alcuni osservatori occidentali sui rischi della «guerra segreta» che riserverà altre battaglie.

Corriere della Sera, 23 maggio 2023

Cosa significano gli attacchi ucraini a Belgorod, in Russia, e quali sono le conseguenze?

L’attacco nella regione di Belgorod era prevedibile, quasi annunciato da mosse, indiscrezioni, attività emerse.
A gennaio scorso, secondo le carte riservate del Pentagono diffuse dall’aviere Jack Teixeira, il presidente Zelensky in persona aveva chiesto ai suoi uomini un’azione in territorio russo con la presa di un villaggio. Un modo per avere una «leva» nei confronti del Cremlino. Questa era tuttavia solo una delle diverse ipotesi considerate e poi accantonate.

Gli ucraini hanno però sempre usato il fattore «sorpresa», specie in momenti difficili, con manovre lontane dal fronte: l’affondamento del Moskva nel Mar Nero, oppure i raid di droni in profondità. Dopo l’uccisione di personaggi della realtà nazionalista russa, eliminazioni rivendicate e non più negate, è arrivata l’incursione in una zona già teatro di «incidenti», sabotaggi, esplosioni. Eventi ripetuti che sono anche serviti a studiare il terreno in vista di iniziative più ambiziose.

Il possibile uso di partigiani russi — questa la tesi di Kiev — è poi un classico delle operazioni clandestine di molti conflitti: appoggiano dei gruppi per ragioni pragmatiche e politiche; alimentano l’idea che esista un fronte interno di dissenso capace di gesti clamorosi; sfidano gli apparati; creano insicurezza tra gli abitanti. Anche per le esplosioni sulla cupola del Cremlino non è stata esclusa la mano di oppositori locali. La presenza di questi nuclei può diventare, al momento giusto, un diversivo e la copertura per il coinvolgimento di servizi segreti. L’intelligence militare guidata da Kyrylo Budanov è l’ombrello, la sponda logistica: lui stesso ha invitato alla rivolta e non ha posto limiti alle missioni dei suoi uomini.

Per Mosca, invece, c’è la responsabilità diretta dell’Ucraina, con suoi «agenti». Che sia vero o meno è la versione migliore rispetto a un coinvolgimento di incursori di nazionalità russa. Questo le permette di rispondere contro un obiettivo dall’altro lato della frontiera.

Resta il fatto che prendere di mira la Russia nel suo cortile non è un tabù. Ed è una reazione inevitabile dopo settimane di bombardamenti sulle città. Kiev, non avendo missili a lungo raggio, ha trovato altri sistemi per farlo. Difficile pensare che esistano delle linee rosse eterne: spesso sono tracciate sulla sabbia, con i rischi che ne conseguono.

Corriere della Sera, 22 maggio 2023 (pag 14 del 23 maggio)

L’adattamento dei russi alla guerra: perché l’Armata di Putin non va sottovalutata

L’andamento del conflitto va considerato nell’insieme, non sull’esito di una battaglia. Vale per tutti. È allora interessante soffermarsi su una nuova analisi dell’istituto britannico Rusi dedicato all’Armata di Putin. Riportiamo sul «taccuino» alcuni punti.

I russi, pur tra tante inefficienze, hanno mostrato grande adattamento. Sono stati corretti errori che hanno pesato. E la macchina bellica, nonostante i molti aneddoti negativi, resta possente. I cambiamenti — riconoscono gli esperti Jack Watling e Nick Reynolds — sono avvenuti sempre in reazione a situazioni difficili, ossia misure del «dopo». Una conferma dell’incapacità di anticipare mosse. Però lo Stato Maggiore ha cercato soluzioni ed è riuscito spesso a trovarle.

