Il dipartimento di Giustizia ha archiviato il caso contro Michael Flynn, il primo consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump (qui un’intervista a Viviana Mazza quando era consulente del futuro presidente) che si era dichiarato colpevole per aver mentito all’Fbi riguardo a un colloquio avuto con un diplomatico russo dopo le elezioni del 2016. In ballo non c’era tanto la menzogna, che Flynn aveva ammesso, quanto il fatto che fosse «materiale da inchiesta» e che il suo interrogatorio fosse giustificato: per questo il ministro di Giustizia William Barr aveva affidato la revisione a un nuovo procuratore – quello di St. Louis Jeff Jensen, a lui vicino – che ha smontato il caso in una decisione e con modalità definite inusuali sia dai media liberal che da quelli conservatori. «A volte le persone si dichiarano colpevoli di qualcosa che si rivela non essere un crimine», ha commentato Barr ieri sera a Cbs, spiegando che in questo caso, alla fine, non è stato rilevato un reato.

Flynn era uno dei tasselli sui cui si fondava il Russiagate, l’inchiesta sulle interferenze russe che il presidente ha sempre definito una «caccia alle streghe» e che il ministro di Giustizia Barr ha apertamente cercato di smontare: l’indagine su Flynn aveva portato al licenziamento del direttore dell’Fbi James Comey da parte del presidente, che ultimamente aveva ventilato l’ipotesi di una grazia nei confronti del suo consigliere. Il suo staff, però, lo aveva invitato a desistere e, proprio la scorsa settimana, Trump aveva ritrattato, sostenendo che la grazia non fosse necessaria. «Era un uomo innocente, una grande gentleman», ha commentato ieri. «È stato preso di mira dall’amministrazione Obama per far saltare un presidente».

Corriere della Sera, 8 maggio 2020 (Newsletter AmericaCina)

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