In un anno Andrew Yang è passato dall’essere il giovane e frizzante outsider delle primarie democratiche per la presidenza (lo intervistammo qui), a trasformarsi nel candidato ineluttabile contro cui si alleano tutti gli altri protagonisti della corsa alla poltrona da sindaco di New York. Imprenditore tecnologico di origine taiwanese, 46 anni, Yang ha guadagnato una «modesta fortuna» — parole sue — ed è entrato in politica con un programma futuristico, proponendo un reddito di cittadinanza da 1.000 dollari al mese per ogni americano, da pagare con le tasse dei colossi del Big Tech.
Di Yang, si diceva all’epoca, non contavano i sondaggi, quanto le idee: le sue proposte potevano influenzare il dibattito interno del partito, come successe con Bernie Sanders. Diventato enormemente popolare in rete (e non solo) grazie alla preparazione, alla simpatia, ad alcune apparizioni nei podcast giusti e alla fedele Yang Gang che lo sostiene, transitato come commentatore politico sugli schermi di Cnn, Yang è passato all’incasso e si è candidato a sindaco della metropoli più complicata d’America, venendo accolto subito come il forestiero che vuole conquistare New York: abita fuori città, sostengono i detrattori, fra cui spicca Fran Lebowitz.
Consapevole di dover passare un test di autenticità, dimostrando di essere un vero newyorkese, lui ribatte di avere un appartamento a Hell’s Kitchen e — come ha raccontato il New Yorker — si fa vedere a Coney Island, mangia spicchi di pizza, critica i New York Knicks o risponde a uno dei grandi dilemmi cittadini: sono migliori gli hot dog di Gray’s Papaya o di Papaya King?
Ma stavolta i sondaggi di Yang contano eccome: la popolarità improvvisa di quest’ultimo anno lo ha spinto in testa alle rilevazioni, in una primaria a 8 teste che vede in corsa alcuni solidi politici locali — dal presidente del quartiere di Brooklyn Eric Adams all’ex comptroller cittadino Scott Stringer, fino all’ex direttore dell’ufficio per la gestione del bilancio di Obama Shaun Donovan, finanziato dai milioni del padre — e lui, la celebrità contro cui gli avversari stanno facendo cartello in vista del voto del 22 giugno.
L’ultimo colpo è arrivato dal club dei democratici gay di New York, lo Stonewall, che ha deciso di non appoggiarlo dopo un incontro andato storto, in cui Yang ha parlato di «vostra comunità» Lgbtq – «come fossimo alieni», ha commentato un membro – e ha sostenuto di essere vicino a loro perché a guidare la campagna ha scelto due persone gay.
Ma non era il primo intoppo, per questa sorpresa diventata improvvisamente monotona. Un’ex dipendente ha sostenuto di essere stata discriminata quando lavorava per lui, e Michelle Goldberg sul New York Times è arrivata a scrivere che «un Andrew Yang donna non potrebbe esistere»: una donna con il suo curriculum – promettente, ma senza risultati – non avrebbe la possibilità di diventare sindaco di New York.
Anche la sua campagna elettorale è finita sotto attacco, accsata di essere gestita con una mentalità da confraternita. Fra le prove usate contro di lui è finita anche una vecchia confessione che aveva infilato in un libro, in cui ammise di aver chiamato i propri pettorali Lex e Rex. Yang non se ne cura e prosegue per la sua strada: continua a raccogliere endorsement, ma per ora gli manca l’appoggio di istituzioni e sindacati, che a New York possono fare la differenza.
Corriere della Sera, 23 aprile 2021 (newsletter AmericaCina)