Sorpresi dal tiro degli Himars, con dozzine di depositi e snodi distrutti, i generali hanno spostato più indietro le scorte, hanno disseminato i plotoni. Sempre formidabile, dal grande impatto, il volume di fuoco dei cannoni russi: una superiorità netta e nota. La domanda è per quanto potrà andare avanti senza ricorrere ad aiuti esterni. I carri raramente sono serviti per aprire brecce, gli invasori hanno preferito impiegarli come artiglieria mobile. Ecco perché lo schieramento di vecchi T62 e T55 non deve essere trascurato: li usano per l’appoggio ravvicinato e gli ucraini devono comunque usare gli anti-carro per eliminarli. Non è detto che siano sempre a disposizione e sufficienti. Inoltre le corazze reattive applicate agli «scafi» si sono rivelate piuttosto resistenti, così come tattiche e contromisure hanno aumentato le doti di «sopravvivenza».

Dopo i disastri dei primi mesi, i Battaglioni sono stati suddivisi in unità minori, con sotto-team ognuno con una missione specifica. Hanno mandato in avanscoperta soldati spendibili, poi rimpiazzati in caso di conquista di una posizione dagli specialisti capaci di dirigere con precisione il tiro e di ingaggiare l’avversario. Una manovra ripetuta 4-5 volte con il ricorso — quando li avevano — ai genieri per fortificare le linee oppure al semplice lavoro di pala/piccone. Estese le aree minate, in continuo sviluppo i «bastioni» con denti di drago, fossati, bunker. È però vero che i guadagni sul territorio sono stati minimi e l’Armata ha badato soprattutto a contenere su un fronte lungo circa 1.200 chilometri. Le carenze di qualità e di training permangono, stesso giudizio per il morale.

La forza occupante ha messo in atto contromisure elettroniche poderose. Per il Rusi gli ucraini perdono una media di 10 mila droni al mese, vuoti che provano a colmare con forniture continue. Problemi seri per le comunicazioni: nel report si afferma che i russi sono riusciti a «decifrare» gli apparati radio avversari traendo vantaggio in alcuni momenti. Ampio il ricorso ai droni da ricognizione da parte dei responsabili di settore per guidare assalti, incursioni, tiro delle batterie.

Il rapporto è un «memo» per invitare a non sottovalutare la Russia, mette in guardia sugli ostacoli che attendono l’Ucraina. Kiev deve entrare nelle difese, consolidare i guadagni, contrastare i contro-attacchi e colpire nelle retrovie. Fasi che dipendono dall’addestramento di questi mesi, dai mezzi, dalla potenza di fuoco (non solo delle artiglierie ma anche di «pezzi» minori), dall’esecuzione. Sfide che richiedono una lunga preparazione e racchiudono sempre incognite. Ieri il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, ha affermato che è stato dato a Zelensky tutto ciò che era necessario. Non tutti sono convinti.

Corriere della Sera, 21 maggio 2023

Quali sono le conseguenze del via libera ai caccia F-16 per Kiev da parte del G7?

Il via libera del G7 agli F-16 per Kiev è innanzitutto un segnale di appoggio sul lungo termine. Le ripercussioni effettive non possono essere immediate, ma la decisione è sufficiente a innescare le reazioni da Mosca: vi assumete «rischi colossali», è l’avvertimento.

Kiev ha chiesto almeno 200 aerei, cifra che deve fare i conti con la realtà. Belgio, Danimarca, Grecia, Olanda e Portogallo ne hanno, tuttavia hanno offerto opzioni a seconda delle loro possibilità, dai velivoli al solo training del personale. La disponibilità — forse anche da parte dell’Italia che li ha usati in passato: Giorgia Meloni a Hiroshima ha parlato di un «eventuale addestramento» di cui si sta discutendo con gli alleati — è accompagnata da precisazioni. Prevedibili. Ci sono mezzi «anziani», altri non possono essere ceduti per ragioni di sicurezza nazionale oppure devono essere rimpiazzati da aerei moderni. Sembra di rileggere le «risposte» date sui tank Leopard, presenti nei depositi però non sempre utilizzabili. Alla fine sono arrivati.

