Il confine dimenticato

Otto2La costruzione di un muro al confine con il Messico è stata la promessa elettorale che contribuito a portare Donald Trump alla Casa Bianca, ma, mentre vendeva l’utopia di una barriera invalicabile su una linea selvaggia che tenesse lontani gli immigrati irregolari, il presidente degli Stati Uniti elaborava un altro conflitto silenzioso lungo una frontiera due volte più estesa, che galoppa tortuosa lungo corsi d’acqua gelidi e boschi rigogliosi per poi proseguire in linea retta dai Grandi Laghi fino al Pacifico, per un totale di quasi 6 mila chilometri. Quello fra Stati Uniti e Canada è un confine poroso, molto più permeabile di quello messicano, che lascia filtrare ogni anno in America droga per circa 56 miliardi di dollari e centinaia di immigrati irregolari, ma che, nonostante questo, è pattugliato da appena duemila agenti, contro i quasi ventimila che setacciano la frontiera meridionale. È una linea confusa, costellata di zone grigie contese su cui rivendicato la sovranità entrambi i Paesi, e a volte è difficile capire dove finisca una nazione e ne inizia un’altra. All’estremo Nordest degli Stati Uniti e Sudest del Canada, la frontiera è marcata per lo più dalle acque inquiete e pericolose delle baie di Fundy e Passamaquoddy – le cui insenature dividono la provincia del New Brunswick, a Nord, dallo Stato del Maine, a Sud – oppure dalle bandiere che sventolano scolorite dalle intemperie nelle case di campagna o sulle pompe di benzina sperdute nei boschi: a stelle e strisce da una parte, dall’altra con una grande foglia d’acero rossa.

“Nessuno sa esattamente dove cominci il confine settentrionale degli Stati Uniti: da qualche parte verso Machias Seal Island, a 25 miglia da Jonesport, in Maine”, sostiene Porter Fox, che per tre anni lo ha percorso tutto dal Maine, dove è nato, fino allo Stato di Washington, raccontando nel libro “Northland – a 4,000-Mile Journey Along America’s Forgotten Border” la sua avventura. “Quasi tutti, invece, sanno dove va a finire”. Lungo questa linea di frontiera, in realtà, nessuno sa mai esattamente neanche che ora sia. Sulla costa dell’estremo Nordest americano, che odora di sale, pesce, alghe e vecchi porti dismessi, il vento soffia costantemente, facendo oscillare le cime dei pini che arrivano fino all’oceano e le lancette – digitali – degli orologi, che ciondolano ossessivamente un’ora avanti o una indietro, a seconda che i telefoni aggancino le celle americane o quelle canadesi che si scontrano minacciose sopra Fundy e Passamaquoddy, baie turbate dai più poderosi mulinelli dell’emisfero occidentale e da impetuose correnti. In alcuni punti i due Paesi sono vicinissimi, distanti appena poche centinaia di metri, eppure – controlli doganali a parte – per percorrere il mezzo chilometro scarso del Franklin Delano Roosevelt Bridge, il ponte che congiunge Lubec, la cittadina più a Est degli Stati Uniti, all’isola canadese di Campobello, quella dove il 32esimo presidente americano passava le estati in gioventù e dove contrasse la poliomielite nel 1921, ci vuole un’ora e un minuto: un minuto d’automobile e un’ora per attraversare il fuso orario, passando da quello della costa orientale degli Stati Uniti a quello dell’Atlantico, un’ora più avanti. Continua a leggere “Il confine dimenticato”