Padre giovanissimo, ex Navy Seal, poi disertore. Infine la morte in Ucraina. È questa la storia ufficiale di Daniel Swift, un volontario americano ucciso nei combattimenti contro i russi il 18 gennaio. Il sesto cittadino statunitense caduto sul fronte di guerra, uno dei tanti occidentali entrati nella Legione dei volontari al fianco di Kiev.

Originario dell’Oregon, Swift si arruola nel 2005 e inizia una lunga carriera nel prestigioso corpo d’élite, un’unità chiamata a missioni difficili, dalla lotta ai terroristi alla caccia a Osama bin Laden. Il militare è assegnato prima alle Hawaii, quindi partecipa alle operazioni in Iraq e in Afghanistan. Passaggi raccontati in un ebook, The Fall Man, dove descrive un percorso personale difficile rilanciato in queste ore dai media americani. Il divorzio dei genitori incide sul suo carattere, ha un’infanzia turbolenta, si allontana dalla famiglia ma forma subito la sua in parallelo all’impegno in divisa. Si sposa, diventa padre a 20 anni e mette al mondo 4 figli. Sotto le armi incontra soddisfazioni, prove ardue, momenti complicati, medaglie.

Non ha un buon ricordo del periodo iracheno, non si fida delle truppe locali, afferma che i commandos sapevano dove erano i nemici ma gli impedivano di eliminarli. È coinvolto nel ribaltamento di un mezzo, un paio di commilitoni riportano fratture, ne ha visto morire un altro durante un periodo di training sulla costa occidentale. L’insieme di esperienze può aver inciso sui passi successivi. Dopo aver lasciato la Marina nel 2014, scrive il Washington Post, rientra l’anno successivo. Un ritorno seguito nel 2019 dall’abbandono dei Seals: Swift se ne va, la Navy lo considera a tutti gli effetti un disertore. Una svolta improvvisa, di lui si perdono le tracce. Fino a venerdì quando è stato annunciato il decesso.

Le fonti sostengono di non sapere quale sia il sentiero che ha portato il militare fino in Ucraina, la spiegazione più semplice — non è detto che sia l’unica — è che abbia deciso di aggregarsi ai tanti occidentali pronti a battersi nei ranghi della resistenza. Scelta individuale o una copertura per un impiego segreto? Può essere tutto. L’uomo che affronta l’ennesima curva di un’esistenza oscillante abbracciando la causa dell’Ucraina. Oppure la diserzione è una scorciatoia creata per favorire il suo impiego non ufficiale, parte dell’assistenza neppure troppo riservata della Nato.

Forse però bastava dimettersi — cosa che aveva già fatto una volta — senza avere il marchio del disertore, una soluzione semplice quanto antica. Non sei più organico ad una forza armata ma di fatto continui a servirla con una nuova mimetica. Senza trascurare un aspetto legale: per molti governi è vietato andare a combattere all’estero. C’è però una crisi in corso, la peggiore, gli Stati elaborano vie alternative. Mosca si affida ai mercenari, ad apparati clandestini per colpire gli esuli. Quali che siano le ragioni Swifts è entrato nel «fiume» di volontari arrivati in massa nelle settimane successive all’invasione.

Secondo alcune informazioni il loro numero ha raggiunto i 17-20 mila, cifra non sempre verificabile. Le autorità locali dopo aver aperto le porte le hanno socchiuse creando un setaccio per filtrare il personale, verificare chi fosse adeguato, evitare infiltrazioni, rimandare a casa tipi con precedenti gravi. C’erano e ci sono elementi esperti, reduci di eserciti occidentali, dei professionisti. Una presenza dichiarata e multiforme, dal singolo individuo agli specialisti della Mozart, la società nata per rispondere alla Wagner russa. Non diverso è il ruolo di nuclei composti da georgiani, bielorussi, ceceni pronti a battersi contro Mosca.

Ma accanto a coloro che «sanno» sono apparse persone in cerca di avventura, non sempre pronte per un conflitto brutale, tanto più se nel loro bagaglio c’era solo buona volontà o neppure quella. In qualche caso sono emerse denunce sulla cattiva organizzazione, su ufficiali inadatti, su abusi. Un recente articolo del Washington Post ha indagato sulla Legione sostenendo che il contingente degli stranieri si è assottigliato a poche migliaia, inseriti in tre battaglioni. Il ricercatore Kacper Rekawek — citato dal quotidiano — ha stimato che ne siano morti un centinaio mentre mille sono rimasti feriti. Molti sarebbero tornati nei rispettivi Paesi alla fine dell’estate. Alcuni provati dalla guerra, altri perché non pronti, altri ancora in una bara.

Corriere della Sera, 21 gennaio 2023 (pag 4 del 22 gennaio)

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