Il secondo aspetto riguarda la preparazione dei piloti. L’Ucraina ne ha avrebbe selezionati per ora 50 con una coppia mandata in una base dell’Arizona per una serie di prove al simulatore: secondo un documento dell’Air Force svelato da Yahoo! News gli equipaggi possono essere pronti in 4-6 mesi e non 18 come sostenevano fonti ufficiose statunitensi. Si tratta di un primo passo, con tutti i condizionali e le incertezze possibili. All’eventuale «brevetto» seguirà l’inserimento in un contesto bellico in cui gli invasori dispongono di contromisure, batterie, quantità di «macchine». Qualche critico ritiene che l’F16 non rappresenti la soluzione ideale: costoso, deve agire integrandosi con altri mezzi (rifornitori, aerei da guerra elettronica…) oggi assenti nell’aviazione ucraina.

La seconda schiera di dubbi riguarda la logistica e il supporto a terra in quanto — sempre per i critici — il jet richiede installazioni bene attrezzate e non sarebbe in grado di usare piste semi-preparate o semplici strade. I raid con vettori lanciati da lunga distanza minacciano costantemente le basi, Kiev è stata costretta a disperdere i suoi velivoli. Non mancano interrogativi sui missili e radar. La resistenza ha bisogno di un numero consistente di ordigni occidentali, i suoi hanno un raggio limitato. Resta da capire come Francia e Gran Bretagna possano dare il contributo promesso, avendo modelli differenti dagli F16. Sui media francesi erano uscite, a marzo, indiscrezioni sui Mirage 2000 e la formazione di una trentina di piloti, mentre per ora vi sarebbero conferme solo su un training «generale». E l’inevitabile precisazione di un progetto con scadenze non certo immediate.

Gli stessi dubbi riguardano l’Italia, che ha usato gli F-16 in leasing fra la fine dei Tornado Adv e l’avvio degli Eurofighter: ne ha avuti 34, fra il 2003 e il 2012. «Mi sorprende molto che possiamo dare un supporto a un programma sugli F-16. Noi li abbiamo restituiti tutti quanti, non credo che ci siano disponibilità: neanche di pezzi di ricambio, perché il leasing prevedeva che la manutenzione venisse fornita nell’ambito del contratto, quindi non abbiamo neanche un magazzino con pezzi di ricambio», spiega il generale Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa italiana. «Sugli F-16 sono integrati però tutti i sistemi missilistici e le bombe di cui dispone l’Italia: potremmo magari fornire un’installamento, ma non più di quello. Altrimenti potremmo mettere a disposizione le nostre basi per l’addestramento, fatto però da altri che hanno gli F-16».

Il «partito dei jet» ritiene che le valutazioni negative siano pretesti, ricordano che si diceva la stessa cosa per i Patriot. A loro giudizio, con i caccia l’aeronautica può ingaggiare gli avversari in modo efficace, contrasta la supremazia di Mosca, offre copertura a unità terrestri, acquisisce maggiore forza, colma i vuoti (sarebbero almeno 60 i Mig e i Sukhoi distrutti). E non vi sono ostacoli di gestione in quanto i «tecnici» ucraini hanno dimostrato di imparare rapidamente. Di nuovo citano le armi inviate per fasi dalla Nato: dagli Himars ai cruise Storm Shadow. Sullo sfondo, aggiungono, è chiaro il messaggio rivolto al Cremlino.

In molte analisi è stato sottolineato come Vladimir Putin punti ad allungare la crisi, poco importa quanti chilometri di trincee controlli, perché è convinto che l’Alleanza rallenterà il supporto a Zelensky. Tiene, logora gli ucraini anche a costo di pagare un prezzo alto, è convinto di uscirne in vantaggio. Varando la «coalizione degli F-16», l’Occidente prova a smentirlo. È un programma che guarda, proprio per i tempi, oltre alle operazioni in corso. Una buona forza aerea serve ad aumentare la deterrenza davanti alle pressioni della Russia anche nel caso — scrive il New York Times — di una tregua alla coreana: lo scenario, evocato spesso da commentatori, in cui tacciono i cannoni senza che vi sia una chiusura dello stato di guerra.

Corriere della Sera, 20 maggio 2023