L’intelligence britannica è netta nel giudizio: l’offensiva di Putin è in stallo su quasi tutti i fronti. Analisi condivisa, in parte, dall’esercito di osservatori, che comunque conservano della cautela. L’Armata non se ne è andata, i campi di guerra sono ancora lì, a una ventina di chilometri da Kiev e nel sud del Paese. I russi hanno registrato nelle ultime ore vantaggi minimi. Come spiega l’ex generale Mick Ryan, insistono sul piano C: conservare il terreno conquistato (piuttosto rilevante), bombardare le città da lunga distanza, distruggere infrastrutture e fabbriche, contrastare eventuali aiuti. Insieme a questo, c’è l’avanzata lenta sulla capitale, per circondarla: nei sobborghi di Kiev, però, gli ucraini avrebbero riguadagnato posizioni. Queste analisi sono state determinate dal fatto che i russi non hanno conseguito gli obiettivi prefissati.
Al tempo stesso tempo, gli inglesi affermano che lo Stato Maggiore prova a riorganizzare i ranghi, fa affluire rinforzi e potrebbe dare l’ordine per un secondo assalto, affrontando rischi enormi, forse entro i primi di aprile. Un esperto ha rivelato che i genieri starebbero costruendo un oleodotto per rifornire il contingente senza impiegare le autobotti, poco numerose. Una conferma indiretta delle intenzioni. Sono avvistati convogli di treni, il Giappone ha registrato la partenza di navi anfibie da una base dell’Estremo Oriente. I contatti diplomatici, in questo scenario, altro non sono che un diversivo: infatti cadono colpi pesanti sulle aree abitate. La minaccia di Mosca, pur debilitata, non è svanita.
Ad imporre un passo lento alla marcia di Putin sono stati diversi fattori. La sottovalutazione del nemico, i problemi logistici, le carenze del sistema bellico russo, il personale di leva non preparato. E, se teniamo conto che nella prima ondata il Cremlino ha mandato a morire il meglio delle truppe aerotrasportate, i conti si fanno pesanti: gli ucraini sostengono di aver ucciso 14 mila russi, una stima conservativa del Pentagono ritiene che potrebbero essere 7 mila, fra cui 4 generali. Comunque tanti. Le «debolezze» — sempre relative — dei russi sono state amplificate dalle capacità dei loro avversari: gli ucraini si erano preparati, ma non hanno fatto tutto da soli.
Gli americani — con le Special Forces e i paramilitari della Cia — hanno elaborato un programma di assistenza avviato nel 2015: hanno preparato gli ucraini e ne hanno testato la determinazione, volevano capire se avrebbero combattuto per la patria. Gli hanno insegnato a comunicare in modo protetto, le tattiche di guerriglia e tiro di precisione, i metodi per colpire e sottrarsi al fuoco avversario, le azioni rapide, l’uso dei Javelin anti-carro, e poi a schivare il tracking digitale effettuato dai russi, per impedire loro di localizzare le truppe e poi colpirle con attacchi d’artiglieria. Un piccolo episodio aiuta a comprendere la tenacia. Siamo sempre nel 2015, esercitazioni Switf Response della Nato in Germania, area addestrativa di Hohenfels: vi partecipano anche dei parà ucraini nel ruolo di «op-for», ossia nemici, e, con un colpo di mano, catturano il comando statunitense. Pare che la sorpresa non sia stata gradita da chi coordinava le manovre.
All’aspetto training si aggiunge poi l’uso di sistemi efficaci di difesa. I missili anti-carro si sono rivelati formidabili nell’azione di contenimento. Ecco perché è importante l’invio dei Javelin, degli AT4, dei Panzerfaust e di ogni strumento bellico che riesca a infliggere perdite agli uomini di Putin. Ora gli americani daranno i droni-kamikaze, adatti a piccoli team. Non meno importante il ruolo dei missili anti-aerei trasferiti dalla Nato: insieme agli Stinger — per ingaggiare velivoli a bassa quota — dovrebbero gli S300 e altri mezzi mobili che possono colpire caccia o elicotteri a quote più alte. Il rafforzamento dello scudo ha un impatto profondo, perché avviene in uno scenario in cui l’aviazione di Mosca ha una presenza ridotta e questo ha favorito le mosse degli incursori ucraini a terra. Infine, il morale degli uomini di Zelensky: ne hanno da vendere, normale che sia così, muoiono per la loro terra. È questa l’unica risorsa che Putin non può trovare nel suo arsenale. I prossimi 10 giorni, ha confermato il capo negoziatore di Kiev Myhailo Podoliak, saranno decisivi.
Corriere della Sera, 18 marzo 2022 (pag 6)